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Articoli accademici e Wikipedia, un primo passo


Qualche mese fa è stata lanciata l'iniziativa delle "Topic Pages" su PLOS Computational Biology (una rivista accademica ad accesso aperto): l'idea è di pubblicare su PLOS degli articoli accademici (scritti quindi da ricercatori, e seguendo il processo dei normali articoli accademici) che siano però fatti come voci di Wikipedia, e in parallelo caricarli anche su Wikipedia. In questo modo avrebbero due vite:

  • come un articolo pubblicato ordinario;
  • come voce di Wikipedia, che seguirà la normale evoluzione (e modifica) delle voci di Wikipedia, solo con un'origine un po' diversa.

Per il momento l'unica voce prodotta in questo modo è Circular permutation in proteins (in inglese; a proposito, sarebbe bello se venisse tradotta in italiano), ma dovrebbero seguirne altre.

Per quanto riguarda l'Italia (e l'italiano), Maria Chiara Pievatolo (professoressa di filosofia politica di Pisa che si occupa di open access) ha proposto sulla mailing list di WMI sull'open access di fare qualcosa di simile. L'argomento sarebbe un saggio di Fichte legato alla proprietà intellettuale, Prova dell’illegittimità della ristampa dei libri. Un ragionamento e una parabola. Al momento è online la traduzione del saggio in questione, con la possibilità di commentare i singoli paragrafi: [1]. L'idea è inizialmente di pensare a questa traduzione, caricandola poi su Wiksource, e dopo passare all'articolo sul saggio.

Rispetto all'iniziativa originaria delle Topic Pages ci sono un po' di differenze, fra cui il fatto che in questo caso il processo di revisione non sarà quello usuale nelle riviste accademiche (l'editor chiede ad uno o più referee - che rimangono anonimi - cosa ne pensano della bozza), ma un processo di revisione aperto. Come dicevo sopra, nella pagina con la traduzione del saggio è possibile inserire commenti, anche ai singoli paragrafi; l'idea è che questa dovrebbe diventare la revisione. Per il momento non ce ne sono, ma magari qualcuno di voi lo leggerà e vedrà qualcosa da dire :-)

Vi invito anche a guardare:

- Laurentius(rispondimi) 10:02, 29 lug 2012 (CEST)[rispondi]

@Laurentius: 1) si paga per scrivere su quelle riviste, nemmeno poco tra l'altro; 2) non mi pare siano indicizzate sui principali aggregatori di riviste scientifiche (vedi isi, scopus, bla bla bla), quindi dubito che, vista la simpatia dei nuovi regolamenti ministeriali, una iniziativa del genere, soprattutto nei settori della scienza e della tecnica, possa incontrare il favore dei ricercatori (pubblici) operanti in Italia... --Superfranz83 Scrivi qui 12:30, 29 lug 2012 (CEST)[rispondi]
Mi sembra una bella iniziativa, vorrei saperne di più. @Superfranz83: sul pagamento hai ragione, in effetti è oneroso; tuttavia la rivista citata da Laurentius è indicizzata su Pubmed: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed?term=%22PLoS%20computational%20biology%22[Journal] --Mari (msg) 13:13, 29 lug 2012 (CEST)[rispondi]
Su PLOS si paga per scrivere (meno della media, ma comunque tanto), ma almeno poi l'articolo è in CC BY: sulle riviste non open access si paga per leggere, e *tanto*. PLOS è indicizzata, vedi en:PLoS Computational Biology; il Bollettino telematico di filosofia politica invece non lo è, però non si paga né per leggere né per scrivere, e in più fa un'interessante revisione aperta.
Mari: cosa vuoi sapere? Se t'interessa in generale in tema, potresti iscriverti alla mailing list. - Laurentius(rispondimi) 16:43, 29 lug 2012 (CEST)[rispondi]
@Superfranz83 Premetto: non sono uno specialista ma uno zappaterra. Tu affermi che stanti i nuovi regolamenti ministeriali c'è da dubitare che l'iniziativa possa incontrare il favore dei ricercatori pubblici in Italia. Se pensi che i ricercatori, appunto per la disciplina ministeriale, pubblichino solo quello che è immediatamente valutabile per la carriera, avrai sicuramente ragione. Ma, a mio giudizio, esiste tutta una serie di ricercatori che desiderano che il risultato dei propri studi venga conosciuto da un pubblico più allargato e. qualche volta ci possono essere ricadute indirette.
La mia piccolissima esperienza è di avere costantemente invitato il gruppetto di studiosi di rango universitario che conoscevo a pubblicare su Wikisource, ottenendo diverse risposte positive. In un caso specifico, facilmente individuabile su wikisource, la massiccia pubblicazione di testi, concesi in CC by SA, per la stessa affermazione dell'interessato, ha avuto una ricaduta positiva sulla sua carriera universitaria, con un risultato non solo non sperato, ma nemmeno ipotizzato. Qui si propone un passo in più: non solo mettere in linea i testi, con licenza libera ma anche a sottoporli ad un processo di revisione, sia pure sui generis. Sarà difficile? Almeno qui non si paga per scrivere.
Un po' di ottimismo non guasta.
Una modesta proposra: Come progetto di riferimento più che a Wikipedia, penserei a qualcun altro dei progetti frarelle con un chiaro interprogetto da wikipedia. Mi sembra più facilmente gestibile: del resto è stato più volte detto. Le voci enciclopediche hanno delle loro peculiari caratteristiche di stile e di contenuti, mentre per wikisource, wikibooks, wikiversity vigono regole diverse, problemi questi che a mio avviso sarebbe meglio chiarere tra di noi. Vi immaginate se a fronte di qualche ricerca molto innovativa ma che si discosta dall'opinione prevalente, qualcuno, (a torto o a ragione a priori non lo su può dire),chieda la cancellazione perchè <RO>. --Mizar (ζ Ursae Maioris) (msg) 19:39, 29 lug 2012 (CEST)[rispondi]
P.S. Facendo un paragone tra l'esperimento di PLOS e quello della prof. ssa Pievatolo - Circular permutation in proteins si presta bene come voce di wikipedia, la traduzione del testo di Fichte va bene su Wikisource, ma un approfondito commento dove lo si mette?--Mizar (ζ Ursae Maioris) (msg) 07:52, 30 lug 2012 (CEST)[rispondi]
@Mizar: il fatto è che (parlo per il mio settore), per riuscire a pubblicare un articolo su rivista internazionale (dotata di tutti i requisiti che il ministero ha deciso, fondamentalmente l'indicizzazione appunto), ci vogliono mesi di lavoro e di convalide, oltre che di peer reviewing, sinceramente se dopo 6 mesi di lavoro ti dicono "sì bello ma non conta"... Il punto è che se posso scegliere tra la rivista A che conta e la B che non si sa, scelgo la A, a meno che non sono talmente in avanti con la carriera che mi disinteresso del problema. Considera che per un precario è la differenza tra ritrovarsi a 40 anni a spasso e riuscire ad avere un lavoro... --Superfranz83 Scrivi qui 23:49, 29 lug 2012 (CEST)[rispondi]
Non dubito di quello che dici. Ma l'ipotesi che facevo (probabilmente parlo di settori diversi dal tuo) non è pubblicare su rivista A che conta o su rivista B che non conta. L'ipotesi era che un ricercatore abbia tutta una serie di articoli scientifici e non abbia i soldi per seguire l'orrenda trafila ufficiale in cui pubblica solo chi si può permettere di pagare gli altissimi costi: in tal caso, piuttosto che tenerli nel cassetto molto meglio pubblicarli gratuitamente con la remota speranza, se la cosa assume una certa serietà, di essere almeno conosciuto nell'ambiente.
Il caso a cui facevo riferimento era di una persona, un po' più avanti negli anni, che in vita era stato molto prolifico nelle pubblicazioni, ma che si era sempre visto precluso l'accesso al mondo accademico. Ha pubblicato molte sue opere su Wikisource con licenza libera, sperando solo di allargare un poco il giro dove le sue opere sono conosciute, ed è stato ripreso persino dalla Treccani. Come sorpresa finale l'Università di Milano l'ha chiamato come professore a contratto. Un proverbio milanese dice meglio piuttosto che niente.--Mizar (ζ Ursae Maioris) (msg) 00:46, 30 lug 2012 (CEST)[rispondi]
Piutost che nient, l'è mei piutost! --BohemianRhapsody (msg) 02:12, 30 lug 2012 (CEST)[rispondi]

@Superfranz83 Ciao Superfranz. Chi si occupa di open access ha ben presente i limiti e i problemi che evidenzi (che sono lì, non c'è nulla da fare): eppure qualcosa bisogna fare, perchè l'intero sistema della scholarship (intesa come produzione e pubblicazione scientifica) è, semplicemente , sbagliato.
Al momento, i ricercatori vengono pagati con foondi (pubblici) per produrre ricerca, e li pubblicano (rilasciando tutti i diritti) su riviste con alta reputazione (e IF, ecc.). I ricercatori stessi fanno (gratis) la peer review di questi articoli, e sono i ricercatori che, attraverso le biblioteche accademiche, comprano e sono il target di queste riviste. In questo modo, la ricerca (pubblica) viene pagata due volte dai fondi pubblici (una volta il ricercatore, la seconda attraverso le biblioteche). I ricercatori producono, revisionano e comprano la stessa ricerca. Le case editrici (che mantengono una loro importanza) hanno margini di profitto altissimi per questo (fino al 36-40%). Il fatto è che da più di 20 anni i prezzi delle riviste stanno salendo vertiginosamente, e non diminuiranno. Ora, questa è una situazione difficile da cambiare, perchè è un sistema. I giovani ricercatori (come te, mi pare di capire) si trovano fra l'incudine e il martello: sarebbero anche disposti a pubblicare in riviste ad accesso aperto, ma al momento non gli conviene se la rivista non è "prestigiosa", devono pensare alla loro carriera. Ci sono alcune cose che uno può fare:

  • scegliere, a parità di ranking, una rivista OA rispetto a una ad accesso chiuso
  • controllare su Sherpa/romeo le politiche delle riviste rispetto all'autoarchiviazione, cioè: alcune riviste ti permettono comunque di mettere il tuo articolo in un deposito istituzionale e/o disciplinare, per cui è sicuramente meglio di niente.
  • informarsi e promuovere dove possibile riviste e progetti OA, dato che più si conosce il problema meglio è (come Wikimedia italia abbiamo un piccolo gruppetto di lavoro che se ne interessa).

Infine, fai conto che discipline come la matematica e la fisica da anni oramai sono riusciti a passare all'OA (pensa ad un progetto come SCOAP3, quindi non tutto è impossibile :-) --Aubrey McFato 10:01, 30 lug 2012 (CEST)[rispondi]

Beh, in realtà anche nella matematica la stragrande maggioranza degli articoli vengono pubblicate su riviste a pagamento (pagando per leggerle ma non per pubblicare). Certo il processo è più avanti che in molte altre discipline (cfr. ad esempio en:The Cost of Knowledge), ma di strada da fare ce n'è ancora davvero parecchia.--Sandro_bt (scrivimi) 02:38, 31 lug 2012 (CEST)[rispondi]
Maggioranza sicuramente, ma non stragrande. E poi ci sono cose come l'arXiv dove sono presenti preprint di molti articoli. - Laurentius(rispondimi) 10:20, 31 lug 2012 (CEST)[rispondi]
Ma mi sembra che ci siano già esempi per dimostrare che sia possibile modificare almeno in parte l'assoluta predominanza della grande editoria internazionale. La rivista Retimedievali [2] creata da una serie di professori delle diverse università italiane, ha raggiunto una stima nel mondo specialistico, certificato dal riconoscimento della (Fascia A) per l'area "11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche", Rilasciano i loro testi con licenza CC 3.0. Quando li abbiamo contattati per un chiarimento se la licenza free riguardava oltre gli articoli della rivista, anche gli ebook prodotti [3] hanno avuto la gentilezza di prontamente modificare la formula usata confermando che i testi andavano sotto licenza CC By Sa 3.0. non mi sono posto il problema, ma viste le istituzioni interessate, anche gli autori non pagano nulla.--Mizar (ζ Ursae Maioris) (msg) 13:55, 31 lug 2012 (CEST)[rispondi]

Invito a esprimere commenti al testo di Fichte[modifica wikitesto]

Come ha detto Laurentius si tratta di un esperimento. [4] Ben pochi di noi sono in grado di leggere Fichte in tedesco, e credo, a maggior ragione, a tradurlo. Io sicuramente no. Ma forse tutti noi abbiamo acquisito una certa esperienza pratica in tema di diritto d'autore, che è appunto l'argomento dello scritto di Fichte. Io mi sono permesso di inserire qualche commento (ovviamente non su temi di filosofia) e ho visto che la professoressa ha avuto la pazienza di esaminarli con attenzione. Spero che qualcun altro mi imiti--Mizar (ζ Ursae Maioris) (msg) 13:49, 1 ago 2012 (CEST)[rispondi]