Baratteria (gioco)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
(LA)

«Non dat Deus ludere, sed diabolus»

(IT)

«Non è stato Dio a dare il gioco, bensì il diavolo»

La baratteria nel Medioevo era un luogo al chiuso o talvolta all'aperto dove si giocava d'azzardo. Coloro che gestivano il gioco erano chiamati barattieri.[1]

Caravaggio, I bari, 1594 ca.

Storia della baratteria[modifica | modifica wikitesto]

(LA)

«In taberna quando sumus non curamus quid sit humus
Sed ad ludum properamus cui semper insudamus [...]
Sed in ludum qui morantur ex his quidam denudantur
Quidam ibi vestiuntur quidam saccis induuntur
Ibi nullus timet mortem sed pro Baccho mittunt sortem.»

(IT)

«Quando siamo in taverna non ci curiamo della morte[2]
ma siamo impazienti di darci al gioco per il quale sempre ci affanniamo[3] [...]
Ma di quelli che si attardano nel gioco alcuni restano nudi
Alcuni sono rivestiti e altri sono ricoperti di sacchi
Lì nessuno teme la morte ma tutti tentano la sorte in nome di Bacco.»

Di solito il gioco d'azzardo si praticava nella taberna, frequentata anche dalle prostitute e quindi era ritenuto un luogo di malaffare non tanto per la loro presenza quanto perché praticato dai giocatori.[4]

Il gioco d'azzardo nel Medioevo era perseguito soprattutto perché occasione di frodi e bestemmie.

Nelle Costituzioni di Melfi (III libro, legge XC "L'infamia delle alee e dei dadi"), l'imperatore Federico II di Svevia comandava:

«... stabiliamo che coloro che giochiamo

a dadi, facendolo di continuo, al punto di non avere altra attività della quale vivere, i frequentatori di taverne, che eleggono le taverne come proprio ambiente naturale, coloro che possiedono giochi d’azzardo o dadi per metterli a disposizione dei suddetti giocatori, siano dichiarati infami, e perciò non siano ammessi a testimoniare né a ricoprire un pubblico ufficio...»

Fra il XIII e il XIV secolo si afferma il diritto di giocare d'azzardo, cioè con scommesse in denaro, in luoghi pubblici.

Nasce la baratteria, la bisca pubblica, prima clandestina poi riconosciuta dai poteri locali come dimostra il fatto che in alcuni comuni sia settentrionali che meridionali venisse tassata da una gabella che per esempio ad Amalfi nel 1287 consisteva nella somma annua di 45 once. Gli interessi economici dei Comuni facevano passare in secondo piano la riprovazione morale e religiosa che si era espressa ad es. nelle condanne del domenicano Raimondo di Peñafort[5] e del predicatore francescano Bernardino da Siena.[6]

Si pensò bene attraverso una regolamentazione degli Statuti comunali di adibire alla baratteria appositi luoghi per non esporre alla vista del pubblico questi barattieri, termine che diviene sinonimo di gaglioffo, ribaldo, che gettati in terra su una stuoia nella piazza o sotto i portici, giocavano a dadi bestemmiando.

Riportati al chiuso, spesso in una taberna, i barattieri accrebbero i loro guadagni divenendo i protettori delle prostitute e la loro influenza economica crebbe al punto che poterono organizzarsi in regolari corporazioni con il loro gonfalone (“il quale era bianco, coi Barattieri dipinti, in gualdana e giucando”) sotto la guida di un Potestà della Baratteria (Potestas Barateriorum) a cui era affidato l'incarico di regolare i rapporti con il potere pubblico.

Questi equivoci rapporti con le istituzioni comunali fecero sì che i barattieri fossero incaricati di svolgere, pubblicamente, i lavori più infamanti come pulitori dei pozzi neri o boia incaricati delle pubbliche esecuzioni, oppure, segretamente, gli incarichi di messaggeri e spie.[7]

Il pubblico scandalo della baratteria nel XV secolo era tanto cresciuto che, nonostante i lauti introiti derivanti dalle gabelle sul gioco d'azzardo, alcune autorità comunali stabilirono di vietarne la pratica. Così ordinava ad esempio il Comune di Siena: «Anco, imperciò che de la barattaria non esce se non male et imperciò che inde biastemmie di Dio et de la beata Maria Vergine et delli altri sancti, ogne dì ne nascono et rapine et furti molti si commettono, statuto et ordinato è, che la barattaria in neuno modo sia tenuta né tenere si possa in alcuna parte de la città di Siena et de' borghi; né alcuno tenga essa barattaria o vero biscazaria sotto pena di X libre di denari per ciascuno contrafacente et ciascuna volta.[8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Esiste a tutt'oggi un "Gruppo Giochi Medievali" chiamato "I Barattieri", che si dedica alla ricostruzione storica dei giochi un tempo tenuti dai barattieri. (Cfr. Associazione sanmarinese giochi storici Archiviato il 27 aprile 2012 in Internet Archive.)
  2. ^ Letteralmente: di che cosa sia la terra.
  3. ^ Letteralmente: sudiamo.
  4. ^ Le Costituzioni di Melfi, III, XC: L'infamia delle alee e dei dadi
  5. ^ Quam magnum peccatum sit patet, inter alia, ex novem quae in talibus ludis attenduntur:

    Primum, desiderium lucrandi: ecce cupiditas, quae radix est omnium malorum
    Secundum est voluntas spoliandi proximum: ecce rapina
    Tertium est usura maxima…
    Quartum est multiplicata mendacia et verba otiosa et vana
    Quintum est blasphemia: ecce heresis
    Sextum, corruptio multiplex proximorum qui ad ludum inspiciendum de consuetudine prava conveniunt
    Septimum est scandalum bonorum
    Octavum contemptus prohibitionis sanctae matris Ecclesiae
    Nonum est omissio temporis et bonorum quae in illo tempore teneatur facere.

    (Raimondo di Peñafort, Summa de paenitentia, l. 2, t.8)
  6. ^ «O così anco colui che dice: «Oh che bisognava ardere i tavolieri? Elli bastava a levar via il gioco senza ardarli, e conduciare che chi giocava, si rimanesse [astenesse] di quello e d'ogni suo malfare.» Tu dici: - Oh si giuoca in segreto! - Io ti domando se tu ha' memoria di quello che io ti dissi. Io so' bene ch'io non t'ho detto che tu arda e' tavolieri, e poi giochi; so' io ch'io ti dissi, che tu ti rimanesse del gioco, che non n'è boccone di buono; e perché non te ne venisse voglia, che tu ardesse e' tavolieri e l'altre cose che ti davano cagione di giocare. (Quaresimale Siena 1427, pred. XXV, 50)
  7. ^ Dante, che fu accusato e sottoposto a processo per baratteria, nel suo caso intesa come reato di corruzione di pubblico ufficiale, descrive nella Commedia la condizione di Ciampolo da Navarra che come barattiere si era procurato la dannazione infernale:

    Mia madre a servo d'un segnor mi puose,
    che m'avea generato d'un ribaldo,
    distruggitor di sé e di sue cose.
    Poi fui famiglia del buon re Tebaldo;
    quivi mi misi a far baratteria,
    di ch'io rendo ragione in questo caldo".

    (Dante,Div.Comm. Inferno Canto XXII,Cerchio ottavo: fraudolenti, Bolgia quinta: barattieri)

  8. ^ in Ranieri Gangalandi, Costituto del comune di Siena volgarizzato (Il) 1309-10 dist. 5, cap. 401, vol. 2, pag. 402.15,Edizione a cura di Alessandro Lisini, voll. 2, Siena, Tip. Sordomuti di L. Lazzeri, 1903.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Alessandra Rizzi, Ludus/ludere Giocare in Italia alla fine del medio evoCollana Ludica, 3

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  Portale Storia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Storia