Utente:MauroneR125/Revisionismo sul Risorgimento

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Il revisionismo sul Risorgimento è l'esame degli eventi storici riguardanti il processo di unificazione nazionale italiana e delle sue conseguenze immediate. L'approccio revisionista si concentra sull'ipotesi che la storiografia non ha opportunamente esaminato le ragioni dei perdenti, omettendo certi aspetti degli eventi storici. Il periodo storico sul quale si concentrano gli argomenti dei revisionisti corrisponde alla seconda metà del XIX secolo.


Certi revisionisti hanno la tendenza a valutare in modo più negativo della storiografia generalmente diffusa i personaggi chiave dell'unità nazionale italiana, quali Camillo Cavour, Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II di Savoia. In tale modo entrano nel dibattito sulle cause della questione meridionale, sostenendo che il Risorgimento sia stato una vera opera di colonizzazione seguita da una politica di conquista centralizzatrice, a causa della quale il Sud Italia è precipitato in uno stato di arretratezza ancora manifesto.

Altri, riconoscendo lo stato di arretratezza sociale ed economica del Sud prima dell'unificazione e la necessità della sua unione al nascente Regno d'Italia, considerano che le politiche di natura fiscale, doganale ed industriale messe in opera nel Sud dal governo della Casata dei Savoia nel 1861, come anche dei fattori indogeni, hanno ulteriormente impoverito la regione e compromesso lo sviluppo. 

Contesto e fondamenti storici del revisionismo sul Risorgimento[modifica | modifica wikitesto]

L'Italia prima dell'unificazione.

Le idee di base del movimento revisionista cominciarono ad apparire e a rinforzarsi negli anni immediatamente successivi alla trasformazione del Regno di Sardegna in Regno d'Italia, ancora prima della nascita di un dibattito storico. I primi dubbi sulla politica straniera dei Savoia furono sollevati da Giuseppe Mazzini, uno dei teorici dell'unificazione italiana. Infatti Mazzini suggerì nel suo giornale Italia del Popolo, che il governo di Cavour non era interessato al principio di un'Italia unificata, ma semplicemente ad allargare le frontiere dello Stato dei Savoia. Anche dopo l'unificazione, Mazzini ha criticato il governo della nuova nazione su questo tema.


Alla fine del XIX secolo cominciarono ad apparire i primi contributi storiografici alternativi alla storiografia ufficiale. Questi lavori fornirono le fondamenta sulle quali furono costruite le teorie revisioniste.

Un primo esempio fu lo scrittore Alfredo Oriani che criticò il risultato degli eventi del Risorgimento nella sua opera La lotta politica in Italia (1892), nel quale esaminò la differenza tra federalismo e l'unitarismo. Oriani criticò le conquiste Reali come un atto unilaterale di creazione di un nuovo Stato, sostenendo che senza il sostegno di un forte movimento democratico, questo avrebbe avuto delle fondamenta deboli. Quest'opera è considerata come un prototipo del primo revisionismo storiografico sull'Italia moderna, alternativo alla storiografia apologetica dei Savoia.

Delle critiche sul Risorgimento furono anche proposte da Francesco Saverio Nitti che, nelle sue opere Nord e Sud (1900) e L'Italia all'alba del XX secolo (1901), analizzò le conseguenze dell'unità nazionale a partire dalla situazione preunitaria. Secondo Nitti il processo di unificazione non distribuì i benefici in modo equilibrato in tutte le regioni, favorizzando lo sviluppo del Nord alle spese del Sud.

Le idee di Oriani influenzarono il pensiero di Piero Giobetti che, nel 1926, criticò la lasse dirigente nei suoi scritti Risorgimento senza Eroi. Secondo Giobetti, il Risorgimento fu un'opera di una minoranza che rinunciò ad effettuare una profonda rivoluzione sociale e culturale. Di questa rivoluzione mancata nacque uno Stato incapace di rispondere alle esigenze delle masse.

Nella stessa vena politico-morale, ma con dei connotati più palesemente marxisti, si inserisce l'analisi revisionista et anti apologetica di Antonio Gramsci. Nel suo libro Quaderni dal carcere, pubblicato a titolo postumo dopo il 1947, descrisse il Risorgimento come una rivoluzione passiva subita dai contadini, la classe sociale più povera del popolo. 

Il revisionismo di natura storica[modifica | modifica wikitesto]

La reinterpretazione degli eventi del Risorgimento non ha un'origine unica. La critica della storia ufficiale è effettuata da una piccola parte del mondo universitario e da vari ricercatori indipendenti. la crescita di tale movimento culturale, particolarmente questi ultimi cinquant'anni, ha fatto emergere una letteratura sempre più critica verso la storiografia più comune, che sta diventando l'oggetto di contestazioni sempre più polemiche e acute.

Le origini dell'approccio critico del Risorgimento[modifica | modifica wikitesto]

Giacinto de' Sivo.

Negli anni successivi all'annessione del Regno delle due Sicilie, alcuni testimoni dell'epoca fecero pubblicare i primi lavori che proponevano un'analisi critica del processo di unificazione politica della penisola.

Il primo storico a sviluppare una visione storiografica alternativa a quella ufficiale fu probabilmente Giacinto de' Sivo. Proveniente da una famiglia fedele ai Borboni, de' Sivo fu arrestato il 14 Settembre 1860 per aver rifiutato di rendere omaggio a Garibaldi. Nel 1861 pubblicò il suo primo scritto L'Italia e il suo dramma politico nel 1861, nel quale giudicò l'unificazione come un processo elitista e lontano dagli interessi del popolo, a causa delle violenze e delle menzogne diffuse. Quindi, malgrado il rischio di essere accusato dalla giustizia e la difficoltà di trovare delle case editrici per il suo scritto, lo storico redasse la sua opera più importante, Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861, pubblicata in vari volumi tra 1862 e 1867. Nelle sue opere De' Sivo descrisse il processo unitario come un'aggressione verso due Stati sovrani. Il pensiero di De' Sivo fu oggetto di ostracismo per molto tempo, nonostante Benedetto Croce ne abbia rivalutato l'importanza scrivendo una biografia che fu inserita nel libro Una famiglia di patrioti.

Gli anni che seguirono l'unità d'Italia videro anche un boom di scritti, redatti principalmente dagli ex membri dell'esercito delle Due Sicilie, che esponevano la loro interpretazione dei fatti.  Tra i numerosi esempi citiamo i fratelli Pietro e Ludovico Quandel e Giuseppe Buttà. Quest'ultimo, cappellano militare del nono battaglione dell'esercito dei Borbone, è autore di Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta (1875), un'opera autobiografica che racconta la storia della spedizione dei mille, dello sbarco a Marsala fino all'assedio di Gaeta, visto dalla prospettiva dei vinti. Nella descrizione dei fatti, Buttà ha fatto ricorso ad un languaggio tagliente e di un tono più sarcastico di De' Sivo, senza lesinare sulle critiche contro gli ufficiali dei Borbone che accusava di tradimento. Malgrado i limiti risultanti dalla trascrizione di un punto di vista personale, tali scritti sono citati da molti revisionisti che gli attribuiscono un valore di documento storico.

La scuola revisionista[modifica | modifica wikitesto]

Il revisionismo risorgimentale conobbe una netta ripresa a metà del XX secolo dopo la caduta dei Savoia e del fascismo, per i quali il Risorgimento era considerato un mito intoccabile. Il cambiamento delle condizioni politiche hanno permesso la nascita di un gruppo di ricercatori che cominciarono a ridimensionare il valore dell'opera dei Savoia, formulando dei giudizi largamente negativi. A quasi un secolo di distanza da De' Sivo, i membri di quel gruppo ripresero gli argomenti di critica, associando in particolar modo la causa della maggior parte dei problemi del Sul al processo di unificazione nazionale.

Certi revisionisti hanno la tendenza a valutare in modo più negativo della storiografia generalmente diffusa i personaggi chiave dell'unità nazionale italiana, quali Camillo Cavour, Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II di Savoia. In tale modo entrano nel dibattito sulle cause della questione meridionale, sostenendo che il Risorgimento sia stato una vera opera di colonizzazione seguita da una politica di conquista centralizzatrice, a causa della quale il Sud Italia è precipitato in uno stato di arretratezza ancora manifesto.

Altri, riconoscendo lo stato di arretratezza sociale ed economica del Sud prima dell'unificazione e la necessità della sua unione al nascente Regno d'Italia, considerano che le politiche di natura fiscale, doganale ed industriale messe in opera nel Sud dal governo della Casata dei Savoia nel 1861, come anche dei fattori indogeni, hanno ulteriormente impoverito la regione e compromesso lo sviluppo. 

Nello stesso orientamento culturale, Michele Topa segue Carlo Alianello, che, con la sua opera Così finirono i Borbone di Napoli (1959) e I Briganti di Sua Maestà (1967), contribuì a definire una nuova concezione storiografica del Risorgimento, visto dal lato dei vinti.

Nicola Zitara fu un'altra figura di spicco del revisionismo più intransigente. Come Alianello e Topa, lo scrittore calabrese considera l'Italia come il risultato di una operazione di conquista militare e economica a detrimento del Sud. Nei suoi scritti, Zitara esprime le sue convinzioni provenienti da un'analisi economica effettuata conformemente all'ideologia marxista.

Alla fine del XIX secolo cominciarono ad apparire i primi contributi storiografici alternativi alla storiografia ufficiale. Questi lavori fornirono le fondamenta sulle quali furono costruite le teorie revisioniste.



Il revisionismo accademico[modifica | modifica wikitesto]












Dei ricercatori universitari, per la maggior parte di origine straniera, si sono interessati al revisionismo

L'esempio forse più noto è lo storico inglese Denis Mack Smith. Laureato a Cambridge, membro della British Academy, del Wolfson College (Università di Cambridge) dell'All Souls College (Università di Oxford) e dell'American Academy of Arts and Science, ha collaborato con Benedetto Croce.

Mack Smith a analysé dans une longue série d'essais, les personnages les plus importants de l'unité italienne (Garibaldi, Cavour, Mazzini) et les circonstances dans lesquelles ils ont agi. En particulier, dans le livre Cavour e Garibaldi (1954), il dépeint des portraits des deux personnes qui s'éloignent franchement de l'hagiographie diffusée en Italie. En particulier, il définit Garibaldi comme « modéré et empiriquement non-révolutionnaire », « prudent » et « étatique » et il critique sévèrement Cavour, le qualifiant de « malhonnête », « maladroit », « mauvais », « habile » et soulignant qu'il était déterminé à empêcher l'unification de l'Italie s'il y avait une possibilité que le mérite puisse être attribuée aux forces radicales, républicaines, populaires et démocratiques[1]. Même la Maison de Savoie, avec une référence particulière à la Victor-Emmanuel II, est sévèrement critiquée par l'historien dans son livre I Savoia Re d'Italia (1990). Le monarque de l'unité, contrairement au stéréotype de re galantuomo est décrit comme une personne de petite carrure morale (surtout en raison de ses nombreuses aventures extraconjugales) et de la dilapidation de deniers publics. Par ailleurs, l'historien a souligné que le premier roi de l'Italie estimait qu'il y avait « seulement deux modes de gouverner les Italiens, avec les baïonnettes ou la corruption », et que, contrairement à l'image d'un monarque constitutionnel, il pensait cette forme de gouvernement inadaptés aux Italiens. Il avait secrètement rassuré Metternich et le pape Pie IX de sa disponibilité à intervenir contre la République romaine mazzinienne et restaurer l'absolutisme[2].

Le origini dell'approccio critico del Risorgimento[modifica | modifica wikitesto]

Negli anni successivi all'annessione del Regno delle due Sicilie, alcuni testimoni dell'epoca fecero pubblicare i primi lavori che proponevano un'analisi critica del processo di unificazione politica della penisola.

Gli anni che seguirono l'unità d'Italia videro anche un boom di scritti, redatti principalmente dagli ex membri dell'esercito delle Due Sicilie, che esponevano la loro interpretazione dei fatti.  Tra i numerosi esempi citiamo i fratelli Pietro e Ludovico Quandel e Giuseppe Buttà. Quest'ultimo, cappellano militare del nono battaglione dell'esercito dei Borbone, è autore di Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta (1875), un'opera autobiografica che racconta la storia della spedizione dei mille, dello sbarco a Marsala fino all'assedio di Gaeta, visto dalla prospettiva dei vinti. Nella descrizione dei fatti, Buttà ha fatto ricorso ad un languaggio tagliente e di un tono più sarcastico di De' Sivo, senza lesinare sulle critiche contro gli ufficiali dei Borbone che accusava di tradimento. Malgrado i limiti risultanti dalla trascrizione di un punto di vista personale, tali scritti sono citati da molti revisionisti che gli attribuiscono un valore di documento storico.

Idee del revisionismo storico del Risorgimento[modifica | modifica wikitesto]

I revisionisti sostengono che l'invasione del Regno delle Due-Sicilie non era motivato dal desiderio di unificare l'Italia, ma piuttosto danlla volontà del Regno di Sardegna di estendere le sue frontiere a detrimento degli stati vicini, confiscandone le ricchezze per limitare il proprio deficit. Per raggiungere questo obiettivo, il regno di Sardegno, grazie sopratutto al lavoro diplomatico di Cavour, ottenne il sostegno del regno Unito e della Francia che, per ragioni diverse, erano interessate.

In quest'ottica, la spedizione dei Mille non sarebbe stato un movimento spontaneo di qualche idealista, ma la testa  di un'invasione pianificata preceduta da un enorme lavoro di propaganda contro il governo borbonico che serviva ad accentuare l'isolamento diplomatico. Allo stesso momento il governo piemontese avrebbe realizzato una vasta operazione di corruzione degli ufficiali dell'esercito e della marina del Regno delle Due Sicilie. Oltre all'appoggio dell'Inghilterra e marginalmente della Francia, la spedizione dei Mille sarebbe stata effettuata con il sostegno della mafia in Sicilia e della Camorra a Napoli, e sarebbe stata in seguito consolidata dall'invasione del Regno dalle truppe dei Savoia, senza una preventiva dichiarazione di guerra.



Dopo l'invasione dei plebisciti sarebbero stati organizzati, destinati a dipingere la rivoluzione come un movimento popolare spontaneo degli abitanti del Regno delle Due Sicilie, e giustificare l'operazione piemontese difronte all'opinione pubblica europea.

Dopo l'annessione, il Piemonte avrebbe realizzato una operazione di estensione della sua organizzazione statale, con delle regole e personale piemontese, all'insieme del territorio del nuovo Regno d'Italia, annullando le leggi e le organizzazioni secolari e smantellando più o meno coscientemente le attività economiche del Sud in favore di quelle de Nord.

L'aggravarsi improvviso delle condizioni economiche e il forte contrasto sociale e culturale tra Piemontesi e gli abitanti Sud, sarebbe stato all'origine del fenomeno del brigantaggio, interpretato dai revisionisti come un movimento di resistenza (durante il quale i Savoia furono colpevoli di crimini di guerra e deportazioni, massacri, e all'importante emigrazione che toccò i territori meridionali). Certi autori sostengono che l'operazione di annullamento culturale e sociale sarebbero state indotte dalle teorie razziste pubblicate da Lombroso dal 1876 che furono adottate come base pseudo scientifica per giustificare la repressione sul posto, ma tale punto è ancora in discussione.

Situazione economica e sociale delle Due Sicilie[modifica | modifica wikitesto]

Innaugurazione della linea ferroviaria Napoli-Portici

Gli autori revisionisti sostengono che il regno delle Due Sicilie, generalmente descritto come povero e oppresso, era invece un regno dove il popolo viveva in un certo ben essere, con un buon tasso di progresso sociale e culturale, e che attraversava una fase di sviluppo crescente interrotta dalla piemontizzazione.

All'appoggio di tale tesi, i lavori dell'economista lucano Francesco Saverio Nitti sono generalmente citati. All'inizio del XX secolo, quest'ultimo realizzò degli studi economici sulla situazione del Regno delle Due Sicilie e degli altri Stati pre-unitari. Sulla base delle ricerche effettuate, Nitti sostenne che il Regno dell Due Sicilie era stato lo stato pre-unitario che ha apportato meno debiti e più ricchezze pubbliche. Nella sua opera Scienza delle Finanze, Nitti scrisse che la banca del Regno delle Due Sicilie aveva un capitale di 443,3 milioni di lire, più della metà del patrimonio di tutti gli altri stati pre-unitari, mentre il Regno di Sardegna ne aveva 27,1 milioni. Le affermazioni di Nitti, tuttavia, sono state contestate da Giuseppe Fortunato, un altro storico del Sud.

Nel periodo immediatamente precedente alla spedizione dei Mille, la sola Banca delle Due Sicilie (evoluzione della Banca di Napoli fondata nel 1584) gestiva una somma equivalente a 33 milioni di ducati tra depositi pubblici e privati, cioè circa 140 milioni di lire piemontesi (il tasso di cambio tra le due monete era infatti uguale ad un rapporto di 4,25:1 in favore di quella del Regno delle Due Sicilie). A questa somma bisognava aggiungere due milioni di sterline, circa 60 milioni di ducati (e quindi 255 milioni di lire piemontesi) appartenenti personalmente a Francesco II. Ancora 30 milioni di ducati supplementari (equivalenti a 127,5 milioni di lire) erano posseduti dalle banche siciliane. Oltre al banco di napoli già citato, nella capitale del regno delle Due Sicilie erano già presenti una delle quattro filiali europee (le altre erano a Londra, Parigi e Vienna) della banca della famiglia Rothschild.

Idee del revisionismo storico del Risorgimento[modifica | modifica wikitesto]

In quest'ottica, la spedizione dei Mille non sarebbe stato un movimento spontaneo di qualche idealista, ma la testa  di un'invasione pianificata preceduta da un enorme lavoro di propaganda contro il governo borbonico che serviva ad accentuare l'isolamento diplomatico. Allo stesso momento il governo piemontese avrebbe realizzato una vasta operazione di corruzione degli ufficiali dell'esercito e della marina del Regno delle Due Sicilie. Oltre all'appoggio dell'Inghilterra e marginalmente della Francia, la spedizione dei Mille sarebbe stata effettuata con il sostegno della mafia in Sicilia e della Camorra a Napoli, e sarebbe stata in seguito consolidata dall'invasione del Regno dalle truppe dei Savoia, senza una preventiva dichiarazione di guerra.



Notes et références[modifica | modifica wikitesto]

Notes[modifica | modifica wikitesto]

Références[modifica | modifica wikitesto]

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