Crocifisso di Santa Croce: differenze tra le versioni

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== Stile ==
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Anche la nuova modalità descritta sopra con cui l'artista usa la punta del pennello per le modulazioni chiaroscurali avvicina l'opera alla [[Maestà del Louvre]] e alle opere successive, post-datando l'opera rispetto al crocifisso aretino. Il superamento di altri retaggi dell'arte bizantina, come la separazione netta tra i muscoli di braccio e avambraccio e la linea continua a dividere il palmo della mano e l'avambraccio, contribuiscono a post-datare l'opera rispetto al [[Crocifisso di San Domenico ad Arezzo|crocifisso aretino]].

Indicative sono anche le vesti dei tre personaggi raffigurati: nessuno ha abiti con l'[[agemina]], ampiamente utilizzata nel [[Crocifisso di San Domenico ad Arezzo|crocifisso di Arezzo]] e mai più usata in tutte le opere successive del maestro.

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Immagine:Cimabue 022.jpg|Dettaglio del volto e del petto
Immagine:Cimabue 026.jpg|Dettaglio del panneggio
Immagine:Cimabue 024.jpg|Madonna
Immagine:Cimabue 023.jpg|San Giovanni
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== Note ==
== Note ==

Versione delle 18:18, 25 nov 2019

Disambiguazione – Se stai cercando il crocifisso di Donatello, vedi Crocifisso di Santa Croce (Donatello).
Crocifisso di Santa Croce
L'opera prima dei danni del 1966
AutoreCimabue
Data1272-1280 circa
Tecnicatempera su tavola
Dimensioni448×390 cm
UbicazioneMuseo di Santa Croce , Firenze
Danni dopo l'inondazione
Il crocifisso oggi

Il Crocifisso di Santa Croce è un'opera di Cimabue, dipinta per la basilica di Santa Croce a Firenze e tuttora ivi conservato. È attribuito al 1272-1280 circa ed è alto 4,48 metri e largo 3,90. È tristemente nota per aver subito danneggiamenti importanti durante l'alluvione del 4 novembre 1966.

Storia

La prima menzione scritta della croce risale al Memoriale di Francesco Albertini (1510), che la considerava da sempre esistente in chiesa. Tutte le fonti antiche (Albertini, Vasari, Borghini, Baldinucci, Bottari, ecc.) lo attribuiscono concordemente a Cimabue, ricordandolo nella basilica. Nel 1948 fu musealizzato agli Uffizi, ma dieci anni dopo, con la sistemazione del museo di Santa Croce, fece il suo ritorno al complesso francescano. Qui fu purtroppo semidistrutta durante l'alluvione di Firenze del 1966, venendo travolta dalle acque, che staccarono irrimediabilmente gran parte della superficie dipinta. Restaurata con la massima cura possibile, la superficie pittorica appare oggi perduta per amplissime porzioni. Nonostante ciò restano le fotografie a testimoniare lo straordinario valore dell'opera.

Nella sua storia critica recente l'opera suscitò numerosi dubbi, anche per le difficoltà di stabilire esattamente i contorni stilistici del corpus di Cimabue in generale. Alessandro Da Morrona negò l'autografia di Cimabue. Gaetano Milanesi, nel monumentale commento alle Vite del Vasari (1848), ritenendo di Cimabue la Madonna Rucellai non ne trovava convergenze stilistiche nella croce, che quindi non gli attribuì. Dubbi ebbero anche Cavalcaselle (1864, poi fautore dell'attribuzione tradizionale dal 1875), Thode, Venturi, Zimmermann (1899), Wackernagel (1902), Van Marle, Vavalà, Weigelt e Offner (1950). Garrison vi ha ravvistato la presenza di aiuti e White lo ha ritenuto opera di bottega. Senza dubbi fu l'attribuzione di Suida (1905) Aubert (1907), confermata poi da tutti gli altri studiosi. Oggi, per l'altissima qualità pittorica, la Croce è senza dubbio riferita al maestro, al massimo ammettendo una partecipazione della bottega in alcuni brani (Nicholson, Salvini, Garrison, Battisti, Boskovitz, Bellosi).

Descrizione

La croce riporta l'iconografia del Christus patiens, cioè un Cristo morente sulla croce, con gli occhi chiusi, la testa appoggiata sulla spalla e il corpo inarcato a sinistra. Il corpo è longilineo e sinuoso e i colori sono arricchiti di una tonalità verde scuro che lo rendono cadaverico, in linea con la concezione dell'opera. Il perizoma è trasparente e rivela le anatomie sottostanti.

I lati della croce sono decorati con figure geometriche che ricordano un drappeggio. Ai lati del braccio orizzontale della croce sono presenti due dolenti a mezzo busto in posizione di compianto, che guardando lo spettatore piegano la testa e l'appoggiano a una mano. Sono la Vergine e san Giovanni evangelista, a sinistra e destra rispettivamente.

In alto è presente il cartiglio I.N.R.I. per esteso. Il tondo in alto (la cimasa) è perduto. Il soppedaneo in basso non è decorato. Alle sue estremità sono presenti dei riquadri raffiguranti le persone care a cristo

Stile

Anche la nuova modalità descritta sopra con cui l'artista usa la punta del pennello per le modulazioni chiaroscurali avvicina l'opera alla Maestà del Louvre e alle opere successive, post-datando l'opera rispetto al crocifisso aretino. Il superamento di altri retaggi dell'arte bizantina, come la separazione netta tra i muscoli di braccio e avambraccio e la linea continua a dividere il palmo della mano e l'avambraccio, contribuiscono a post-datare l'opera rispetto al crocifisso aretino.

Indicative sono anche le vesti dei tre personaggi raffigurati: nessuno ha abiti con l'agemina, ampiamente utilizzata nel crocifisso di Arezzo e mai più usata in tutte le opere successive del maestro.

Note


Bibliografia

  • Eugenio Battisti, Cimabue, Istituto Editoriale Italiano, Milano 1963.
  • Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975. ISBN non esistente
  • Luciano Bellosi, Cimabue, Milano, Federico Motta Editore, 2004.

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