Induismo in Tanzania

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Un mandir a Zanzibar.

La prima prova della presenza stabile dell'induismo in Tanzania risale al primo millennio d.C., quando il fenomeno del commercio tra Africa orientale e subcontinente indiano[1] cominciò a svilupparsi. La maggior parte degli indù presenti nel paese provengono dal Gujarat, dalla regione del Deccan (l'attuale Maharashtra) e dall'impero Tamil dei Chola. L'evidenza archeologica di piccoli insediamenti indù è stata dimostrata a Zanzibar ed in parti della costa abitate dagli Swahili, oltre che nello Zimbabwe e nell'isola di Madagascar[1].

Il Pew Research Center stima che vi siano stati circa 50.000 indù in Tanzania nel 2010[2].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Menzioni dell'antico rapporto commerciale fra indù dell'India e dell'Africa risale fino ai tempi di Nabonedo, quando Babilonia fu uno dei centri del commercio globale[3]. In epoca antica, gli indù avrebbero commerciato assiduamente, senza mai interferire nel sistema politico locale e tornando poi nella loro patria. Piccoli insediamenti di indù iniziarono a stanziarsi nel I secolo d.C., per lo più sulle isole orientali dell'Africa, lungo la costa e, in alcuni casi, anche nell'entroterra. Alcuni testi indiani antichi si riferiscono a Wanyamwezi, o "gli uomini della Luna", un termine ancora in uso per individuare i nyamwesi (un gruppo bantu) in Tanzania[3].

Ogni grande esploratore che ha visitato il lato orientale del continente africano ha menzionato la presenza di commercianti indù a Zanzibar, Kilwa, Mombasa, Malindi e lungo la fascia costiera del Mozambico. Il portoghese Vasco da Gama ha conquistato e convinto uno di questi gruppi africani di gujarati indù ad aiutarlo per condurre a buon fine il suo viaggio inaugurale dall'Africa fino all'India[3]. Questa affinità e commercio regolare è stato aiutato dai costanti alisei che soffiano dall'Africa orientale fino alla penisola indiana per una buona parte dell'anno, mentre sono invertiti per un'altra parte dell'anno[4].

Gli indù erano noti per essere vegetariani e praticanti della nonviolenza, che non hanno mai imposto la propria religione o cultura in Africa. Hanno prosperato offrendo un buon mestiere, prodotti di qualità e prestiti in contanti a Zanzibar e ad altre comunità africana, ma hanno tradizionalmente mantenuto la loro fede, la vita sociale e culturale come una questione privata, personale[3][5]. Il primo cambiamento importante è avvenuto in Tanzania con l'arrivo dell'islam di marca sciita (specificatamente l'Ismailismo), quando i musulmani e gli arabi dell'Oman hanno cominciato a competere con gli indù indiani iniziando una campagna forzata di conversione religiosa. Il secondo grande cambiamento è venuto con il XVI secolo, con l'arrivo degli imperi coloniali e del cristianesimo[6].

Durante l'era coloniale, dopo i funzionari europei[7], gli indù erano il gruppo etnico col più alto successo economico in Tanzania, ma rimasero politicamente e giuridicamente sempre una minoranza ininfluente[8]. Quando l'era coloniale dell'impero britannico si è conclusa, gli indù indiani hanno cominciato a divenire un gruppo preso di mira e perseguitato, tanto che molti emigrarono dalla Tanzania verso l'Europa e l'India[9].

Una delle più alte montagne - nonché vulcano attivo - si trova vicino ad Arusha, in Tanzania è chiamato "monte Meru" proprio come la montagna omonima presente nella mitologia indù.

Un complesso templare induista a Dar-es-Salaam.

Induismo nella moderna Tanzania[modifica | modifica wikitesto]

L'induismo è una religione di minoranza in Tanzania, praticata da circa 30.000 persone (nel 1996) in terraferma e a Zanzibar. La maggior parte dei professionisti indo-tanzani sono in particolare di ascendenza gujarati.

Ci sono stati circa 50.000 gli indù in Tanzania nel 2010, secondo le stime del Pew Research Center[2].

Tra le varie tradizioni all'interno dell'induismo, la Swaminarayan proveniente dal Gujarat è un'attiva scuola bhakti esistente sia in Tanzania che in Kenya[10], rafforzatasi nel corso degli anni '50 del XX secolo, a causa delle sue iniziative di edilizia sociale, culturale e di costruzione templare in tutta l'Africa orientale. Mandir (Templi indù) sono stati stabiliti a Dar-es-Salaam, la maggior parte di loro si trova presso il centro cittadino, il nome della strada in cui si trovano i templi è stato rinominato "Pramukh Swami street". I templi Swaminarayan sono stati costruiti in diverse città oltre che a Dar- es-Salaam, come Zanzibar, Arusha e Moshi. [12] Altre scuole indù con presenza in Tanzania includono lo Yoga e il Vedānta.

I seguaci di Brahma Kumari, Sathya Sai Baba e l'Associazione internazionale per la coscienza di Krishna fanno anch'essi arte della presenza indù in Tanzania.

Diwali e altri festival religiosi-sociali sono osservati dagli indù della Tanzania.

La Tanzania ha templi indù in diverse città e un Consiglio indù per aiutare ad organizzare attività sociali e culturali[11].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Constance Jones and James D. Ryan, Encyclopedia of Hinduism, ISBN 978-0816073368, pp. 10-12
  2. ^ a b Table: Religious Composition by Country, in Numbers Pew Research Center (2012)
  3. ^ a b c d W.H. Ingrams (1967), Zanzibar: Its History and Its People, ISBN 978-0714611020, Routledge, pp. 33-35
  4. ^ K.N. Chaudhuri (1985), Trade and Civilisation in the Indian Ocean: An Economic History from the rise of Islam to 1750, Cambridge University Press, ISBN 978-0521285421
  5. ^ Prabha Bhardwaj, Hindus Stand Strong In Ancient Tanzania Hinduism Today (1996)
  6. ^ Claude Markovits (2008), The Global World of Indian Merchants, 1750–1947: Traders of Sind from Bukhara to Panama, Cambridge University Press, ISBN 978-0521089401, pp. 10-79
  7. ^ Both during the German colonial empire before World War I, as well the British colonial rule of Tanzania after World War I
  8. ^ G. Oonk (2006), South Asians in East Africa (1880-1920) with a Particular Focus on Zanzibar: Toward a Historical Explanation of Economic Success of a Middlemen Minority, African and Asian Studies, Volume 5, Issue 1, pages 57 – 90
  9. ^ A. Keshodkar (2010), Marriage as the Means to Preserve ‘Asian-ness’: The Post-Revolutionary Experience of the Asians of Zanzibar, Journal of Asian and African Studies, 45(2), pp. 226-240
  10. ^ Raymond Brady Williams (1984), A New Face of Hinduism: The Swaminarayan Religion, Cambridge University Press, ISBN 978-0521274739
  11. ^ Organization Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive. Hindu Council, Tanzania

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]