Madonna di Costantinopoli (Mattia Preti)

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Madonna di Costantinopoli
AutoreMattia Preti
Data1656
Tecnicaolio su tela
Dimensioni286,5×196 cm
UbicazioneMuseo nazionale di Capodimonte, Napoli

La Madonna di Costantinopoli è un dipinto olio su tela (286,5×196 cm) di Mattia Preti eseguito nel 1656 circa e conservato presso il Museo nazionale di Capodimonte a Napoli.[1]

Storia e descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto è strettamente connesso all'epidemia di peste del 1656 che colpì la città di Napoli.[1] Sul finire di quel periodo a Mattia Preti furono sottoposte diverse commesse atte a raffigurare Madonne e santi patroni della città quali ex-voto per aver liberato la città dall'evento.[1] Tra queste, dove vi furono anche le prestigiose commesse che riguardarono gli affreschi per le porte della città, la prima sottoposta al pittore calabrese fu proprio la Madonna di Costantinopoli.[1]

La tela fu eseguita per i cugini del Preti, i nobili originari anche loro di Taverna, Gian Tommaso e Marino Schipani, che collocarono l'opera nella chiesa di Sant'Agostino degli Scalzi, di fronte a dov'era già una cappella dedicata ad un antenato della loro famiglia.[1] L'assenza di documenti comprovanti il pagamento del lavoro svolto lascia intendere che il dipinto fu donato agli Schipani dal Preti, forse a mo' di ringraziamento per averlo ospitato durante il suo soggiorno a Napoli.[1]

Dettaglio

A seguito del terremoto dell'Irpinia del 1980, la tela è stata prelevata e trasferita definitivamente, per motivi di sicurezza, al Museo nazionale di Capodimonte.[1]

La valenza votiva del dipinto è confermata dalla presenza dei santi ritratti, tutti compatroni di Napoli: san Gennaro, in alto a destra, san Giuseppe, in alto a sinistra, san Rocco, in basso a sinistra, san Nicasio, in basso a destra, mentre il comparto centrale è infine riempito da santa Rosalia, che viene incoronata dalla Madonna col Bambino posta su un trono più in alto, a sua volta incoronata da un putto.[1]

L'opera, una delle rare firmate dal pittore calabrese, nel cartiglio in basso a sinistra, riporta la data del 1656, pertanto tenendo conto del fatto che la pandemia iniziò a cessare sul finire di quell'anno, verosimilmente diventa plausibile ritenere che l'opera fosse stata eseguita negli ultimi mesi dello stesso anno.[1] Il plasticismo delle figure ritratte dà concitazione e senso di movimento all'intera scena, mostrando rimandi diretti alla pittura emiliana barocca.[1]

Nella parte in basso a sinistra della tela, in prossimità del cane (elemento questo che è ritratto anche nel Ritorno del figliol prodigo della versione di Capodimonte), si vede un chiaro ripensamento del pittore, ossia una prima stesura, poi ritratta, del piede di san Rocco.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k Spinosa, 1999, p. 144.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]