Utente:Vitogent/Sandbox

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Bonifazio(o Fazio) dei Mori Ubaldini

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Figlio di Rinaldo Aldobrandinelli, prende anche lui il nome di Mori Ubaldini. Diventa Notaio, frequentando la Scuola Notarile di Signa, diventando il personaggio più famoso di questa Famiglia in quanto citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia al Canto XVI del Paradiso: « Oh quanto fora meglio esser vicine quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo e a Trespiano aver vostro confine, che averle dentro e sostener lo puzzo del villan d'Aguglion, di quel da Signa, che già per barattare ha l'occhio aguzzo! »

Nonostante quello che pensasse Dante, Bonifazio era un Notaio famoso e potentissimo nella città di Firenze e fu tra i principali attori della fazione dei Neri ad aver contribuito all’esilio dell’Alighieri, tanto da meritarsi nel poema sacro di essere rammentato con note di infamia. Fu Priore nel 1302, 1307, 1311 e nel 1316 governò la città come Gonfaloniere di Giustizia.

Fazio Morubaldini e Dante Alighieri

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Nella Divina Commedia vi sono numerosi richiami a luoghi e personaggi molto noti, soprattutto toscani, che rendono l'opera familiare a molti e da sempre oggetto di grande attenzione da parte di studiosi o di semplici lettori curiosi. Attualissimo anche il profilo della natura umana che Dante disegna nelle tre cantiche, immutata e sempre riconoscibile nei suoi tratti fondamentali, da far dimenticare che quei versi sono stati scritti sette secoli fa. Dante descrive, non senza tristezza, una Firenze molto diversa dalla sua. Si tratta della città "dentro da la cerchia antica", le cui dimensioni erano assai più contenute, quella che "si stava in pace, sobria e pudica", in cui anche le famiglie più importanti vivevano nella morigeratezza dei costumi, senza sfarzo o ambizioni sfrenate. Non c'erano guerre civili che portavano all'esilio dei cittadini e non c'era il commercio frenetico che portava gli uomini ad abbandonare la propria famiglia per avidità di denaro. Firenze era un "dolce ostello", quasi irriconoscibile al tempo in cui Dante scrive. Nel Trecento, con l'arrivo della "gente nova" dal contado e dei "subiti guadagni", la città era diventata infatti un covo di discordie e di lotte. Nell'elencare i luoghi da cui sono venute le nuove famiglie, insieme a Campi, Certaldo e Figline, Dante cita "quel da Signa, che già per barattare ha l'occhio aguzzo" (Pd. X V I , 57): ove "barattare" allude alla pratica della baratteria, ossia ottenere benefìci personali dall'esercizio del potere pubblico. Si riferisce a Fazio o Bonifazio Morubaldini, noto giurista suo contemporaneo, originario di Signa, che ricoprì a Firenze numerose cariche pubbliche di rilievo, fra cui quella di Gonfaloniere di Giustizia nel 1310. Dino Compagni, nella sua Cronica, ricorda come Fazio passò precipitosamente dalla parte dei Bianchi, sconfitti, a quella dei Neri vittoriosi, dei quali fu anche uno dei più accaniti esponenti. Con la sconfitta dei guelfi bianchi e della famiglia dei Cerchi e il passaggio del governo di Firenze ai guelfi neri, capeggiati dalla famiglia dei Donati, svanisce anche il sogno in cui Dante aveva tanto creduto, ossia la separazione del potere temporale da quello spirituale, unico ambito in cui avrebbe dovuto agire la Chiesa, per restare così lontana dalla corruzione. Essa invece comprendeva la "gente ch'ai mondo più traligna", ossia persone che deviano dalla retta via dedicandosi a cose terrene, al potere, diventando così "a Cesare noverca", ossia una matrigna dannosa che ostacolava i potere dell'imperatore invece di comportarsi "come madre a suo figlio benigna". Papa e imperatore avrebbero dovuto camminare insieme svolgendo ciascuno il proprio ruolo senza intralciarsi. Le discordie fiorentine sono, secondo Dante, diretta conseguenza dell'inurbamento delle numerose famiglie del contado che si dedicarono in maniera crescente alla Mercatura e al Cambio, due tra le Arti maggiori più potenti a Firenze, subito dopo quelle dei Giudici e dei Notai. È il caso dei conti Guidi di Montemurlo che, in continua lotta con Pistoia per il possesso del loro castello, si inurbarono nel 1254 quando questo fu venduto a Firenze. Per Dante "sempre la confusion de le persone / principio fu del mal de la cittade, / come del vostro il cibo che s'appone". La mescolanza con gente del contado, venuta con la speranza del guadagno facile, e dei feudatari, snidati dai loro castelli dal comune, è come cibo che si aggiunge a quello non digerito e che non dà salute. La gente del contado viene infatti vista da Dante come dimentica dei valori spirituali e volta solo al guadagno. L'accusa di Dante però non va vista come una condanna della civiltà mercantile in sé, come modo di vivere o di operare, ma delle conseguenze morali che essa può produrre. E in tutta questa rassegna gli Alighieri dove sono? Dante qui non li cita, ma dai documenti risulta che erano fra le famiglie più antiche di Firenze e quindi avevano partecipato al "bene ovrar" dei tempi di Cacciaguida. Questo, che si rivolge al poeta dicendo "io fui la tua radice", era stato fatto cavaliere. Il poeta quindi si fa vanto di appartenere proprio a quella Firenze antica che tanto rimpiange.

'Bibliografia'Testo in grassetto Il testo è tratto quasi interamente da un articolo del Giornale “Contatto” edito dalla Banca di Credito Cooperativo di Signa.