Tanja Frieden

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Tanja Frieden
Nazionalità Bandiera della Svizzera Svizzera
Altezza 173 cm
Peso 65 kg
Snowboard
Termine carriera 2010
Palmarès
Competizione Ori Argenti Bronzi
Olimpiadi 1 0 0

Per maggiori dettagli vedi qui

 

Tanja Frieden (Berna, 6 febbraio 1976) è un'ex snowboarder svizzera.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Olimpiadi di Torino 2006[modifica | modifica wikitesto]

Durante la finale di snowboard cross ai Giochi olimpici di Torino 2006, l'americana Lindsey Jacobellis, apprestandosi a concludere la gara con 43 metri di vantaggio (equivalenti a tre secondi) sulla Frieden, eseguì un'acrobazia durante il penultimo salto, ma atterrò male e cadde. La Frieden riuscì a sorpassarla e a vincere la medaglia d'oro, mentre la Jacobellis, rialzatasi, ottenne l'argento. Alle interviste televisive la Jacobellis inizialmente dichiarò che l'acrobazia era stata compiuta per mantenere la stabilità, ma in seguito ammise che non era necessaria.[1][2][3][4]

La Frieden non poté difendere il proprio titolo ai Giochi olimpici di Vancouver 2010 a causa di un infortunio al tendine d'Achille. Si ritirò quello stesso anno.[5]

La Frieden (numero 5) in gara nel 2009

Palmarès[modifica | modifica wikitesto]

Olimpiadi[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Olympics on Yahoo! Sports – News, Scores, Standings, Rumors, Fantasy Games, su sports.yahoo.com (archiviato dall'url originale il 15 settembre 2018).
  2. ^ (EN) Eric Gaillard, Jacobellis loses shot at gold with stumble, MSNBC, 17 febbraio 2006. URL consultato il 16 febbraio 2019 (archiviato dall'url originale il 20 febbraio 2010).
  3. ^ (EN) Sally Jenkins, Jacobellis Biffs It, Washington Post, 18 febbraio 2006. URL consultato il 16 febbraio 2019 (archiviato dall'url originale il 29 ottobre 2018).
  4. ^ (EN) Copia archiviata, su nbcsports.msnbc.com. URL consultato il 16 febbraio 2019 (archiviato dall'url originale il 20 febbraio 2010).
  5. ^ (EN) Jason Stallman, Four Years After Unlikely Gold, Snowboarder Frieden Retires, in New York Times, 26 gennaio 2010. URL consultato il 16 febbraio 2019 (archiviato dall'url originale il 17 febbraio 2019).

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