Melomys fraterculus

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Melomys fraterculus
Immagine di Melomys fraterculus mancante
Stato di conservazione
Critico[1]
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Mammalia
Superordine Euarchontoglires
Ordine Rodentia
Sottordine Myomorpha
Superfamiglia Muroidea
Famiglia Muridae
Sottofamiglia Murinae
Genere Melomys
Specie M.fraterculus
Nomenclatura binomiale
Melomys fraterculus
Thomas, 1920

Melomys fraterculus (Thomas, 1920) è un roditore della famiglia dei Muridi endemico dell'isola di Seram.[1][2]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Dimensioni[modifica | modifica wikitesto]

Roditore di piccole dimensioni, con la lunghezza della testa e del corpo di 115 mm, la lunghezza della coda tra 153 e 155 mm, la lunghezza del piede di 26 mm e la lunghezza delle orecchie tra 17 e 18 mm.[3]

Aspetto[modifica | modifica wikitesto]

Il colore del dorso è bruno-rossiccio chiaro, mentre le parti ventrali sono grigie. La coda è più lunga della testa e del corpo, è uniformemente bianca con delle chiazze brune e ricoperta di fitta peluria.

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Comportamento[modifica | modifica wikitesto]

È una specie arboricola.

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Questa specie è endemica del Monte Manusela, sull'isola di Seram, Isole Molucche centrali.

Vive nelle foreste muschiose montane a circa 1.830 metri di altitudine su terreni calcarei.

Conservazione[modifica | modifica wikitesto]

La IUCN Red List, considerato l'areale ridotto ad una singola località e il continuo degrado nella qualità del proprio habitat, classifica M.fraterculus come specie in grave pericolo (CR).[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c (EN) Helgen, K. & Aplin, K. 2008, Melomys fraterculus, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ (EN) D.E. Wilson e D.M. Reeder, Melomys fraterculus, in Mammal Species of the World. A Taxonomic and Geographic Reference, 3ª ed., Johns Hopkins University Press, 2005, ISBN 0-8018-8221-4.
  3. ^ Helgen, 2003.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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