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Equivalenza[modifica | modifica wikitesto]

Il termine equivalenza può essere definito come la relazione esistente tra un testo di partenza (TP) e un testo di arrivo (TA) o unità linguistiche più piccole[1]. Una volta che due testi vengono descritti come equivalenti, è necessario verificare come viene stabilita questa equivalenza, a che livello e in base a quali caratteristiche è possibile affermare che il testo d'arrivo sia equivalente al testo di partenza[2].

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il termine equivalenza è stato oggetto di discussioni e di controversie, tanto che Hermans[chi? dove?] lo ha definito come una "nozione problematica".

Il famoso slogan di Jakobson "equivalenza nella differenza" mette in evidenza le complicazioni associate alla definizione di questo concetto: si tratta di un termine polisemico, la cui interpretazione varia da studioso a studioso. Alcuni si basano sul concetto matematico di equivalenza, che presuppone simmetria e reversibilità, ma che in linguistica non può essere propriamente accettato. Catford propone un'idea di equivalenza come qualcosa di quantificabile e un'idea di traduzione come semplice processo di sostituzione di ogni elemento della lingua di partenza con l'equivalente più adatto nella lingua di arrivo. Questa idea riduttiva è stata fortemente criticata e vari studiosi hanno proposto una loro visione alternativa: Nida attua una distinzione tra equivalenza formale e dinamica; Kade tra equivalenza totale, facoltativa, approssimativa e zero; Koller tra equivalenza formale, denotativa, connotativa, pragmatica e testo-normativa; Popovič tra equivalenza linguistica, paradigmatica, stilistica e testuale[1].

Tanto dal lavoro di Nida, quando da quello di Koller, risulta evidente che l'equivalenza non dovrebbe essere intesa in termini assoluti, ma solo relativi. La teoria polisistemica di Even-Zohar e altri approcci storico-descrittivi, vedono infatti l'equivalenza come governata da norme socio-culturali, convenzioni letterarie e altri fattori, tutti relativi alla lingua e cultura di arrivo[2].

Con Toury si ha poi un grande cambiamento sul piano dell'equivalenza: egli infatti inverte i ruoli e afferma che se il testo A è considerato una traduzione del testo B, allora l'equivalenza è la relazione tra di loro, che mostrerà il profilo variabile determinato e accettato dal testo di destinazione. Il rapporto di equivalenza è quindi presupposto, e non più definito a priori come veniva fatto in precedenza[3].

Analogamente, Reiss & Vermeer reinterpretano l'equivalenza sulla base di ogni singolo testo, ma, a differenza di Toury, riservano il termine equivalenza per quei casi in cui TP e TA svolgono la stessa funzione comunicativa (Teoria dello Skopos)[1].

Vinay & Darbelnet usano invece il termine equivalenza per riferirsi ad una delle sette tecniche di traduzione: l'equivalenza è una sorta di traduzione obliqua, cioè non si basa sull'uso di categorie parallele esistenti nella lingua di partenza e in quella di arrivo, ma si configura come una procedura che replica la stessa situazione dell'originale, utilizzando una formulazione completamente diversa[1].

Teorie sull'equivalenza[modifica | modifica wikitesto]

Roman Jakobson

Il linguista Roman Jakobson si è occupato del concetto di equivalenza del significato affermando che non può esserci piena equivalenza tra unità di codice portando l'esempio di formaggio in inglese (cheese), che non è identico al russo syr o allo spagnolo queso ecc. L'equivalenza, dunque, non riguarda tanto le unità di codice, quanto l'intero messaggio: è il problema cardine, poiché, appartenendo a due lingue differenti che ritagliano la realtà in modo diverso, le unità di codice stesse saranno diverse. Jakobson affronta quindi il problema del significato e dell'equivalenza analizzando le differenze nella struttura e nel vocabolario delle lingue piuttosto che sull'incapacità di una lingua di rendere un messaggio in un'altra lingua[4].

Nel suo approccio Eugene Nida parte invece da una definizione funzionale di significato, per cui una parola acquisisce significato attraverso il suo contesto e può produrre reazioni diverse a seconda della cultura. Nida sviluppa infatti due tipologie di equivalenza, una formale e l'altra dinamica, rifiutando i vecchi termini come traduzione "letterale", "libera" e "fedele"[4].

Eugene Nida

Equivalenza formale: L'equivalenza formale riguarda la struttura del testo di partenza; il messaggio nella lingua ricevente deve quindi corrispondere il più possibile ai diversi elementi della lingua lingua di partenza. Un esempio di equivalenza formale sono le glosse[4].

Equivalenza dinamica o funzionale: L'equivalenza dinamica, o funzionale, si basa su quello che Nida chiama "effetto equivalente", cioè una relazione tra recettore e messaggio d'arrivo che dovrebbe essere sostanzialmente simile a quella dei riceventi originali del messaggio di partenza. Il messaggio deve essere adattato alle esigenze linguistiche e alle aspettative culturali del ricevente e mira alla completa naturalezza dell'espressione[4].

Peter Newmark si distacca dall'equivalenza formale e dinamica di Nida, affermando che l'effetto equivalente è un'illusione[4]. Newmark suggerisce di sostituire i vecchi termini di equivalenza formale e dinamica rispettivamente con quelli di traduzione semantica e comunicativa. La traduzione comunicativa cerca di produrre sui lettori un effetto il più possibile simile a quello ottenuto dai lettori del testo di partenza. La traduzione semantica cerca di rendere, per quanto consentito dalle strutture semantiche e sintattiche della lingua di arrivo, l'esatto significato contestuale dell'originale[5].

Tra i più importanti studiosi tedeschi in ambito della traduzione emerge Werner Koller, che esamina più da vicino il concetto di Äquivalenz quello di Korrespondenz, ovvero equivalenza e corrispondenza. La corrispondenza rientra nel campo della linguistica contrastiva, che confronta due sistemi linguistici e descrive differenze e somiglianze contrastanti, e i suoi parametri di riferimento sono quelli della langue di Saussure. Esempi forniti da Koller sono l'identificazione di falsi amici e di segni di interferenza lessicale, morfologica e sintattica. L'equivalenza, invece, si riferisce a voci equivalenti in determinate coppie di testi di partenza e di arrivo in contesti specifici, in cui i parametri sono quelli della parole di Saussure.

Koller descrive cinque diversi tipi di equivalenza:

  1. L'equivalenza denotativa, legata all'equivalenza del contenuto extralinguistico di un testo. In altre teorie della traduzione, dice Koller, questa equivalenza è denominata 'invarianza del contenuto'.
  2. L'equivalenza connotativa, dipendente invece dalle scelte lessicali, in particolare tra quasi-sinonimi. Koller parla di quella che altrove viene definita 'equivalenza stilistica'.
  3. L'equivalenza testo-normativa è legata ai tipi di testo, con diversi tipi di testi che si comportano in modi diversi. Ciò trova un collegamento con il  lavoro di Katharina Reiss.
  4. L'equivalenza pragmatica, o 'equivalenza comunicativa', è orientata verso il significato del testo o del messaggio. Questa coincide con l'equivalenza dinamica di Nida.
  5. L'equivalenza formale, derivante dalla forma e dall'estetica del testo, comprende i giochi di parole e le caratteristiche stilistiche individuali del testo di partenza. Viene anche chiamata 'equivalenza espressiva' e non va confusa con lo stesso termine usato da Nida[4].

Critiche alle teorie sull'equivalenza[modifica | modifica wikitesto]

Una delle prime critiche alle teorie sull'equivalenza viene mossa da Katharina Reiss. Reiss parte dalla suddivisione di Bühler delle funzioni linguistiche per individuare le tipologie testuali: testo informativo, testo espressivo, testo vocativo e testo audiovisivo. Il lavoro di Reiss è importante perché sposta la teoria della traduzione al di là della considerazione dei livelli linguistici inferiori, delle mere parole sulla pagina, al di là anche dell'effetto che esse creano, per portarla alla considerazione dello scopo comunicativo[4].

Mary Snell-Hornby considera l'equivalenza un concetto "inadeguato", mostrando attraverso i suoi studi che l'idea di simmetria tra le lingue (inevitabilmente alla base della nozione di equivalenza) è semplicemente illusoria. L'approccio di Snell-Hornby, definito "approccio integrato", cerca di integrare un'ampia varietà di concetti linguistici e letterari diversi.

Mary Snell-Hornby con il suo "approccio integrato" cerca di riunire e sistematizzare le teorie proposte nel tempo, escludendo però da queste il concetto di equivalenza, considerata inadatta come concetto di base nella teoria della traduzione. A detta di Pym, uno degli aspetti più notevoli di questo approccio era proprio il numero di elementi esclusi: Snell-Hornby riduce gli innumerevoli e notevoli studi portati avanti negli anni ad una semplice e inconcludente "accesa discussione" sull'opposizione parola/senso. La cosa interessante, tuttavia, è il tentativo portato avanti di evidenziare dove il paradigma dell'equivalenza non avesse funzionato, cosa che Toury o Vermeer, ad esempio, non avevano fatto.

Snell-Hornby riconosce che tale paradigma aveva originariamente superato il conflitto tra strategie di traduzione "fedeli" e "libere" e che, nel corso degli anni '70, il termine inglese "equivalenza" era diventato sempre più approssimativo e vago fino a diventare del tutto privo di significato, mentre in ambito tedesco aveva assunto caratteri sempre più statici e unidimensionali. Il concetto di equivalenza aveva creato un'illusione di simmetria tra lingue mentre distorce la visione dei problemi alla base della traduzione, come testimonia la stessa mancanza di equivalenza tra il termine "equivalence” e quello tedesco “Äquivalenz”.

Per Pym emergono diversi problemi in relazione al concetto di equivalenza: innanzitutto, se il termine "equivalenza" fosse davvero polisemico (Snell-Hornby sosteneva infatti di aver individuato cinquantotto diversi tipi negli usi tedeschi del termine), come si può essere così sicuri che crei un'illusione di simmetria tra le lingue? Pym si chiede da dove Snell-Hornby abbia tratto quest'idea, considerando teorie come quella di Seleskovitch, dove si sostiene che l'equivalenza funzionale sia tanto più facile da raggiungere quanto più le lingue sono diverse, o il concetto di equivalenza dinamica di Nida, che presuppone sostanziale asimmetria linguistica, o ancora, la proposta di Koller, che si basava sullo studio dell'equivalenza sul piano della parole, lasciando alla linguistica comparata tutta la questione delle simmetrie o dissimmetrie a livello delle diverse langue. Sembra dunque che Snell-Hornby abbia presentato una gamma limitata di utilizzi, proiettando su questi una propria idea e pensando poi che tutti gli altri avessero la stessa illusione di simmetria.

Sebbene le critiche degli anni '80 abbiano aperto nuove strade, sembra che queste abbiano fatto poco per comprendere la logica dei paradigmi precedenti. Un approccio più comprensivo consisterebbe nell'includere tali considerazioni in qualcosa di simile alla definizione di Gutt di traduzione diretta come un enunciato che crea una presunzione di completa somiglianza interpretativa. Piuttosto che costringere qualsiasi traduttore a diventare un "cercatore di equivalenze", come scriveva Mossop, occorrerebbe riconoscere ma non necessariamente giustificare un'illusione che permette alle traduzioni - e ai traduttori - di funzionare[6].

La teoria dello Skopos di Hans J. Vermeer, considera la traduzione come essenzialmente dipendente dal suo scopo e dalla sua situazione nella cultura d'arrivo. [2] Concentrarsi sullo scopo di un testo significava essere orientati al testo di arrivo piuttosto che al testo di partenza. La teoria dello Skopos mette così in secondo piano l'equivalenza concentrandosi sullo scopo di un testo e la sua funzione. I punti cardini della teoria dello Skopos sono i seguenti[4]:

  1. Un'azione traduttiva (translation) è determinata dallo skopos
  2. Una traduzione è un'offerta di informazioni (Informationsangebot) in una cultura e lingua di arrivo rispetto a un'offerta di informazioni in una cultura e lingua di partenza.
  3. Un testo d'arrivo non dà inizio a un'offerta di informazioni reversibile
  4. Il testo di arrivo deve essere coerente.
  5. Il testo di arrivo deve essere coerente con il testo di partenza
  6. queste regole seguono un ordine di importanza, lo skopos è il più importante

Un importante vantaggio della teoria dello Skopos è che consente di tradurre lo stesso testo in modi diversi a seconda dello scopo del testo di partenza e dell'incarico affidato al traduttore[4].

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Moira Cowie, Dictionary of translation studies, St. Jerome Pub, 1997, ISBN 1-900650-03-7, OCLC 40516996. URL consultato il 2 dicembre 2022.
  2. ^ a b c Giuseppe Palumbo, Key terms in translation studies, Continuum, 2009, ISBN 978-1-4411-0871-5, OCLC 676699750. URL consultato il 2 dicembre 2022.
  3. ^ Luc van Doorslaer, Handbook of translation studies. Vol. 3., John Benjamins Pub. Co, 2012, ISBN 978-90-272-7306-2, OCLC 870963124. URL consultato il 4 dicembre 2022.
  4. ^ a b c d e f g h i Jeremy Munday, Introducing translation studies : theories and applications, 3rd ed, Routledge, 2012, ISBN 978-0-415-58486-9, OCLC 757147295. URL consultato il 2 dicembre 2022.
  5. ^ Peter Newmark, Approaches to translation, 1st ed, Pergamon Press, 1981, ISBN 0-08-024603-6, OCLC 6813775. URL consultato il 3 dicembre 2022.
  6. ^ (EN) Anthony Pym, European Translation Studies, Une science qui dérange, and Why Equivalence Needn’t Be a Dirty Word, in TTR : traduction, terminologie, rédaction, vol. 8, n. 1, 1995, pp. 153–176, DOI:10.7202/037200ar. URL consultato il 6 gennaio 2023.

Voci Correlate[modifica | modifica wikitesto]