La peste (ceroplastica)

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La peste
AutoreGaetano Zumbo
Data1690 circa
Materialecera policroma
Dimensioni(misure della teca) 76×93,5×47,8 cm
UbicazioneMuseo La Specola, Firenze

La peste è un gruppo scultoreo in cera realizzato dal ceroplasta Gaetano Zumbo (o Zummo), che fu tra i maggiori maestri del suo tempo in questa tecnica nonché iniziatore della ceroplastica anatomica ad uso medico-didattico.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il teatrino in cera con la raffigurazione della peste è conservato nel Museo La Specola con altre tre analoghe composizioni dello stesso Zumbo: il Trionfo del tempo, il Mal Gallico (cioè la sifilide) e la Corruzione dei corpi (o Sepolcro).

Anche per la ceroplastica della peste si è inizialmente pensato che essa fosse stata realizzata a Firenze negli anni passati dallo Zumbo al servizio della corte granducale come è sicuro sia accaduto per le altre ora a La Specola.

Studi successivi però, sulla base della forte assonanza tra questa composizione e i bozzetti di Mattia Preti per la realizzazione degli affreschi per le porte di Napoli - grande ex voto per la fine della terribile pestilenza partenopea del 1656 - collocano l'opera dello Zumbo piuttosto negli anni trascorsi dal ceroplasta siracusano a Napoli, città che egli abbandonò proprio per trasferirsi, nel 1691, presso la corte dei Medici chiamatovi da Cosimo III. Zumbo forse portò con sé il manufatto in Toscana, quale saggio dimostrativo delle sue capacità di modellatore della cera, oppure la scultura fu acquistata direttamente a Napoli per conto del granduca, che l'apprezzò a tal punto da volere l'autore al suo servizio[1].

Vari decenni dopo, per decisione di Pietro Leopoldo d'Asburgo-Lorena i teatrini di Gaetano Zumbo (eccetto quello del Mal Gallico che nel frattempo era stato donato dai Medici alla famiglia Corsini[2]) vennero trasferiti dalle collezioni granducali al neo-istituito Reale Museo di fisica e storia naturale di Firenze, parte delle cui raccolte, comprese le ceroplastiche medicee, furono poi trasferite a La Specola dove si trovano tuttora[3].

La pubblica esposizione di queste opere dello Zumbo ne favorì la conoscenza: sono menzionate in vari diari di viaggio ove sempre se ne sottolinea, sia pure con ammirazione per la superba maestria del ceroplasta, il senso di raccapriccio che esse suscitano[4]. Tra queste memorie degna di nota è la testimonianza lasciata dal Marchese de Sade sulle cere osservate a Firenze durante il suo viaggio in Italia. Tanto annota de Sade[4]:

«Dans une de ces armoires on voit un sépulcre rempli d’une infinité de cadavres, dans chacun desquels on peut observer les différentes gradations de la dissolution, depuis le cadavre du jour jusqu’à celui que les vers ont totalement dévoré. Cette idée bizarre est l’ouvrage d’un sicilien nommé Zummo. Tout est exécuté en cire et colorié au naturel. L’impression est si forte que les sens paraissent s’avertir mutuellement. On porte naturellement la main au nez, sans s’en apercevoir, en considérant cet horrible détail qu’il est difficile d’examiner sans être rappelé aux sinistres idées de la destruction. Près de cette armoire en est une dans le même genre, représentant un sépulcre de pestiférés, où les mêmes gradations de dissolution s’observent à peu près. On remarque surtout un malheureux, nu, apportant un cadavre qu’il jette avec les autres et qui, suffoqué lui-même par l’odeur et le spectacle, tombe à la renverse et meurt. Ce groupe est d’une vérité effrayante. (Voyage en Italie

Perdurante deve essere stato l'impatto delle macabre composizioni dello Zumbo sulla fantasia del Divin marchese che le descrisse nuovamente nel romanzo Juliette, ovvero le prosperità del vizio (1800).

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Mattia Preti, bozzetto per gli affreschi sulla peste di Napoli, 1657 ca., Napoli, Capodimonte

Benché lo Zumbo abbia dedicato parte significativa della sua attività di ceroplasta alla realizzazione di opere funzionali agli studi anatomici, il diorama della peste, come le altre tre analoghe composizioni fiorentine, risponde piuttosto a finalità artistiche e probabilmente rappresenta un memento mori, cioè un invito alla riflessione sulla caducità dell'esistenza terrena. È un tema frequente nell'arte barocca, stimolato dalle tante sciagure di quel tempo, tra le quali la peste è in primo piano[5].

All'interno di una quinta architettonica è ammassato un groviglio di morti - vecchi, giovani, bambini e finanche un animale - dalle posizioni scomposte: sono i corpi degli appestati falciati dal morbo che i monatti accatastano alla meglio. Entrando in scena dalla destra, infatti, un monatto porta, con visibile sforzo, un altro sventurato a rimpinguare l'orrendo e pietoso mucchio. Sul fondo della scatola, in leggero aggetto, vi è in rilievo (anch'esso in cera) un altro becchino che carica i morti su un carro e in più in lontananza, in un paesaggio spettrale, vediamo le fiamme di un falò (presumibilmente vi si ardono vesti e suppellettili dei defunti).

I corpi affastellati in primo piano sono di vari colori che indicano i diversi stadi di decomposizione cadaverica: dal giallognolo di chi è appena spirato al verde scuro di quelli prossimi alla putrefazione. Al centro della triste catasta umana accresce l'effetto raccapricciante della scena un cadavere rossastro ormai quasi del tutto scheletrito.

Lo spaventoso spettacolo che ci mostra Gaetano Zumbo non oblitera però la grandezza della sua arte: nelle pur ristrette dimensioni del diorama egli colloca un gran numero di personaggi ognuno definito nel minimo dettaglio. Alcuni particolari in effetti sono addirittura difficilmente percettibili ad occhio nudo: si ipotizza che il ceroplasta si avvalesse di lenti di ingrandimento e di strumenti di alta precisione. Anche la cromìa della composizione ne accentua l'effetto orrifico. È un altro aspetto dell'abilità dello Zumbo, maestro nella pigmentazione e nella miscelazione delle cere[6].

La ceroplastica della peste mostra, come rilevato, una complessiva assonanza con uno dei bozzetti di Mattia Preti per i perduti affreschi votivi sulle porte di Napoli, opera con la quale si colgono anche delle puntuali coincidenze rispetto ad alcuni dettagli. Infatti il monatto che porta un corpo verso il groviglio di cadaveri giacenti[7] è quanto mai prossimo, sia pure con un effetto controparte della scultura rispetto al dipinto, alla corrispondente figura del Preti. Lo stesso dicasi del gruppo della madre morta con in grembo un infante (anche qui con la medesima resa in controparte)[1].

È stato notato, infine, che la costruzione della composizione ricorda l'arte presepiale, allo Zumbo forse familiare: questo è un presepe infero, un incubo barocco[5].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Chiara Utro, Gaëtano Giulio Zumbo à la cour des derniers Médicis, in Carnet de l'Ecole Doctorale Histoire de l'art et Archéologie (124-Sorbonne), 2016, pp. 9-10.
  2. ^ Anche il diorama sugli effetti della sifilide si trova oggi nel Museo La Specola, ma vi arrivò molto dopo. Esso si trovava ancora in una residenza Corsini al tempo dell'alluvione di Firenze (1966), durante la quale fu danneggiato ed infatti è l'unico dei quattro gruppi che non si trova più nella sua teca originaria in legno. Dopo il restauro anche questo teatrino fu donato alla medesima sede museale che già custodiva gli altri fatti dallo Zumbo.
  3. ^ Federica Dal Forno, La ceroplastica anatomica e il suo restauro. Un nuovo uso della TAC, una possibile attribuzione a G.G. Zumbo, Nardini Editore, 2016, p. 103.
  4. ^ a b Liliane Ehrhart, Microcosme et immersion: Les teatrini de Gaetano Giulio Zumbo, in Culture & Musées, 32-2018, pp. p. 53-79.
  5. ^ a b Francesco Paolo de Ceglia, I putridi, la sventrata, lo scuoiato. Immagini del corpo nella ceroplastica fiorentina del XVIII secolo, in Journal of Science Communication, 2005, pp. 1-3.
  6. ^ Maria Grazia Cordua, Giancarlo Lanterna, Lisa Lombardi, Rosanna Moradei, Mario Scalini e Laura Speranza, Mirabili orrori. Cere inedite di Gaetano Zumbo dopo il restauro, in OPD Restauro, n. 21 (2009), p. 77-78.
  7. ^ Si osserva che il monatto ha il naso coperto da un pezzo di stoffa per proteggersi dal fetore dei morti in decomposizione. Questo stesso particolare si vede anche in un dipinto di Luca Giordano, raffigurante l'intercessione di san Gennaro per la fine della peste di Napoli - a sua volta una derivazione degli affreschi di Mattia Preti - che è un'altra delle possibili fonti partenopee del teatrino di Gaetano Zumbo.

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