Utente:GiuliaLgiraffa/Sandbox

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I rituali di degradazione, nell'ambito delle istituzioni totali, consistono in attività che hanno lo scopo di abbassare lo status sociale di un individuo, ai fini di “svergognarlo” per aver violato delle norme. [1]

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Il sociologo statunitense Erving Goffman sottolinea che i riti di degradazione partono da operazioni materiali, quali, ad esempio, spogliare, visitare e rivestire con una divisa da internato, creare un fascicolo personale, assegnare un numero di matricola, rasare la barba e i capelli, requisire oggetti personali[2].

Nelle cerimonie di degradazione una grande importanza è data dalla presenza di un pubblico. Infatti, tali cerimonie appartengono alla grande famiglia dei riti di passaggio: al centro vi è un duplice processo di de-identificazione e di ri-identificazione, mediante il quale l’abbassamento dello status del recluso viene pubblicamente riconosciuto e rettificato.[1]

La prova che la degradazione è riuscita consiste nell’accettazione sociale di questa ri-identificazione del soggetto e nel fatto che gli altri membri della comunità lo trattino come un individuo diverso a quello che sembrava precedentemente.[1]

Rituali di degradazione nelle carceri[modifica | modifica wikitesto]

Il carcere è uno dei luoghi in cui operano i rituali di degradazione: l'obiettivo è quello di dare una nuova identità al neo-detenuto.[2] Se si guarda al carcere disciplinare, da sempre sono stati attuati questi rituali nei confronti dei neo-detenuti. In particolare, già nelle inchieste sui bagni penali francesi di Maurice Alhoy, durante la Monarchia di Luglio, il letterato-giornalista descrive con delle illustrazioni la divisa del forzato. Il gesto di farsi consegnare all’entrata i vestiti abituali per importare quelli previsti dal regolamento interno è, infatti, uno dei rituali di degradazione dell’individuo più rilevanti.[3] Pochi anni più tardi, anche Henry Mayhew, descrivendo la nuova realtà dei carceri disciplinari inglesi, sottolinea come tra i riti di degradazione che portano alla privazione degli elementi fisici (come gli abiti cd. civili) e socio-culturali (come nome, sostituito con un numero di matricola) che connotano l’identità del detenuto vi sia anche la privazione del volto attraverso l’utilizzo di una maschera. In questo modo il detenuto veniva privato proprio dell’elemento fondamentale che caratterizza la persona.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Pier Paolo Giglioli, Sandra Cavicchioli e Giolo Fele, Rituali di degradazione - Anatomia del processo Cusani, Il Mulino, 1977, ISBN 8815057137.
  2. ^ a b Amedeo Cottino, Lineamenti di sociologia del diritto, Zanichelli Editore, 2019, ISBN 8808420248.
  3. ^ a b Claudio Sarzotti, Storia della penalità e modi di comunicazione, Edizioni Antigone, 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Pier Paolo Giglioli, Sandra Cavicchioli, Giolo Fele (1997), Rituali di degradazione - Anatomia del processo Cusani, Il Mulino, 1997
  • Amedeo Cottino, Lineamenti di sociologia del diritto, Zanichelli Editore, 1997
  • Claudio Sarzotti, Storia della penalità e modi di comunicazione, Edizioni Antigone, 2021

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]