Pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà
Pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà è un motto reso celebre da Antonio Gramsci.
Negli scritti di Gramsci
[modifica | modifica wikitesto]In un editoriale pubblicato su "L'Ordine Nuovo" nell'aprile 1920, Gramsci attribuisce il motto a Romain Rolland:
«La concezione socialista del processo rivoluzionario è caratterizzata da due note fondamentali, che Romain Rolland ha riassunto nel suo motto d'ordine: - Pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà[1].»
Il motto viene ripetuto in un corsivo dello stesso giornale, nel luglio 1920:
«Uno sforzo immane deve essere compiuto dai gruppi comunisti del Partito Socialista, che è quello che è, in ultima analisi, perché l'Italia è nel suo complesso un paese economicamente arretrato. La parola d'ordine: - Pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà, deve essere la parola d'ordine di ogni comunista consapevole degli sforzi e dei sacrifici che sono domandati a chi volontariamente si è assunto un posto di militante nelle file della classe operaia.[2]»
Il motto ritorna a chiusura di un articolo del marzo 1921, in cui Gramsci commenta sfavorevolmente l'esito del quinto congresso della CGdL[3].
Nel dicembre 1929, mentre è detenuto nel carcere di Turi, Gramsci scrive al fratello Carlo una lettera in cui espone il significato morale del motto, mediante il confronto fra il proprio stato d'animo e quello che egli ritiene essere lo stato d'animo di un altro dei fratelli Gramsci, Gennaro, detto Nannaro:
«La tua lettera e ciò che mi scrivi di Nannaro mi hanno interessato molto, ma anche maravigliato. Voi due avete fatto la guerra: specialmente Nannaro ha fatto la guerra in condizioni eccezionali, da minatore, sotto terra, sentendo attraverso il diaframma che separava la sua galleria dalla galleria austriaca il lavoro del nemico per affrettare lo scoppio della mina propria e mandarlo per aria. Mi pare che in tali condizioni, prolungate per anni, con tali esperienze psicologiche, l'uomo dovrebbe aver raggiunto il grado massimo di serenità stoica, e aver acquistato una tale convinzione profonda che l'uomo ha in se stesso la sorgente delle proprie forze morali, che tutto dipende da lui, dalla sua energia, dalla sua volontà, dalla ferrea coerenza dei fini che si propone e dei mezzi che esplica per attuarli - da non disperare mai più e non cadere più in quegli stati d'animo volgari e banali che si chiamano pessimismo e ottimismo. Il mio stato d'animo sintetizza questi due sentimenti e li supera: sono pessimista con l'intelligenza, ma ottimista per la volontà. Penso, in ogni circostanza, alla ipotesi peggiore, per mettere in movimento tutte le riserve di volontà ed essere in grado di abbattere l'ostacolo. Non mi sono fatto mai illusioni e non ho avuto mai delusioni. Mi sono specialmente sempre armato di una pazienza illimitata, non passiva, inerte, ma animata di perseveranza.[4]»
Nel primo dei Quaderni del carcere, in una nota databile fra il maggio 1929 e il maggio 1930, Gramsci scrive:
«Ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare gente sobria, paziente, che non disperi dinanzi ai peggiori orrori e non si esalti a ogni sciocchezza. Pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà.[5]»
Il motto ritorna in chiusura di una breve nota del quaderno 9, databile fra l'aprile-maggio 1932 e il settembre dello stesso anno:
«Passato e presente. Del sognare a occhi aperti e del fantasticare. Prova di mancanza di carattere e di passività. Si immagina che un fatto sia avvenuto e che il meccanismo della necessità sia stato capovolto. La propria iniziativa è divenuta libera. Tutto è facile. Si può ciò che si vuole, e si vuole tutta una serie di cose di cui presentemente si è privi. È, in fondo, il presente capovolto che si proietta nel futuro. Tutto ciò che è represso si scatena. Occorre invece violentemente attirare l’attenzione nel presente così come è, se si vuole trasformarlo. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà.[6]»
Nella lettera a Tatiana Schucht del 29 maggio 1933, Gramsci, riaffermando la propria volontà di "non arrendersi", constata tuttavia che tale suo atteggiamento non è sufficiente a garantirgli la sopravvivenza fisica:
«Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire, pessimista con l'intelligenza e ottimista con la volontà. Cioè, sebbene vedessi lucidamente tutte le condizioni sfavorevoli e fortemente sfavorevoli a ogni miglioramento nella mia situazione (tanto generale, per ciò che riguarda la mia posizione giuridica, come particolare, per ciò che riguarda la mia salute fisica immediata), tuttavia pensavo che con uno sforzo razionalmente condotto, condotto con pazienza e accortezza, senza trascurare nulla nell'organizzare i pochi elementi favorevoli e nel cercare di immunizzare i moltissimi elementi sfavorevoli, fosse stato possibile di ottenere un qualche risultato apprezzabile, di ottenere per lo meno di poter vivere fisicamente, di arrestare il terribile consumo di energie vitali che progressivamente mi sta prostrando. Oggi non penso più così. Ciò non vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per così dire. Ma significa che non vedo più nessuna uscita concreta e non posso più contare su nessuna riserva di forze da esplicare.[7]»
Origine
[modifica | modifica wikitesto]In una relazione ad un convegno, pubblicata nel 1973, il filologo Mazzino Montinari sostenne di aver individuato l'origine della «formula» che Gramsci aveva ripreso da Romain Rolland.
Secondo Montinari, Romain Rolland doveva aver letto tale formula in un libro di memorie della scrittrice Malwida von Meysenbug, della quale lo stesso Rolland era stato amico e collaboratore. Nel passo citato da Montinari, la von Meysenbug rievoca un episodio del suo soggiorno a Sorrento, durante l'inverno 1876-77, assieme a Friedrich Nietzsche:
«Avevamo - a Sorrento una ricca ed eccellente scelta di libri, ma la cosa più bella in tutta quella varietà era un manoscritto, nel quale uno scolaro di Nietzsche aveva riportato le lezioni sulla civiltà greca, tenute da Jacob Burckhardt all'università di Basilea. Nietzsche ce ne dava il suo commento a voce... Particolarmente mi entusiasmò la definizione di Burckhardt sull'essenza del popolo greco: pessimismo della visione del mondo e ottimismo del temperamento.[8]»
Nel 1975 Valentino Gerratana (curatore dell'edizione critica dei Quaderni), seguendo al riguardo il parere di Alfonso Leonetti, ritenne possibile che la frase si trovasse effettivamente nelle opere di Rolland, ma affermò: «non è stato finora ritrovato il luogo esatto in cui Romain Rolland avrebbe usata questa formula»[9]. Anche Gerratana indica come «probabile fonte di ispirazione» per Romain Rolland la citazione da Burckhardt riportata nel libro di Malwida von Meysenbug: «Pessimismus der Weltanschauung und Optimismus des Temperaments»[10]. Gerratana, tuttavia, aggiunge che «formule simili a quella gramsciana si trovano anche in scritti di Francesco Saverio Nitti e di Benoît Malon»[11].
Nel 1994 Frank Rosengarten, nel pubblicare l'edizione inglese delle Lettere dal carcere, ha individuato l'articolo di Romain Rolland da cui Gramsci trasse la citazione: si tratta della recensione al volume di Raymond Lefebvre, Le sacrifice d’Abraham, pubblicata su "L’Humanité", 19 Marzo 1920, poche settimane prima dell'articolo nel quale Gramsci la usa per la prima volta[12].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Discorso agli anarchici, "L'Ordine Nuovo" [settimanale], anno I, n. 43, 3-10 aprile 1920.
- ^ Dove va il Partito Socialista?, "L'Ordine Nuovo" [settimanale], anno II, n. 9, 10 luglio 1920.
- ^ Funzionarismo, "L'Ordine Nuovo" [quotidiano], anno I, n. 63, 4 marzo 1921.
- ^ Antonio Gramsci, lettera a Carlo Gramsci, 19 dicembre 1929.
- ^ Gramsci 1975, p. 75. In seconda stesura questo passaggio (con poche variazioni) riappare in una nota del quaderno 28, databile al 1935: cfr. Gramsci 1975, pp. 2330-1.
- ^ Gramsci 1975, p. 1131.
- ^ Antonio Gramsci, lettera a Tatiana Schucht, 29 maggio 1933.
- ^ Malwida von Meysenbug, citata in: Mazzino Montinari, Per una discussione dell'interpretazione lukacsiana di Nietzsche, in Il caso Nietzsche. Quaderni del convegno, Cremona, Fieschi 1973. Montinari ripubblicò la propria relazione, con il titolo Equivoci marxisti, in Montinari 1981, p. 103.
- ^ Note al testo, in Gramsci 1975, p. 2510. Le note al testo dei Quaderni furono redatte da Gerratana con la collaborazione di Dino Ferreri: cfr. Gramsci 1975, p. XLI.
- ^ Malwida von Meysenbug, Der Lebensabend einer Idealistin, Schutter und Loeffler, Berlin-Leipzig 1898, p. 50, citata nelle Note al testo in Gramsci 1975, p. 2510, ove però la parola «Optimismus» è scritta «Ottimismus» [sic].
- ^ Note al testo, in Gramsci 1975, p. 2510.
- ^ Cfr. Gramsci 1994, p. 300, nota 1.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Antonio Gramsci, Quaderni del carcere. Edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1975.
- (EN) Antonio Gramsci, Letters from Prison, a cura di Frank Rosengarten, tradotto da Raymond Rosenthal, vol. 1, New York, Columbia University Press, 1994, ISBN 978-0-231-07552-7.
- Mazzino Montinari, Su Nietzsche, Roma, Editori Riuniti, 1981.