Vincenzo Giordano Orsini (cacciatorpediniere): differenze tra le versioni

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Versione delle 12:02, 20 mar 2011

Vincenzo Giordano Orsini
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Il Vincenzo Giordano Orsini è stato un cacciatorpediniere (e successivamente una torpediniera) della Regia Marina.

Storia

Nella notte tra il 13 ed il 14 agosto 1917 la nave lasciò Venezia unitamente ai cacciatorpediniere Animoso, Ardente, Audace, Abba, Giovanni Acerbi, Giuseppe Sirtori, Francesco Stocco, Carabiniere e Pontiere per scontrarsi con un gruppo di navi nemiche – cacciatorpediniere Streiter, Reka, Velebit, Sharfschutze e Dinara e 6 torpediniere – che avevano appoggiato un’incursione aerea contro la piazzaforte veneta[1]. Solo l’Orsini riuscì ad avere un breve e fugace contatto con le navi austriache, che dovette tuttavia interrompere in quanto rischiava di essere mandato contro i campi minati avversari[1].

Il 29 settembre dello stesso anno la nave uscì in mare assieme all’esploratore Sparviero, ai cacciatorpediniere Abba, Acerbi e Stocco ed ad una seconda formazione (cacciatorpediniere Ardente, Ardito ed Audace) a supporto di un bombardamento effettuato da 10 aerei contro Pola[1]. La formazione italiana ebbe poi un breve scontro serale con una austro-ungarica (cacciatorpediniere Turul, Velebit, Huszar e Streiter e 4 torpediniere), senza conseguire risultati di rilievo[1].

Durante la ritirata di Caporetto l’Orsini e la sua squadriglia furono adibite a rallentare, con il tiro delle proprie artiglierie, l’avanzata delle truppe austro-ungariche[1].

Il 16 novembre 1917 fu inviato, insieme ad Animoso, Acerbi, Stocco, Ardente, Abba ed Audace, a contrasto del bombardamento effettuato dalle corazzate austroungariche Wien e Budapest contro le batterie d’artiglieria e le linee italiane di quella località: i cacciatorpediniere supportarono l’attacco dei MAS 13 e 15 che, insieme a quelli di aerei e dei sommergibili F 11 ed F 13, contribuì a disturbare l’azione nemica, sino al ritiro delle due corazzate[1].

Il 28 novembre Animoso, Ardente, Ardito, Abba, Audace, Orsini, Acerbi, Sirtori e Stocco, insieme agli esploratori Aquila e Sparviero, partirono da Venezia e, insieme ad alcuni idrovolanti di ricognizione, inseguirono una formazione austriaca, composta dai cacciatorpediniere Dikla, Streiter ed Huszar e da quattro torpediniere, che aveva bombardato la ferrovia nei pressi della foce del Metauro[1]. Le navi italiane dovettero rinunciare all’inseguimento allorché giunsero nei pressi di Capo Promontore, troppo vicino a Pola[1].

Nella notte tra il 1° ed il 2 luglio 1918 i cacciatorpediniere Orsini, Acerbi, Sirtori, Stocco, Missori, La Masa ed Audace fornirono supporto a distanza ad una formazione (torpediniere 64 PN, 65 PN, 66 PN, 40 PN e 48 OS, più, in appoggio, Climene e Procione) che bombardò le linee austro-ungariche tra Cortellazzo e Caorle e simulò poi uno sbarco (torpediniere 15 OS, 18 OS e 3 PN e pontoni da sbarco fittizi a rimorchio) per distrarre le truppe nemiche[1]. Il gruppo dei cacciatorpediniere si scontrò anche con i cacciatorpediniere austroungarici Csikos e Balaton e con due torpediniere: dopo un breve scambio di cannonate, durante il quale le navi avversarie, specie il Balaton, ebbero alcuni danni, le unità italiane poterono proseguire nel loro compito, mentre quelle austriache ripiegavano verso Pola[1].

Nella notte tra il 13 ed il 14 maggio dello stesso anno l’Orsini, l’Acerbi, lo Stocco, l’Animoso ed il Sirtori, insieme alle torpediniere costiere 9 PN e 10 PN ed ai MAS 95 e 96, fornirono supporto al fallimentare tentativo di attacco del barchino silurante «Grillo» contro la base di Pola, attacco che si concluse senza risultato e con la perdita del «Grillo»[1].

Nella mattinata del 4 novembre 1918 l’Orsini, l’Acerbi, il Sirtori e lo Stocco salparono da Venezia insieme alla vecchia corazzata Emanuele Filiberto per prendere possesso di Fiume[2]. Durante la navigazione l’Orsini, al comando del capitano di fregata Domenico Cavagnari, fu distaccato per l’occupazione dell’isola di Lussino: alle 13.15 del 4 novembre il cacciatorpediniere attraccò a Lussinpiccolo dove sbarcò un contingente e fu accolto favorevolmente dalla popolazione italiana[2]. Tuttavia sorsero fin da subito notevoli problemi: dapprima vi fu la protesta di un ufficiale croato in precedenza arruolato nella k.u.k. Kriegsmarine, successivamente giunse in porto una torpediniera ex austro-ungarica, la TB 82, divenuta jugoslava; a terra la componente croata cercò di issare la bandiera jugoslava accanto a quella italiana e vi furono anche le proteste del clero croato[2]. L’8 novembre l’Orsini fu raggiunta dall’Acerbi ma la questione poté considerarsi conclusa solo il 20 dello stesso mese, con lo sgombero e disarmo dei forti, il trasferimento a Fiume di tutti i militari jugoslavi e la confisca di materiali bellici e di alcune navi (qualche piroscafo ed un panfilo)[2].

Nel 1920 la nave fu sottoposta a modifiche che videro la sostituzione dei cannoni da 102/35 mm con quelli del più moderno modello da 102/45[3].

Nel 1929 l’Orsini fu declassato a torpediniera[3].

Nel 1931 l’unità trasportò da Bardia, ov’era stato portato dopo la cattura, a Bengasi, dove fu processato e condannato a morte, Omar al-Mukhtar, capo della resistenza anti-coloniale libica[4].

All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940, l’Orsini e l’Acerbi avevano base a Massaua, in Eritrea, base italiana sul Mar Rosso[5]. Comandava la nave il tenente di vascello Giulio Valente[5]. Stante la sua vetustà e l’assenza di importanti azioni navali in Mar Rosso, l’Orsini non prese parte a nessun episodio di rilievo, effettuando solo poche missioni di breve durata lungo le coste[5].

Ad inizio aprile 1941 le truppe inglesi occuparono gradatamente l’Eritrea. Il 7 e l’8 aprile 1941 l’Orsini contribuì all’estrema difesa di Massaua ormai prossima alla caduta: bombardò la località di Embereni con i propri cannoni da 102 mm e le mitragliere da 40 mm, provocando perdite tra le colonne motocorazzate inglesi ed obbligandole a rallentare l’avanzata[5]. Nella tarda mattinata dell’8 aprile furono terminate le munizioni e quindi, non potendo raggiungere alcun porto amico o neutrale, furono avviate le manovre di autoaffondamento: furono aperte le valvole di allagamento e distrutti parte dei tubi in sala macchine; la nave iniziò ad affondare con lentezza, poi, man mano che l’acqua iniziava a riversarsi nello scafo dagli oblò lasciati aperti, si abbatté sul lato di dritta, si appoppò ed infine s’inabissò impennando la prua[5].

Non essendovi notizie circa un suo recupero o demolizione, il relitto dell’Orsini dovrebbe giacere su un fondale di 27 metri di profondità, mezzo miglio ad est della penisola di Abd el Kader, non distante dall’ex pontile del Comando Marina di Massaua[5].

Note

  1. ^ a b c d e f g h i j k Franco Favre, La Marina nella Grande Guerra. Le operazioni navali, aeree, subacquee e terrestri in Adriatico, pp. 191-207-219-220-222-250-273-284
  2. ^ a b c d R. B. La Racine, In Adriatico subito dopo la vittoria, su Storia Militare n. 210 – marzo 2011
  3. ^ a b http://www.marina.difesa.it/storiacultura/storia/almanacco/Pagine/LMNO/orsini.aspx
  4. ^ http://www.webalice.it/mario.gangarossa/sottolebandieredelmarxismo_archivio/2009_06_angelo-del-boca_chi-era-omar-al-mukhtar-il-leone-del-deserto.htm
  5. ^ a b c d e f http://www.ilcornodafrica.it/st-relitti.pdf
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