Discussione:Discorso sul metodo

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Riporto qui un testo inserito da anonimo in Categoria:Scrittori inglesi. da integrare eventualmente nell'articolo. --Snowdog 19:48, Apr 17, 2005 (CEST)


AUTORE: Descartes Renè TITOLO: Discorso sul metodo.

Sintassi

Il discorso si divide in sei parti, il che ci viene indicato dallo stesso autore nell’introduzione, dove c’è già anche lo scopo dello scritto, e cioè “per un retto uso della propria ragione e per la ricerca della verità nelle scienze”.
Nella prima parte ricorda gli anni della sua formazione scolastica, della sua insoddisfazione verso questi e della sua conseguente decisione di cercare da solo, anche col viaggio, il suo modo di filosofare, liberandosi dagli errori che poteva aver commesso. Spiega la necessità di un buon metodo, visto che la scienza non pretende intelligenze massime, ma solamente un’intelligenza applicata nel modo coretto. Nella seconda parte sono date le regole principali di questo metodo, e cioè: l’evidenza, l’analisi, l’ordine crescente e l’enumerazione. L’evidenza è la caratteristica della conoscenza vera, l’analisi è collegata all’ordine crescente che parte dalle cose più semplici alle più difficili, la numerazione porta alla deduzione secondo un processo coerente e ordinato.
Nella terza parte espone i principi di una “morale provvisoria", che sono:
- l’osservanza degli usi e dei costumi del luogo di nascita, rispettare la religione che ci è stata insegnata e aderire alle opinioni moderate della società;
- decisione nel compiere un’azione anche se incerti;
- vincere con se stessi piuttosto che aspettando che si compia il destino, ed essere pronti a cambiare le proprie idee.
Queste regole sono da seguire rigorosamente.
Nella quarta parte presenta una linea generale della sua metafisica, e il dubbio che lo porta all’affermazione della prima delle verità: COGITOERGO SUM (penso dunque sono). Non solo dunque pensiamo, ma siamo anche delle “cose” che pensano. Se poi io esisto poiché penso, allora tutto ciò che noi percepiamo in modo chiaro è vero.
Nella quinta parte sono esposte alcune teorie fisiche, in particolare la spiegazione dei movimenti del cuore e altri problemi medici, e viene ribadita la differenza che esiste tra l’anima umana e quella animale. Il cuore è il centro del corpo, e da qui Cartesio comincia a descrivere l’anatomia umana. La differenza sostanziale tra l’uomo e le bestie sta nell’anima razionale del corpo, che non si può controllare con delle leggi e si manifesta con l’uso del linguaggio, mentre ciò che accade nella vita vegetativa viene spiegato con le leggi meccaniche. Nella sesta parte vi è un’appassionata difesa della scienza da parte dell’autore, che dichiara di voler dedicarvi tutta la vita.

LE FRASI PIÙ SIGNIFICATIVE DEL LIBRO

- "Mi sembrava di avere tratto nel tentativo di istruirmi un unico utile: la crescente scoperta della mia ignoranza". - "Conversare con gli uomini di altri tempi è quasi come viaggiare". - "Ma se si passa troppo tempo a viaggiare, si finisce col diventare stranieri nel proprio paese". - "Presi la decisione di studiare me stesso (….) e ci riuscii molto meglio, mi pare, che se non mi fossi mai allontanato dal mio paese e dai miei libri". - "Bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verità, penso dunque sono, era così salda e certa da non poter vacillare sotto l’urto di tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici, giudicai di poterla accettare senza scrupolo come il primo principio della filosofia". - "Se non sapessimo che quanto vi è in noi di reale e vero viene da un essere perfetto e infinito, per chiare e distinte che fossero le nostre idee, non avremmo nessuna ragione di essere certi che posseggono la perfezione di essere vere". - "Svegli o addormentati, non dobbiamo mai lasciarci persuadere se non dall’evidenza della nostra ragione".


Riscrittura[modifica wikitesto]

Veramente la compilazione di questa voce difetta di completezza. M'incarico quindi di riscriverla in modo più ampio chiedendo la collaborazione di tutti per renderla migliore e soprattutto accessibile alla comprensione anche di chi non è esperto della materia. Sarò costretto a cancellare alcune parti della voce e me ne scuso con chi ci ha lavorato, ma lo faccio per dare organicità alla mia stesura. Buon lavoro a tutti--Gierre 08:35, 2 giu 2007 (CEST)[rispondi]


In questo passo che segue credo ci sia un errore:

"Il genio maligno però può ingannarmi su tutto meno sul fatto che io d u b i t o che ci sia lui che mi inganna su tutto, e poiché l'azione del dubitare rientra in quella del pensare, questo vuol dire che se io dubito, p e n s o e il pensare appartiene a un c o r p o che sono i o stesso: cogito ergo sum".

Infatti, la conclusione non dovrebbe essere "il pensare appartiene a un corpo che sono io stesso", perché Cartesio non ha ancora provato l'esistenza del proprio corpo, che appartiene alla res extensa, di cui si deve ancora dimostarre l'esistenza; per ora ha solo fissato la prima verità: io esisto come essere pensante, come res cogitans.

Ho qualche dubbio anche su questo passo che segue:

"Qui Cartesio commette un errore linguistico. Egli crede che il pensare possa essere distinto dalle idee che il pensiero pensa. Ma questa distinzione è puramente nominale, verbale, perché in effetti non esiste pensare senza idee né idee senza pensare".

Infatti, Cartesio non mi pare faccia questo errore. Egli dubita del contenuto delle idee, cioè della corrispondenza tra idee e realtà. Cioè, dubita che esista un mondo reale identico o simile alle idee che ne abbiamo. Perciò bisogna dimostrare che non può esistere un genio maligno che ci inganna su tale corrispondenza. --Usher (msg) 11:22, 18 ott 2009 (CEST)[rispondi]

Per chiarire[modifica wikitesto]

  • L'attività del dubitare-pensare non può essere negata dal genio maligno.
  • Questa è la prima certezza.
  • Questa attività deve essere necessariamente connessa a qualcosa che pensa. Se c'è un pensare ci sarà un oggetto a cui questa attività si riferisce
  • e questa cosa dubitante-pensante sono io che sono stato investito dall'azione del genio maligno
  • quindi cogito ergo sum

Cartesio non mi pare faccia questo errore. Egli dubita del contenuto delle idee, cioè della corrispondenza tra idee e realtà

Proprio qui è l'errore linguistico di Cartesio: Il cogito affermava la validità del pensare chiaro e distinto, evidente, con la corrispondenza con la realtà. Quando il pensiero è evidente, dice Cartesio, possiamo essere sicuri che corrisponda alla realtà.

Quindi non occorreva l'ulteriore dimostrazione che quello che egli pensa, ossia quello che egli crede sia il contenuto del pensare diverso dal pensare stesso, cioè le idee, corrispondessero alla realtà. Se Cartesio sente questa necessità questo accade perchè egli distingue pensiero e idee.--Gierre (msg) 07:01, 26 ott 2009 (CET)[rispondi]


Ribadisco che il testo della voce è errato. Descartes con il cogito ergo sum non afferma l'esistenza del proprio corpo, quindi è sbagliata la frase "il pensare appartiene a un corpo che sono io stesso". Nel cogito ergo sum è evidente la certezza dell'esistenza della sostanza pensante, cioè della mente inestesa che sono io stesso con tutte le idee, altrettanto certe, che la mia mente contiene. I corpi sono ancora soggetti al dubbio, ancora non esistono. Ciò vale anche per il mio corpo, di cui ho un'idea, come di tutti gli altri corpi, ma la verità delle mie idee è ancora tutta da dimostrare (e prima bisogna dimostrare la verità dell'idea di Dio). Per Descartes verità significa corrispondenza tra idee che sono nella mente e corpi reali che sono fuori dalla mente. Con il cogito Cartesio afferma l'esistenza della mia mente che pensa, ma il contenuto della mia mente potrebbe essere tutto un sogno, potrei esistere solo io al mondo, perché tutte le idee della mia mente potrebbero essere create da me (tranne l'idea di Dio, e da qui deriva la dimostrazione, ecc.) Questo è ciò che sostiene Descartes. Tutto il resto sono illazioni. E con ciò sono chiariti anche gli altri dubbi su errori di Descartes.--Usher (msg) 19:02, 20 nov 2009 (CET)[rispondi]