Riforme De' Stefani

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Il ministro Alberto de' Stefani

Le cosiddette riforme De' Stefani, dal nome del ministro delle finanze del governo Mussolini Alberto de' Stefani, che le elaborò e le attuò nel 1923, furono delle riforme liberiste[1] iscritte nella prima fase del fascismo (novembre 1922 e 1923).[2]

Le riforme[modifica | modifica wikitesto]

Le riforme ebbero come obiettivo:[2]

  1. l'accorpamento o fusione di alcuni ministeri affini: ad esempio i ministeri economici furono organizzati in un unico dicastero dell'Economia nazionale; due ministeri finanziari ridotti al solo Ministero delle finanze; le Poste e telegrafi, il Commissariato per la Marina mercantile e quello straordinario per le Ferrovie furono unificate nel nuovo Ministero delle comunicazioni e posto a capo di tre aziende autonome: Poste e telegrafi, Telefonia interurbana e Ferrovie.
  2. eliminazione delle cosiddette "bardature di guerra" con soppressione dei ministeri minori sorte appunto durante il primo conflitto mondiale.
  3. smobilitazione amministrativa cioè epurazione (non necessariamente un termine politico dispregiativo) del personale esorbitante seguita dal 1926 in poi dal blocco ripetuto annualmente dal assunzioni dei ministeri.[3]
  4. spostamento delle ragionerie centrali dei ministeri sotto il controllo gerarchico di carriera della Ragioneria generale dello Stato.
  5. riforma dell'ordinamento gerarchico delle amministrazioni sul modello militare e nuova legge sullo stato giuridico dei dipendenti per spingere i "contagi" con il rapporto di lavoro privato; irrigidimento delle carriere in tre gruppi (A,B,C) e in tredici gradi gerarchici.
  6. conferimento dell'intera materia del pubblico impiego alla giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato.

Questa riforma, benché frutto del governo fascista, condivideva una visione tradizionale quasi ottocentesca della burocrazia con una sorta di autoritarismo fatto proprio dal fascismo ma condivisa nel sistema di valori diffusi nella società ben prima del Fascismo stesso.[2]

Paradossalmente la burocrazia più tradizionale, nonostante questa riforma dichiaratamente anti-burocratica, non uscì affatto sconfitta ma rafforzata.[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sul piano sociale, il fascismo si trovò invece a non condividere alcun pensiero con il liberalismo, specie dopo la crisi Matteotti.
  2. ^ a b c d Marco Meriggi e Leonida Tedoldi (a cura di), Storia delle istituzioni politiche. Dall'antico regime all'era globale., Carrocci editore, pp. 198-199.
  3. ^ Gli impiegati nel 1923 erano circa mezzo milione. Con De Stefani si mira a ridurre il personale, ma in realtà furono ridimensionate davvero solo poche amministrazioni centrali, soprattutto la più senti sindacalizzate come le Poste e telegrafi e specialmente le Ferrovie, colpite almeno per un terzo dei loro operai. In totale il personale delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato al primo gennaio 1926 era calato a 308/309.000 unita.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]