Legge Acerbo

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La legge Acerbo fu una profonda riforma del sistema elettorale italiano voluta da Benito Mussolini e realizzata nel 1923 da Giacomo Acerbo, da cui prese il nome.

Tale legge prevedeva l'adozione del sistema maggioritario all'interno di un collegio unico nazionale. Alla lista che avesse ottenuto la maggioranza con una percentuale superiore al 25% dei voti sarebbero toccati i due terzi dei seggi (356), mentre i restanti (179) su base proporzionale sarebbero andati alle liste rimaste in minoranza. Era inoltre previsto, qualora la lista di maggioranza fosse una federazione di vari partiti, un ingente premio di maggioranza al movimento con più voti tra quelli che componevano la lista più grande.

Ulteriori modifiche alla legge elettorale precedente erano la riduzione dell'atà minima per l'eleggibilità da 30 a 25 anni, l'abolizione della incompatibilità per le cariche amministrative per i sindaci, i deputati provinciali ed i funzionari pubblici, ad eccezione dei prefetti, vice prefetti ed agenti di pubblica sicurezza. Altra importante innovazione fu l'adozione della scheda elettorale al posto della busta.

La legge Acerbo venne approvata alla Camera dei Deputati il 21 luglio del 1923 con 223 sì e 123 no: a favore si schierarono il Partito Nazionale Fascista, buona parte del Partito Popolare Italiano (tra cui Alcide De Gasperi), il Partito Liberale Italiano e altri esponenti della destra, quali Antonio Salandra; negarono il loro appoggio il Partito Comunista Italiano ed il Partito Socialista Italiano. Dopo il disco verde del Senato del Regno dato il 18 novembre con 165 sì e 41 no la riforma entrò definitivamente in vigore.

Alle elezioni del 6 aprile 1924 il Listone Mussolini prese il 64,9% dei voti ed elesse 375 deputati (il premio di maggioranza era scattato, come prevedibile, per il PNF) mentre le opposizioni di centrosinistra ottennero solo 161 seggi, nonostante al Nord fossero in maggioranza con 1.317.117 voti contro i 1.194.829 del Listone.