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La rocca di San Silvestro

La Rocca si trova all'interno del parco archeominerario di San Silvestro, situato alle spalle di Campiglia Marittima, il parco si estende su un'area di 450 ettari. Il castello si trova alle pendici del Monte Calvi (Livorno), è nascosto alla vista dai Rilievi di Monte Rombolo a nord, del Manienti ad ovest e di Poggio all'Aione a sud.

I rilievi con le loro valli sono attraversati da due filoni paralleli di roccia porfirica, lungo i quali, a contatto con il calcare, si sono depositate le mineralizzazioni che si sviluppano formando colonne di minerale spesse talvolta centinaia di metri. I giacimenti minerari sono costituiti da solfuri misti: galena argentifera, calcopirite e blenda.

Rocca San Silvestro nasce, come altri castelli limitrofi (Biserno ed Acquaviva), nel cuore di un'importante area mineraria, lungo la linea dei filoni mineralizzati

Il complesso monumentale della Rocca di Campiglia è stato inaugurato nel 2008 dopo un accurato restauro.


Storia[modifica | modifica wikitesto]

Rocca San Sivestro è un villaggio di minatori e fonditori di metallo sorto tra il X e l’XI secolo per iniziativa signorile, finalizzata allo sfruttamento dei ricchi giacimenti locali di rame e piombo argentifero. I metalli sono destinati alla produzione monetaria delle zecche toscane, Lucca prima e di Pisa poi, grazie ai rapporti commerciali che i signori intrattengono con queste città.

Dall'XI all'XV secolo[modifica | modifica wikitesto]

Le prime tracce scritte della Rocca si hanno nel medioevo, ma chiamata col nome di Rocca a Palmento (una macina, palmentum, è stata ritrovata nel frantoio sottostante la chiesa), il nome di S. Silvestro verrà utilizzato a partire dall’età moderna mantenendo il nome del santo a cui era dedicata la chiesa del villaggio, dato che con un secolo di abbandono si era persa memoria dell’antica denominazione.

I Della Gherardesca[modifica | modifica wikitesto]

I signori di Pisa già nella prima metà dell’XI secolo controllavano la costa maremmana, a sud del fiume Cecina. Successivamente allargarono il domino verso il sud e l’interno, in cerca di un maggior controllo dei boschi per soddisfare il fabbisogno energetico a causa della riduzione del ferro elbano. Così le iniziative di conquista proseguirono per tutto l’XI ed il XII giungendo a Castiglione della Pescaia, pur mantendendo la propria autonomia da Pisa. Il castello in particolare fu edificato e rimase di proprietà dei conti della Gherardesca, famiglia potente in Pisa, fino all’XII secolo quando subentrarono i loro visdomini. (Rocca al Palmento fece parte del contado pisano fino agli inizi del XV secolo quando i territori pisani passarono sotto Firenze.)

I Della Rocca e l’abbandono[modifica | modifica wikitesto]

I Della Rocca subentrarono nel corso del XII secolo ai della Gherardesca, riuscendo ad ottenere la signoria del castello in quanto visdomini dei signori, cioè dei vassalli, poi resisi indipendenti. Il nome stesso generico, ma devivante dal castello (Della Rocca), conferma questa ipotesi.

Nell’area maremmana questo era un fenomeno diffuso, i Della Rocca fanno parte del ceto emergente dell’epoca, che si affianca e riempe i vuoti lasciati dalle grandi famiglie longobarde (aldobrandeschi) e franche (Gherardeschi). La mancanza di queste famiglie direttamente sul territorio aveva favorito l’ascesa dei loro vassalli, ritagliandosi poco a poco dei settori di potere personale.

I Della Rocca si erano legati alla città di Pisa, mantenendo comunque forti interessi in Maremma. Dal 1320 i della Rocca svolsero un ruolo centrale nella vita politica pisana, in stretto rapporto con i conti di Donoratico, signori di Pisa dal 1316 al 1347.

Il potere dei Della Rocca suscitò invidie e gelosie, che si accentrarono in una fazione di esclusi dal governo detta i Bergolini, capeggiata dalle famiglia Alliata, Gambacorta e Montescudaio; ne seguirono periodi di lotte interne, arrivando nel Natale 1347 ad una insurrezione armata ed alla cacciata dei Della Rocca e Dei Donoratico che si rifugiarono a Volterra. Nel 1355 poterono ritornare, tentando di riconquistare i beni confiscati, ma solo alla fine del secolo riuscirono nell’intento e tra i beni figura la Rocca di San Silvestro, ormai abbandonata.

Oltre alla serie di avvenimenti politici, l’abbandono si deve anche all’evoluzione del sistema economico verso una gestione di tipo imprenditoriale delle attività estrattive e di lavorazione dei metalli, promossa dalle autonomie comunali (Pisa e Massa Marittima). Il tipo di organizzazione produttiva signorile che aveva caratterizzato il territorio di Rocca San Silvestro diviene inadeguato per l’arretratezza dell’apparato tecnologico. Proprio nel XIV secolo, infatti, si diffonde in Toscana l’uso dell’energia idraulica, che si configura subito come strumento per l’ottimizzazione della produzione metallurgica; mentre il lavoro svolto dagli abitanti della Rocca era solamente manuale, quindi destinato ad essere superato.

L’area signorile e i periodi costruttivi[modifica | modifica wikitesto]

L’area signorile è composta da due pianori concentrici e fortificati. Quello superiore, costituisce il vero e proprio cassero, con la torre di guardia. La costituzione dell’intera area signorile è stata svolta in più fasi costruttive, fattore evidenziato dai dati stratigrafici del terreno e delle costruzioni emersi nelle attività di scavo.

Ingresso al cassero

In una prima fase, databile prima dell’XI secolo, fu fatto un taglio nel paleosuolo roccioso, per realizzare una platea dove furono costruiti tutti gli ambienti. Successivamente verrà realizzato il primo basamento con pavimentazione in lastre di marmo, circondato da una cinta muraria difensiva di notevole spessore.

Nella seconda fase costruttiva, (tra il XII e il XIV secolo) si ha la costruzione della torre, vengono effettuate numerose ristrutturazioni, in relazione forse all’attacco volterrano o al terremoto. Sarà ricostruita la cinta muraria, con l’ingresso dal pianoro sottostante, con la porta ad arco e le scale tagliate nella pietra. Immediatamente sottostante all’area militare-signorile si ha un pianoro circondato da un’altra cortina muraria, di cui ci rimangono imponenti tracce, quest’area sembra caratterizzarsi come zona aperta occupata, in prevalenza da costruzioni con materiali deperibili.

La cinta muraria[modifica | modifica wikitesto]

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La cinta muraria, lunga circa 400 metri e ben conservata per lunghi tratti, racchiude una superficie di poco inferiore all’ettaro. È realizzata in muratura a sacco, con conci di calcare locale disposti in filari su cui si aprono strette feritoie strombate ed è in gran parte fondata sulla roccia affiorante.

Le mura, scorcio

L’attuale definizione della cinta muraria è il risultato di un lungo processo di trasformazioni avvenute nel corso del tempo, di pari passo con l’evoluzione dell’abitato. L’ultimo intervento, databile alla seconda metà del XIII secolo, è la costruzione del lungo corridoio merlato con funzione di antiporto.

Le opere di rilievo come la cinta muraria, la torre e la chiesa erano affidate a maestranze specializzate ed itineranti. Queste soprintendevano al lavoro svolto dagli abitanti del villaggio, trasmettendo loro informazioni tecniche sulla sbozzatura e sulla rifinitura delle pietre, sulla messa in opera e sull'esecuzione di particolari elementi architettonici.

La maggiore accuratezza costruttiva visibile in alcuni settori della cinta è un indizio del diretto intervento dei maestri, risalente al XII secolo; le parti meno accurate sono state eseguite in seguito dagli abitanti, in base alle indicazioni ricevute dai maestri ma con una padronanza sempre minore delle tecniche costruttive.

La porta monumentale e il posto di guardia[modifica | modifica wikitesto]

La porta e il posto di guardia

L'ingresso principale al castello era costituito da un portale ad arco, di cui restano la soglia e gli stipiti, le mazzette in grandi blocchi squadrati di pietra bianca e grigio-verde, l'alloggio dei cardini e del chiavistello.

Il gioco del mulino

Le dimensioni della porta e l'assenza di tracce di usura sulla pavimentazione, dimostrano che qui non era consentito il transito dei carri, ma solo quello degli animali da soma.

Lungo il corridoio di accesso, in vari punti sono stati incisi simboli, nomi e più volte la griglia del gioco del filetto. Questo gioco, detto anche del mulino, è di origine antica ed è attestato in tutta l’Europa medievale. La presenza delle incisioni suggerisce che l’area era uno spazio pubblico, dove gli abitanti avevano il tempo di sostare.

La struttura a sinistra di chi entra costituiva il posto di guardia; locale aperto sul lato che controlla l’ingresso, e all’interno si trovava una panca in pietra. I turni di guardia erano svolti dagli stessi abitanti del castello come corvée(V) (prestazione d’opera dovuta al signore).

La chiesa[modifica | modifica wikitesto]

Veduta dall'alto

L’area religiosa è costituita dalla chiesa con antistante cimitero. La chiesa è un edificio ad aula a pianta trapezioidale, monoabsidata, di cui resta l’intero elevato, privo soltanto della copertura, che probabilmente era a capriate, con tetto a doppio spiovente. La chiesa era illuminata naturalmente da una croce lucifera (finestra con setto a croce) posta sulla facciata e due strette monofore (finestre strette e allungate), collocate nel catino absidale e sulla parete di destra.

Il primo documento nel quale si parla esplicitamente di una chiesa intitolata a S.Silvestro alla Rocca risale al 1281, periodo della sua costruzione, venne ampliata fra il XII e gli inizi del XIII secolo per l’aumento della popolazione. Nel 1399 era uno dei pochi edifici del villaggio ancora utilizzati; l’ottimo stato di conservazione è probabilmente dovuto la persistere della sede ecclesiastica, anche dopo l’abbandono del centro abitato. L’edificio ha molteplici affinità con le chiese rurali toscane di epoca romanica; si accede all’interno tramite due portali ad arco, uno dei quali collocato sul fianco destro dell’edificio, presenta una bicromia bianco-grigia nei conci.

Il cimitero[modifica | modifica wikitesto]

Davanti al sagrato della chiesa, si trova il cimitero del villaggio: la sua collocazione all’interno dell’abitato è la rappresentazione esplicita dello stretto rapporto fra vita e morte che caratterizzava la società nel medioevo. Le tombe in muratura accostate alla chiesa appartengono probabilmente alla famiglia signorile; mentre le deposizioni comuni avvenivano all’interno dell’area cimiteriale, chiuse da un recinto, ma direttamente nel terreno, prive di cassa lignea o struttura in pietra. La concentrazione di corpi era tale che ogni nuova sepoltura disturbava le precendenti, quindi i resti venivano rimossi e nuovamente interrati con gl’altri.

Lo scavo archeologico ha permesso di indentificare i resti di oltre 600 individui. L’assenza del corredo limita l’identificazione dello status sociale, riconducibile solamente al vestiario ed al corredo personale (piccoli gioielli); dall’esame di tali elementi non sembrano emergere particolari differenze sociali fra gli abitanti.

Lo studio antropologico condotto sui resti, ha dato la possibilità di trarre numerose informazioni sulle condizioni di vita e di salute degli abitanti, dato l’ampio campione di sesso e di età rinvenuto. L’altezza media degli uomini è di 1,65 m e per le donne 1,55 m, l’età media del decesso era 40 anni. Per quanto riguarda lo stato di salute erano frequenti affezioni artitiche, sia negli uomini che nelle donne, probabilmente contratte per le attività di escavazione, trasporto e battitura del minerale, quindi anche le donne erano impiegate nel lavoro della miniera. Tra le malattie pù diffuse si registrano forme parassitarie di vario tipo: alcune derivanti dalla promiscuità con animali domestici, altre dal consumo di determinate qualità di carne infette (echinococcosi cistica). Patologie dell’apparato masticatorio interessano l’erosione e la caduta dei denti, ed infezioni di vario genere. In particolare l’abrasione accentuata è da ricondurre al consumo di farinacei poveri e poco raffinati nella macinazione.

In definitiva, le condizioni di salute degli abitanti sono superiori alla media, a confronto con altri gruppi di popolazione dell’epoca in Toscana; la sua posizione isolata e lo scarso tasso di popolazione, li ha protetti dalle epidemie di contagio frequenti nel medioevo.

Il frantoio[modifica | modifica wikitesto]

Il frantoio è la prima struttura per alla macinazione dell olive ritrovata all'interno di un villaggio bassomedievale, ritrovamento che ha consentito di ricostruire il ciclo produttivo dell'olio all'interno della Rocca, che comprendeva:

  • la frantumazione e la macinazione delle olive, utilizzando la trazione animale per far muovere la macina.
  • la pasta ottenuta veniva raccolta in sacchi di tela o intercalata tra fibre vegetali per essere pressata.
  • in una pressa di legno, infine la pasta veniva spremuta per ottenerne l'olio.

La particolare collocazione del frantoio, a ridosso dell'area signorile e accanto alla chiesa, suggerisce il diretto controllo dei signori nella produzione dell'olio, essendo un bene prezioso per i sui molteplici usi, oltre a quello alimentare era utilizzato nelle lucerne da illuminazione, quindi fondamentale per un villaggio minerario.

Il borgo e la viabilità interna[modifica | modifica wikitesto]

La forma dell’abitato oggi visibile risale alla seconda metà del XIII secolo quando, per le accresciute necessità di abitazioni, il borgo si era sviluppato su tutto il versante orientale dell’insediamento.

Ogni isolato è separato da quelli attigui mediante una viabilità minore, costituita da stretti viottoli intagliati nella roccia e il più possibile paralleli tra loro. La via principale metteva in comunicazione la porta di accesso con la chiesa e il cassero, da questa si dividevano stretti vicoli che collegavano gli isolati e davano accesso alle abitazioni. Soltanto alcuni tratti di viabilità presentano pavimentazioni in pietra, o dove il dislivello era piuttosto forte si sono registrati interventi di sistemazione tramite rampe di gradini.

Le abitazioni sono disposte su uno o due piani ed hanno una superficie media di 27 metri quadrati. Il tetto, a doppio spiovente su travature in legno, era realizzato in lastre di calcare scistoso, reperibile nella zona. Gli ambienti in cui si viveva erano dotati di pavimenti in terra battuta, di focolari in argilla o malta e di nicchie ricavate nelle murature; gli ambienti a piano terra, usati come stalle e magazzini, hanno generalmente un ingresso diverso ed un paviomento di roccia livellata.

A Rocca San Silvestro, nel momento di massima espansione dell’insediamento (seconda metà del XIII secolo), vivevano 200/250 persone, distribuite in circa 42 abitazioni.

Le miniere di Rocca San Silvestro[modifica | modifica wikitesto]

La valle dei Manienti mette in comunicazione il villaggio di Rocca San Silvestro con il litorale, era quindi una via per il transito del minerale estratto. Nella valle sono ancora visibili i resti delle miniere medievali; dallo scavo archeologico di una di esse è stato possibile determinare le varie fasi del ciclo minerario nel medioevo.

  • I minatori seguivano la vena metallifera attraverso gallerie di dimensioni estremamente ridotte. Gli attrezzi utilizzati erano il mazzuolo e il punteruolo, le cui tracce di scasso sono tutt’ora visibili nelle gallerie. Il minerale a pezzi era poi trasportato a mano in sacchi di pelle o cesti, fino alla superficie.
  • All’esterno della miniera si frantumava il minerale per poter separare i minerali utili dalla roccia. Questa operazione era generalmente svolta dalle donne e dai ragazzi con rudimentali martelli fatti di pietre e ciottoli.
  • Veniva svolta un’ulteriore separazione del minerale, che poteva essere effettuata a mano o con l’aiuto dell’acqua. Una volta ridotto in pezzi ed arricchito, il minerale veniva trasportato all’interno del castello, dove aveva inizio il ciclo metallurgico.

L’area industriale e il ciclo metallurgico[modifica | modifica wikitesto]

L’area di trasformazione metallurgica si dispone su terrazzi artificiali, originariamente utilizzati come cava di materiale da costruzione, si estende nella parte ovest del castello a ridosso del muro di cinta attualmente visibile, sono settori a gradoni molto areati, quindi adatti all’allontanamento dei fumi nocivi prodotti soprattutto dalla lavorazione del piombo.

La zona era sottoposta al controllo del signore: il rame, il piombo e soprattutto l’argento avevano un ruolo fondamentale per la monetazione e in generale per l’economia della società medievale. La metallurgia estrattiva era eseguita da artigiani specializzati, per l’alto livello di conoscenze tecnologiche che implicava e per l’importante valore economico del prodotto.

Si possono distinguere in base al materiale lavorato tre grandi aree di produzione del metallo:

Area di produzione del rame[modifica | modifica wikitesto]

Per la produzione del rame era utilizzato principalmente minerale di calcopirite, che si trovava in abbondanza nelle valli dei Lanzi e del Temperino. Il minerale una volta frantumato veniva arrostito su un piano di pietre e malta, successivamente ridotto con la fusione nei due forni costruiti in porfido e argilla.

Area di produzione del piombo argentifero[modifica | modifica wikitesto]

A Rocca San Silvestro la fusione avveniva sopra un focolare di argilla, dove la galena frantumata, mista a legna secca veniva riscaldata. il piombo fuso poteva depositarsi sul fondo del focolare, oppure fuoriuscire da un apposito condotto ricavato, al momento opportuno, nell'argilla del forno. Non si hanno tracce della separazione dell'argento dal piombo, è probabile infatti che si preferisse trasportarlo sotto forma di pani di piombo, per ragioni di sicurezza nel trasporto, e successivamente farlo lavorare a destinazione.

Area di produzione del ferro[modifica | modifica wikitesto]

Gli impianti dell lavorazione del ferro si trovano nell'area esterna della cinta muraria; il ferro era un bene di prima necessità per la produzione di manufatti necessari alla lavorazione mineraria, quindi non rientrava nelle attività di commercio, ma soddisfava le necessità di consumo interno del centro abitato.

La forgia[modifica | modifica wikitesto]

L'ultima fase di lavorazione avveniva nella forgia, situata ai piedi del castello.

Con l'aiuto di un mantice azionato a mano, il ferro semilavorato veniva riscaldato su un focolare di argilla e quindi estratto e ribattuto dal fabbro. Gli arnesi erano forgiati a caldo sopra un'incudine a base lignea e nel caso fossero utensili da lavoro erano anche carburati e temprati.

Nel piazzale antistante la forgia si trovava la carbonaia, dove veniva immagazzinato il carbone; tutto l'impianto ha funzionato fino alla prima metà del XIII secolo.

Lo scavo archeologico[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1984 è stata avviata la campagna di ricerca archeologica a cura del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell'Università di Siena, in collaborazioni con numerosi Dipartimenti universitari europei. Le indagini sono state sostenute dall'Amministrazione comunale di Campiglia Marittima, dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana e dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali di Pisa.

Lo scavo ha interessato i 2/3 del sito, mettendo in luce la complessa pianificazione urbanistica del villaggio, l'organizzazione interna nello sfruttamento delle miniere e la vita quotidiana dei suoi abitanti.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Rocca di San Silvestro e Campiglia, prime indagini archeologiche. Riccardo Francovich, Roberto Parenti. ed. All'insegna del Giglio, 1987.
  • Rocca San Silvestro. Riccardo Francovich (a cura di) ed. Leonardo de Luca, 1991.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

http://www.parchivaldicornia.it/parco.php?codex=ssil-ved

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Campiglia Marittima