Utente:Pwinger/Una dichiarazione di indipendenza del cyberspazio

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Barlow al decimo anniversario della sua "Dichiarazione"

"Una dichiarazione di indipendenza del cyberspazio" (in inglese, "A Declaration of the Independence of Cyberspace") è un primo documento ampiamente diffuso sull'applicabilità o meno dei governi alla rapida crescita di Internet.[1]

Commissionato per il pionieristico progetto Internet 24 Hours in Cyberspace, è stato scritto da John Perry Barlow, fondatore della Electronic Frontier Foundation, e pubblicato online l'8 febbraio 1996 da Davos, in Svizzera.[2] È stato scritto principalmente in risposta all'approvazione della Legge sulle Telecomunicazioni del 1996 negli Stati Uniti (US Telecommunication Act of 1996). Nel 2014, il Department of Records ha registrato e diffuso contenuti audio e video della lettura della Dichiarazione da parte di Barlow.[3][4]

Contesto[modifica | modifica wikitesto]

Al momento della stesura del documento, Barlow aveva già scritto molto su Internet e sui suoi fenomeni sociali e legali[5], oltre a essere membro fondatore della Electronic Frontier Foundation[6]. L'opera per cui era più conosciuto in precedenza, "The Economy of Ideas", pubblicata nel marzo 1994 sulla rivista Wired, faceva anche allusioni a Thomas Jefferson e ad alcune delle idee di cui avrebbe scritto nella sua dichiarazione.

Contenuto[modifica | modifica wikitesto]

(EN)

«Governments of the Industrial World, you weary giants of flesh and steel, I come from Cyberspace, the new home of Mind. On behalf of the future, I ask you of the past to leave us alone. You are not welcome among us. You have no sovereignty where we gather.»

(IT)

«Governi del mondo industriale, stanchi giganti di carne e acciaio, vengo dal cyberspazio, la nuova casa della mente. A nome del futuro, chiedo a voi del passato di lasciarci in pace. Non siete i benvenuti tra noi. Non avete alcuna sovranità sul luogo in cui ci riuniamo.»

La dichiarazione espone, in sedici brevi paragrafi, una critica al governo e al controllo di Internet da parte di qualsiasi forza esterna, in particolare gli Stati Uniti. Essa afferma che gli Stati Uniti non hanno il consenso dei governati per applicare le leggi a Internet e che quest'ultimo è al di fuori dei confini di qualsiasi Paese. Il documento si esprime con un linguaggio che evoca la Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti, che cita obliquamente nei paragrafi finali. Pur citando il Telecommunications Act, il documento accusa anche Cina, Germania, Francia, Russia, Singapore e Italia di soffocare Internet.[7]

Risposta della critica[modifica | modifica wikitesto]

A causa dell'argomento trattato, l'opera di Barlow è diventata rapidamente famosa e ampiamente discussa principalmente su Internet. Nel giro di tre mesi, si stima che circa 5.000 siti Web avessero copie della dichiarazione[8]. Per avvicinarsi alla visione di Barlow di un Internet autogovernato, il Cyberspace Law Institute, ora ospitato dal Chicago-Kent College of Law, ha istituito un magistrato virtuale[9]. I magistrati sarebbero stati nominati dall'Istituto e da altri gruppi legali per risolvere le controversie online. La dichiarazione è stata criticata per le sue incoerenze interne[10]. Anche l'affermazione della dichiarazione secondo cui il "cyberspazio" è un luogo separato dal mondo fisico è stata contestata da chi sottolinea che Internet è sempre legato alla sua geografia di base[11].

Al di fuori di Internet, la ricezione del documento è stata meno positiva. Larry Irving, ex vice-segretario al Commercio degli Stati Uniti, ha affermato che la mancanza di garanzie "rallenterebbe la crescita di quella che probabilmente sarà una grande manna per i consumatori e le imprese"[12]. Sulla rivista online HotWired, un editorialista ha definito il documento semplicemente "baggianate".

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Massimiliano Brolli, La "Dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio", su Red Hot Cyber, 30 aprile 2021. URL consultato l'11 luglio 2023.
  2. ^ John Perry Barlow: Is Cyberspace Still Anti-Sovereign?, su alumni.berkeley.edu, 12 February 2018.
  3. ^ Department of Records, su departmentofrecords.co.
  4. ^ Limited edition vinyl: John Perry Barlow reads "A Declaration of the Independence of Cyberspace" / Boing Boing, su boingboing.net, 8 December 2014.
  5. ^ (EN) dblp: John Perry Barlow, su www.informatik.uni-trier.de. URL consultato l'11 luglio 2023.
  6. ^ (EN) EFF's Board of Directors, su Electronic Frontier Foundation. URL consultato l'11 luglio 2023.
  7. ^ (EN) John Perry Barlow, A Declaration of the Independence of Cyberspace, su Electronic Frontier Foundation, 20 gennaio 2016. URL consultato l'11 luglio 2023.
  8. ^ (EN) 05/06/96 LAW CREEPS ONTO THE LAWLESS NET, su businessweek.com, 28 giugno 1997. URL consultato l'11 luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 28/06/1997).
  9. ^ Janet Osen, Legal brief: The virtual magistrate, in Network Security, vol. 1996, n. 9, 1º settembre 1996, pp. 18, DOI:10.1016/1353-4858(96)84406-0. URL consultato l'11 luglio 2023.
  10. ^ Cyberspace is the Child of the Industrial Age - Defining it as Independent is Nonsense, su web.archive.org, 5 novembre 2016. URL consultato l'11 luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 5 novembre 2016).
  11. ^ (EN) Mark Graham, Geography/internet: ethereal alternate dimensions of cyberspace or grounded augmented realities?: Commentary, in The Geographical Journal, vol. 179, n. 2, 2013-06, pp. 177–182, DOI:10.1111/geoj.12009. URL consultato l'11 luglio 2023.
  12. ^ 05/06/96 LAW CREEPS ONTO THE LAWLESS NET, su web.archive.org, 28 giugno 1997. URL consultato l'11 luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 28 giugno 1997).