Utente:R.deangelis1/Bloody Sunday

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Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Striscione e croci portate dalle famiglie delle vittime durante la marcia annuale di commemorazione

Tredici persone furono sparate e uccise e un altro uomo morì in seguito per le ferite riportate.[1] La posizione ufficiale dell'Esercito britannico, sostenuta il giorno dopo nella Camera dei Comuni dal ministro degli interni Reginald Maudling, fu che i paracadutisti avessero reagito agli attacchi di alcuni sospetti membri dell'IRA che utilizzavano armi e bombe a chiodi.[2] A parte i soldati, tutti i testimoni oculari - compresi coloro che avevano partecipato alla marcia, i residenti e i giornalisti britannici e irlandesi - sostennero invece che i soldati avessero sparato su una folla disarmata o mirato alla gente in fuga e a coloro che prestavano soccorso ai feriti. Nessun soldato britannico rimase ferito dagli spari o riportò ferite, né furono recuperati proiettili o bombe a chiodi a sostegno delle loro affermazioni.

Il 2 febbraio 1972, giorno in cui dodici delle vittime vennero sepolte, ci fu uno sciopero generale nella Repubblica d'Irlanda, il più grande di questo tipo in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale, in rapporto alla popolazione.[3] Si tennero delle celebrazioni commemorative nelle chiese cattoliche, protestanti e nelle sinagoghe di tutta la Repubblica. Lo stesso giorno, folle inferocite diedero fuoco all'ambasciata britannica nei pressi di Merrion Square a Dublino.[4] Le relazioni anglo-irlandesi toccarono uno dei loro minimi storici quando Patrick Hillery, ministro irlandese degli affari esteri, chiese al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il coinvolgimento nel conflitto nordirlandese di un contingente di pace dell'ONU.[5]

Nei giorni successivi a Bloody Sunday, Bernadette Devlin, nazionalista indipendente membro del Parlamento per la regione del Mid Ulster, espresse la sua rabbia per quelli che percepì come tentativi del Governo Britannico di occultare i resoconti delle sparatorie: lo speaker della camera dei comuni, Selwyn Lloyd, le negava costantemente la possibilità di riferire in Parlamento delle sparatorie a cui aveva assistito in prima persona. Selwyn Lloyd stava espressamente violando la convenzione parlamentare che decretava, invece, che ogni deputato testimone di un incidente in discussione avrebbe avuto l'opportunità di parlarne in Parlamento.[6][2] In seguito, arrivò a schiaffeggiare Reginald Maudling per aver dichiarato che l'Esercito britannico avesse sparato solo per autodifesa.[7] Ne conseguì la sua temporanea sospensione dal Parlamento.[8]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Il ferito Gerald Donaghy fu portato da Glenfada Park in una casa vicina, dove fu curato da un medico civile, mentre altri presenti lo perquisirono per identificarlo prima di portarlo in auto in ospedale. Durante il tragitto, l'auto fu fermata da un posto di blocco dell'esercito, il conducente e l'altro passeggero civile furono arrestati e portati via. L'auto fu poi portata in un punto di primo soccorso dell'esercito, dove Donaghy fu esaminato da un medico della Royal Army Medical Corps e fu dichiarato morto. Qualche tempo dopo, un ufficiale della RUC riferì che quattro grandi bombe a chiodo erano state ritrovate nelle tasche della giacca di jeans e nei pantaloni di Donaghy. Pur riconoscendo il sospetto che le bombe fossero state piazzate sul corpo di Donaghy, Widgery decise che, sebbene fosse stato perquisito o esaminato da almeno quattro persone, "penso che, sulla bilancia delle probabilità, le bombe siano state nelle tasche di Donaghy per tutto il tempo".[9]

  1. ^ The victims of Bloody Sunday, in BBC News, 15 giugno 2010. URL consultato il 29 gennaio 2017 (archiviato il 22 aprile 2017).
  2. ^ a b Northern Ireland - Volume 830, su Hansard, Parlamento del Regno Unito, 31 gennaio 1972.
  3. ^ Bloody Sunday helped reconcile Southern nationalists to partition, in Irish Times. URL consultato il 26 settembre 2015 (archiviato il 27 settembre 2015).
  4. ^ 1972: British embassy in Dublin destroyed, su BBC News, 2 febbraio 1972. URL consultato il 1º febbraio 2009 (archiviato il 25 novembre 2012).
  5. ^ Tim Pat Coogan, The troubles: Ireland's ordeal, 1966–1996, and the search for peace, Palgrave Macmillan, 2002, p. 107, ISBN 978-1-57098-144-9. URL consultato il 16 giugno 2010 (archiviato il 13 gennaio 2017).
  6. ^ Ros Wynne-Jones, Daughters of Ireland, in The Independent, 9 marzo 1997. URL consultato il 6 gennaio 2015 (archiviato il 6 gennaio 2015).
  7. ^ 1969: Devlin is youngest-ever woman MP, BBC, 17 aprile 1969. URL consultato il 2 giugno 2007 (archiviato il 23 giugno 2007).
  8. ^ David McKittrick, Bloody Sunday: the ghosts that won't lie down, in The Independent, 26 gennaio 1997. URL consultato il 25 marzo 2020 (archiviato il 25 marzo 2020).
  9. ^ Widgery – Report of the Tribunal, paragraph 88