Utente:Giuseppe Giliberto/Sandbox

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Per domiciliarità si intende il contesto dotato di senso per la persona; è lo spazio significativo che comprende la globalità della persona stessa e ciò che la circonda.
Tale spazio è una sorta di nicchia ecologica dove il soggetto sta bene e dove desidera continuare ad abitare anche quando si sono ridotte le condizioni di autonomia, perché legata alle sue memorie, ai suoi affetti, alla propria storia. La domiciliarità ha il suo profumo, il suo sapore, il suo colore, comprende la casa, ma va oltre.
«La casa è dove si trova il cuore» lo diceva duemila anni fa Plinio il Vecchio. La casa è una parte del corpo, ti avvolge come la “buccia di un frutto”, è una sorta di “protesi”, ti sostiene, mette vivacità; significa padronanza degli spazi, è la base di un nuovo modello riabilitativo.
La casa è divenuta, ormai lo sappiamo per certo, un nuovo luogo di cura; ma deve essere adeguata, in grado di promuovere la massima autonomia possibile, “una casa su misura”, senza barriere, attrezzata con tutti gli accorgimenti della domotica e dell’informatica.
Domiciliarità significa per ogni persona qualcosa di ben preciso, di irrinunciabile, tutto ciò che all’interno della casa e intorno ad essa le sta a cuore, e l’intorno, spesso, costituisce la cornice dei luoghi di vita. La domiciliarità è quindi un “interno” e un “intorno” di cui si ha bisogno per non sentirsi spaesati, è radicata sul territorio e nell’intorno bisogna poterci stare davvero, bisogna abitarvi realmente.
Il rispetto della domiciliarità, e cioè poter continuare a vivere dove esiste la propria domiciliarità, fa salute, fa star bene, fa star meglio, cura, dà sicurezza, abbassa anche la paura. La domiciliarità va, pertanto, sostenuta quando la persona è in difficoltà, perché la domiciliarità cura, “si-cura”, si deve curare in qualsiasi contesto di vita.

Domiciliarità è un termine nuovo per un concetto e un diritto fondamentali per la persona. Ogni persona ha la sua domiciliarità che si è costruita nel tempo, nella vita; non dobbiamo dargliela, perché la persona la possiede già. Dobbiamo invece sostenerla, quando essa lo richiede, con il “sistema domiciliarità”.

Cenni storici[modifica | modifica wikitesto]

II lemma “domiciliarità” compare la prima volta nell’anno 1993, nell’ambito delle attività formative e di ricerca della Fondazione Zancan di Padova.
All’inizio la domiciliarità era focalizzata sulla casa e tutte le cose care in essa presenti che legano al passato, al presente e, si spera, al futuro: casa intesa come luogo della memoria; un luogo fatto di cose materiali e immateriali collegate alla storia della persona e della sua famiglia, alla memoria della vita, alle ritualità, alle abitudini. Il concetto di domiciliarità si è poi sviluppato, andando oltre la casa, comprendendo le relazioni sociali, la natura, il paesaggio, la cultura, la storia del proprio territorio e della propria comunità locale, vale a dire l’“interno” e l’“intorno” della persona.

Basi teoriche[modifica | modifica wikitesto]

II concetto della domiciliarità si può ritrovare fin dai primi articoli della Costituzione italiana che tutelano la persona.
Per poter rispettare la domiciliarità della persona, quando questa lo richiede, occorre poter sostenere lei e la sua famiglia affinché ci siano risorse suppletive, in sostituzione di quelle venute a mancare per la sopraggiunta minore abilità. Occorre un progetto individuale integrato, di rete, tra i vari servizi e settori di intervento e le risorse della persona, della famiglia, della comunità locale al fine di garantire una domiciliarità sostenuta e non di abbandono.
La “mappa delle opportunità”, ossia delle condizioni e degli strumenti a sostegno della domiciliarità (assistenza domiciliare sociale e sanitaria, centri diurni, assegno di cura, pasti a domicilio, affidamento familiare, telesoccorso... e poi casa, trasporti, cura del territorio, informazioni), rende l’idea di ciò che il territorio, attraverso le politiche di welfare locale e i piani di zona, dovrebbe poter garantire per evitare un ricovero non desiderato della persona in una struttura residenziale.
A volte, un progetto di domiciliarità sembra davvero impossibile, ma ogni tentativo va espletato per cercare delle soluzioni alternative allo sradicamento, a servizio della persona.
Il Progetto di ritorno a casa (conosciuto anche come Progetto rondine) della Bottega del Possibile dimostra che, anche dono un periodo di ricovero, se la persona lo chiede e lo vuole, si può tornare a casa, ovviamente garantendo quella rete di sostegni di cui si è detto. La promozione della cultura di domiciliarità è dunque un progetto culturale e politico della comunità locale; un progetto che non dovrebbe più far dire “Mi hanno tolto la casa, mi hanno tolto la vita”. La promozione della cultura della domiciliarità, infine, non è una proposta di spesa bensì di investimento, che mira a promuovere la massima autonomia possibile.

Dibattito Attuale[modifica | modifica wikitesto]

La promozione della cultura della domicciliarità porta alla realizzazione concreta del sistema domiciliarità, che ha una sua “architettura e ingegneria”, consistente in un insieme di strumenti (attività, servizi vari e politiche) che, a seconda dei bisogni e delle risorse della persona, servono in tutto o in parte, per aiutare a restare nella propria casa. Tra gli strumenti in primo luogo comprendiamo l’assistenza domiciliare, nelle sue varie articolazioni: uno strumento per garantire il rispetto della domiciliarità; un servizio incentrato sulla relazione di aiuto per la persona e la famiglia, che consiste nel portare a casa della persona gli interventi di aiuto, poiché la persona stessa non è più autonoma nella gestione della propria quotidianità, sia per le azioni della vita giornaliera (alzarsi, vestirsi, lavarsi, camminare) sia per la gestione della casa e del rapporto con l’esterno (informazione per l’accesso ai servizi e alle prestazioni, utilizzo delle risorse ecc.). L’intervento deve essere integrato tra i comparti socio-assistenziali e sanitario, tra livelli di intervento (rapporto ospedale-territorio), tra figure professionali diverse: assistente domiciliare (ora oss, ossia operatore socio-sanitario), infermiere professionale, terapista della riabilitazione, educatore, volontario, medico di famiglia e assistente sociale. L’aiuto domiciliare può prevedere anche l’assegno di cura, i pasti a domicilio, il servizio di lavanderia, l’affìdamento familiare, il telesoccorso, oltre alle cure palliative utili per la fase finale della vita.
L’assistenza domiciliare serve anche per aiutare la famiglia a imparare l’uso di nuovi strumenti, acquisire nuove tecniche, avere momenti di tregua e di sollievo, al fine di poter continuare ad aiutare il proprio caro in difficoltà. L’assistenza domiciliare può essere gestita direttamente dal servizio pubblico o tramite l’affidamento a cooperative sociali, oppure acquistata con “buoni servizio”. Oltre certi limiti di reddito sono previsti contributi economici che variano a seconda del reddito stesso e delle scelte istituzionali. L’assistenza domiciliare può anche essere fornita dalla struttura residenziale (casa di riposo), che si apre al territorio utilizzando la propria esperienza sulla non autosufficienza per sostenere la domiciliarità.

Prospettive[modifica | modifica wikitesto]

II sistema domiciliarità sta sempre più entrando nella cultura delle politiche sociali locali, secondo un quadro globale che connette politiche della casa, della cura del territorio, dei trasporti, dei servizi sociali, educativi e sanitari, avvalorata da buone prassi, ispirate alla logica di rete. Gli sviluppi possono essere i più vari, come dimostrano i recenti collegamenti con l’“agricoltura sociale”. Per crescere, la cultura della domiciliarità ha bisogno di una comunità responsabile, consapevole, partecipe, laboratorio di solidarietà, ricca di capitale sociale, disposta ad assumersi responsabilità e doveri per promuovere diritti nel contesto di una sussidiarietà virtuosa, integrata, di fratellanza sociale e nel quadro di un welfare plurale e integrato, di prossimità. Certo ogni cambiamento, anche rispetto alla promozione della cultura della domiciliarità dovrà essere sostenuto dalla formazione.  

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • M. Scassellati Sforzolini Galetti, Domiciliarità, in A. Campanini (a cura di), (2013), Nuovo dizionario di servizio sociale, Roma, Carocci, pp. 232-35.
  • AA.VV. (2008a), Le parole dell’oss, per comunicare, per capirsi, per integrarsi, La Bottega del Possibile, Torre Pellice (TO).
  • AA.VV. (2008b), Vite vissute, vite narrate, La Bottega del Possibile, Torre Pellice (TO).
  • BOTTURA R. (1989), Letti a rotelle, EGA, Torino.
  • BERGAMO M., ZANIN C. (a cura di) (2006), La terza età della vita. L’architettura della Domiciliarità, Facoltà di Architettura - Università di Verona, Il Poligrafo, Padova.
  • COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO (2010), Viva gli anziani, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN).
  • GOLDONI L. (a cura di) (2010), Sistema e cultura della domiciliarità come intero e intorno della persona, in “Servizi Sociali Oggi”, 3, pp. 6-8.
  • LA BOTTEGA DEL POSSIBILE (1995), Cultura di domiciliarità. Contributi per un dibattito, Prima Pagina, Padova.
  • ID. (1996), Il sostegno alla persona e alla famiglia, L’altro Modo, Pinerolo (TO).
  • ID. (1997), Oltre la famiglia, oltre la casa. Il senso dell’abitare, L’altro Modo, Pinerolo (TO).
  • ID. (1998), La casa e la persona, L’altro Modo, Pinerolo (TO).
  • ID. (1999), Domiciliarità e residenzialità, L’altro Modo, Pinerolo (TO).
  • MAGGIAN R. (2011), Guida al welfare italiano: dalla pianificazione sociale alla gestione dei servizi, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN).
  • PERGOLESI S. (a cura di) (2002), A casa con sostegno. Un progetto per le famiglie di bambini e adolescenti con deficit, FrancoAngeli, Milano.
  • SCASSELLATI GALETTI M. (a cura di) (1988), L’assistenza domiciliare integrata, un’alternativa al ricovero, Fondazione Zancan, Padova.
  • SCORTEGAGNA R. (1999), Invecchiare, il Mulino, Bologna.

Siti di riferimento[modifica | modifica wikitesto]

La bottega del Possibile http://www.bottegadelpossibile.it