Donato Ferrario: differenze tra le versioni

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===Gli Investimenti===
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I possedimenti cittadini di Donato Ferrario consistevano in circa venti sedimi (lotti di terreno edificabili comprendenti strutture ad uso abitativo e lavorativo, in particolare botteghe), concentrati in tre aree: [[Porta Romana]], [[Porta Orientale]] e Porta Comacina; le prime due erano contigue fra loro nella zona sud-est della città, la terza, procedendo in senso antiorario, era sita a nord e separata dalle prime dal quartiere in cui risiedeva Donato.
I possedimenti cittadini di Donato Ferrario consistevano in circa venti sedimi (lotti di terreno edificabili comprendenti strutture ad uso abitativo e lavorativo, in particolare botteghe), concentrati in tre aree: [[Porta Romana]], [[Porta Orientale]] e [[Porta Comasina]]; le prime due erano contigue fra loro nella zona sud-est della città, la terza, procedendo in senso antiorario, era sita a nord e separata dalle prime dal quartiere in cui risiedeva Donato.


Gli investimenti foresi, cioè extra-cittadini, di maggior rilievo furono avviati nell’area a sud-est della città.
Gli investimenti foresi, cioè extra-cittadini, di maggior rilievo furono avviati nell’area a sud-est della città.

Versione delle 11:53, 12 mar 2013

Donato Ferrario da Pantigliate (Pantigliate, 1370-14411444) è stato un mercante italiano.

Biografia

Le origini

L’unica fonte documentale che ci permette di risalire alle origini di Donato Ferrario risiede negli statuti del consorzio elemosiniero dallo stesso fondato e da lui dettati nel 1429: il nome del padre, Antonio (o Antoniolo), la cittadinanza milanese e la residenza nella parrocchia di S. Damiano in Carrubio, a Porta Nuova; della madre non è rimasto nemmeno il nome; di fratelli, sorelle, zii, cugini non compare alcuna traccia.

La vita coniugale

Il Ferrario risulta sposato con Antonia Menclozzi, figlia di Guiffredolo, almeno dal 1405. Donato, homo novus non era sostenuto da un nucleo familiare originario economicamente potente, quindi la presenza di questa donna fu per lui fondamentale, non solo per la sua partecipazione agli affari del marito, ma anche perché ella gli permise di inserirsi in un contesto parentale e patrimoniale di una certa rilevanza, dal momento che i Menclozzi erano una famiglia di spicco nel panorama politico-economico milanese. Antonia non diede figli a Donato, tuttavia portò in casa una nipote, Isabetta de Annono, che «Donatus tenebat in domo pro maritanda». Isabetta partecipava alla conduzione degli affari domestici preoccupandosi ad esempio della fornitura delle scarpe, parte di uso familiare, parte destinata alla vendita.

Anni di attività

Gli Investimenti

I possedimenti cittadini di Donato Ferrario consistevano in circa venti sedimi (lotti di terreno edificabili comprendenti strutture ad uso abitativo e lavorativo, in particolare botteghe), concentrati in tre aree: Porta Romana, Porta Orientale e Porta Comasina; le prime due erano contigue fra loro nella zona sud-est della città, la terza, procedendo in senso antiorario, era sita a nord e separata dalle prime dal quartiere in cui risiedeva Donato.

Gli investimenti foresi, cioè extra-cittadini, di maggior rilievo furono avviati nell’area a sud-est della città. Nei possedimenti di Donato Ferrario venivano coltivati cereali invernali, come la segale e il frumento e cereali primaverili, come l’avena e il miglio, integrati con legumi, verdure e lino. Anche fave, fagioli europei, ceci, cicerchie e veccia, erano indispensabili per l’alimentazione, in quanto se ne ricavava una farina panificabile.

Il commercio

Parte dei capitali di Donato Ferraio venne impegnata per l’allevamento dei bovini e la vendita dei prodotti derivati, e in strutture produttive quali i mulini. Seguendo le tendenze del mercato di quel tempo, egli si era dedicato alla viticoltura e al commercio di stoffe e materie prime tessili, trattando pochissima seta, poco lino e cotone siriano, ma soprattutto lana di provenienza iberica; fra i tessuti prevalgono quelli di qualità medio-bassa, come canovacci (tele di canapa molto usate per gli imballaggi), fustagno e drappi bassi di lana.

Scuola della Divinità

La fondazione

Il 1º novembre di Ognissanti dell’anno 1429 fu una tappa di estremo rilievo nella vita di Donato Ferrario: in una casa della centrale parrocchia milanese di S. Damiano in Carrubio a Porta Nuova, davanti al notaio Maffiolo Buzzi e alla presenza della moglie Antonia Menclozzi, egli fondò un consorzio dalle finalità devozionali e assistenziali, all’epoca assai diffuse in tutta Europa, come espressione della spiritualità e della socialità laicale.

A tale schola venne dato il nome di Scuola della Divinità, in onore della Divinita di Ognissanti da cui Ferrario era stato ispirato in seguito a un sogno avuto cinque anni prima della fondazione della scuola, in cui la Divinità lo aveva esortato a utilizzare l’ampio patrimonio accumulato a vantaggio dei diseredati e dei bisognosi.

Vi è una riproduzione visiva del sogno di Donato in una miniatura apposta sul frontespizio del codice della Scuola: in alto, al centro, Dio padre con in mano una pergamena srotolata, contenente il testo statutario; più in basso, lateralmente, due gruppi di cinque persone in atteggiamento di preghiera e signorilmente abbigliate; la figura divina è inoltre circondata da un cerchio di fuoco entro il quale si intravvedono otto aureole dorate che potrebbero rappresentare i santi a lode dei quali, insieme alla Maestà divina, era stato fondato il consorzio.

Le finalità

I mercanti tardo-medioevali essendo molto ricchi erano oggetto di critica sia da parte della «società cristiana», sia dei francescani, come Bernardino da Siena, i quali, ricordando loro i danni causati dall’usura, li esortavano non solo alla preghiera, ma anche alla carità verso i poveri.

L’iniziativa del Ferrario venne quindi ispirata anche dalla volontà di consacrare il nuovo stato sociale raggiunto attraverso la creazione di un ente assistenziale.

Non solo i pauperes Christi, ma anche i pauperes nobiles qui mendicare erubescant ricevevano assistenza. Questi ultimi costituivano una particolare categoria di poveri, come nobili decaduti, mercanti falliti, artigiani rispettabili ma declassati, i quali pur non essendo poveri in senso assoluto non erano in grado di mantenere un tenore di vita corrispondente al proprio status.

Dopo solo sei anni dalla fondazione, nel 1435, Filippo Maria Visconti eliminò la tassazione dei beni destinati ad essere distribuiti ai poveri, come riconoscimento dell’attività svolta dalla scuola per quam quotidie fiunt multe et ordinate elimosine pauperibus et infirmis de farina, pane, vino et drapo.

Ultimi anni

Il testamento

Donato Ferrario, «sano di mente ma alquanto malato nel corpo», il giorno 13 novembre 1441, nella casa di Porta Romana parrocchia di S. Stefano in Brolo (Basilica di Santo Stefano Maggiore), dettò al notaio Maffiolo Buzzi, già redattore dodici anni prima degli statuti della Divinità, le sue ultime volontà, nominando erede universale la Scuola della Divinità (una norma degli statuti della Scuola della Divinità, infatti, vietava l’ingresso nel consorzio agli uomini con figli e ciò avvalora ulteriormente l’ipotesi che il Ferrario non ne avesse avuti). Egli si preoccupò comunque di assicurare il futuro della moglie Antonia alla quale gli scolari della Divinità avrebbero dovuto consegnare ogni anno, in tre o quattro rate, 36 fiorini d’oro ricavati dai redditi dei beni ereditati.

La morte

Non si possiede un dato preciso intorno alla morte del Ferrario, databile tra la fine del 1441 ed il 1444, ma presumibilmente più vicino alla data di stesura del testamento dato il grave stato di salute del mercante: la contabilità tenuta da Donato si arrestò nel 1440, mentre quattro anni più tardi un elenco di scolari della Divinità, inserito nell’intestazione del libro di conti del consorzio elemosiniero degli anni 1444-1461, non riporta più il nome di Donato Ferrario. Antonia morì il 29 ottobre 1447 e venne sepolta accanto al marito nella Chiesa di Santa Maria alla Scala.

Bibliografia

  • Marina Gazzini, Dare et habere, Il mondo di un mercante milanese del Quattrocento, Firenze, Reti Medievali, Firenze University Press, 2002, ISBN 88-8453-037-7
  • Milano con i poveri. Dalla Congregazione di Carità ad oggi. Saggi storici con catalogo della mostra documentaria nel centenario della legge Crispi, Milano-Rimini, Maggioli, 1990
  • La generosità e la memoria. I luoghi pii elemosinieri di Milano e i loro benefattori attraverso i secoli, a cura di Ivanoe Riboli, Marco Bascapè, Sergio Rebora, Milano, Amministrazione delle II.PP.A.B., 1995
  • Il tesoro dei poveri. Il patrimonio artistico delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (ex Eca) di Milano, a cura di Marco Bascapè, Paolo Galimberti e Sergio Rebora, Milano - Cinisello Balsamo, Amministrazione delle II.PP.A.B. - Silvana Editoriale, 2001
  • Milano. Radici e luoghi della carità, a cura di Lucia Aiello, Marco Bascapè e Sergio Rebora, Torino, Allemandi, 2008

Collegamenti esterni

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