Judenhaus

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Targa commemorativa a Weimar in Belvederer Strasse 6.

Il termine Judenhaus nel linguaggio delle autorità naziste indicava gli edifici residenziali, appartenuti in precedenza agli ebrei, dove venivano alloggiati con la forza esclusivamente inquilini e subaffittuari ebrei,[1] individuati in conformità alla prima ordinanza sulla cittadinanza del Reich del 14 novembre 1935, sezione 5, eccezion fatta per i cosiddetti matrimoni misti privilegiati. In questo modo si liberò più spazio abitativo per la popolazione "di sangue tedesco" a discapito degli ebrei. La misura facilitò la discriminazione degli abitanti ebrei, ponendo fine ai rapporti di vicinato consolidati.

Riduzione della tutela dell'inquilino[modifica | modifica wikitesto]

Targa commemorativa sulla casa di Brühl 6 a Weimar.

L'ordinanza sull'uso della proprietà ebraica[2] obbligò gli ebrei proprietari degli immobili a vendere i loro beni. Il 28 dicembre 1938 Hermann Göring dichiarò che l'arianizzazione delle imprese e dei negozi era una priorità, e che l'arianizzazione della proprietà della casa doveva «essere posta a completamento del processo di arianizzazione. È auspicabile, se possibile, procedere caso per caso in modo che gli ebrei siano riuniti in un'unica abitazione, nella misura in cui le condizioni di locazione lo consentono».[3]

La legge sui rapporti di locazione con gli ebrei[4] indebolì la tutela degli inquilini ebrei. I commenti giuridici sul diritto in materia di alloggi per gli ebrei riportano la motivazione: «Va contro il senso della giustizia dei nazionalsocialisti se i cittadini tedeschi devono vivere nella stessa casa con gli ebrei»[5]

Gli ebrei potevano essere sfrattati dal proprietario di sangue tedesco se fosse stato dimostrato che avevano un altro alloggio, mentre il periodo di locazione a lungo termine concordato contrattualmente fu ridotto per legge. Gli ebrei potevano essere costretti ad accogliere nel loro appartamento i subaffittuari ebrei. Il contratto e l'importo dell'affitto potevano essere determinati dall'autorità comunale.

Il "Decreto sulla riorganizzazione della capitale del Reich, Berlino, e della capitale del movimento, Monaco"[6] aveva introdotto l'obbligo per gli ebrei di Berlino e Monaco di notificare gli alloggi sfitti, con l'obiettivo di sfruttare lo spazio abitativo per gli "inquilini di sangue tedesco".[7] Quando gli sforzi per creare alloggi nelle città di Berlino, Monaco e Vienna non ebbero il successo sperato, il 10 settembre 1940 la tutela degli inquilini e subaffittuari fu ridotta anche nel caso l'edificio fosse passato ad un "ariano", o fosse posseduto o amministrato da una comunità di culto o dall'Associazione degli ebrei del Reich.[8] A tal proposito è esemplare la storia della Haus Bier in Hülchrather Str. 6, pubblicata dal Comune di Colonia[9], per la quale nel 2012 l'artista Gunter Demnig pose per la prima volta una pietra d'inciampo davanti a un edificio residenziale arianizzato.[10]

Sistemazione forzata e situazione abitativa[modifica | modifica wikitesto]

Subito dopo i pogrom del novembre 1938 Göring pensò all'istituizione dei ghetti. Tuttavia, Reinhard Heydrich considerava difficile la sorveglianza della polizia e anzi raccomandava la sistemazione degli ebrei in case ebraiche, contando "sull'occhio vigile di tutta la popolazione".[11]

A partire dall'autunno del 1939, a Vienna e nel Sudetengau anche prima[12], in alcuni casi più tardi come ad Amburgo dall'aprile 1942[13], tutti gli ebrei furono registrati su indicazione della Gestapo, in alcuni casi con la collaborazione forzata dell'Associazione degli ebrei del Reich in Germania, e sistemati coattivamente nelle Judenhaus in condizioni proibitive. Numerosi edifici furono ceduti all'Associazione degli ebrei del Reich perché le comunità religiose più piccole non erano in grado di sostenere la manutenzione necessaria o perché erano state sciolte. Gli ebrei erano spesso costretti a vivere in alloggi di fortuna come asili e scuole, ospizi e ospedali, uffici e sale riunioni, sale di preghiera e anche sale cimiteriali.[14]

Oltre che da ragioni ideologiche, questa misura era dettata anche da concreti interessi materiali. Nell'autunno del 1941 la Stapoleitstelle di Düsseldorf ordinò il raggruppamenti di diverse famiglie ebree in un unico appartamento, "dando per scontato che agli ebrei sarebbero rimaste solo le abitazioni più malsane e povere». Lo spazio abitativo sarebbe stato messo a disposizione della popolazione di sangue tedesco, senza che ciò comportasse "un onere finanziario per il Reich o per le comunità". Tuttavia, gli edifici residenziali non dovevano "essere tutti uno accanto all'altro (divieto di ghettizzazione)".[15]

La già diffusa carenza di alloggi nelle grandi città fu costantemente aggravata dai raid aerei. Alla fine del 1941 più di 1.000 appartamenti ad Amburgo furono distrutti dalle bombe. Un documento confidenziale riporta: "Il piano originario di radunare gli ebrei in diversi luoghi della città è stato abbandonato. Su richiesta del governatore del Reich, il Führer ha ora deciso che gli ebrei che vivono qui dovrebbero essere evacuati a est, ad eccezione degli anziani e dei malati. […] Si prevede [presto] che questa misura metterà a disposizione circa 1.000 appartamenti liberi".[16]

La "casa ebraica" in Knochenhauerstraße 61 (a sinistra) è stata ispezionata dal presidente della comunità ebraica di Hannover, Max Schleisner. (Foto del 1898, archivio fotografico del Museo storico di Hannover).

Ad Hannover la "campagna di reinsediamento" fu completata nel settembre 1941: circa 1.500 ebrei furono concentrati in quindici edifici. Oltre ai fabbricati residenziali, furono occupati gli ex uffici, un centro comunitario con una scuola e l'ospedale israelita.[17] Le Judenhaus a Braunschweig sono esistite dal 1939 al 1943; in seguito tutti i residenti ebrei emigrarono, furono deportati o morirono.

Ad Amburgo, dall'aprile 1942 in poi, tutti i portatori della stella di Davide non ancora deportati furono alloggiati con la forza nelle case ebraiche; dall'autunno 1942 toccò ai partner dei "matrimoni misti non privilegiati". Dal 1943 in alcuni Reichsgau dovettero trasferirsi in queste case anche i partner di "matrimoni misti privilegiati".[18] Sempre ad Amburgo venivano consessi da sei a otto metri quadrati di spazio abitativo a persona.

Un impiegato della Reichsvereinigung riferì da Hannover nel 1941: "Letto accanto al letto, non c'è spazio per i corridoi. […] Mancano tavoli e sedie per scarsità di spazio. […] Appena 3 metri quadrati di superficie."[19] Victor Klemperer descrisse una casa ebrea a Dresda: "Cohns, Stuhlers, noi. Bagno e gabinetto in comune. Cucina insieme agli Stuhler, solo con una separazione a metà – un punto d'acqua per tutti e tre […] È già mezza vita di caserma, ci si inciampa l'uno nell'altro, una confusione."[20]

Secondo un'istruzione dell'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich, le case e gli appartamenti degli ebrei dovevano essere contrassegnati sulla porta d'ingresso con una stella ebraica nera stampata su carta bianca (fino al 15 marzo 1942[21]) e sottoposti al controllo della Gestapo[22]. Klemperer scrisse più volte nei suoi diari di "pogrom con perquisizione domiciliare" da lui stesso denunciati e vissuti, durante i quali i residenti venivano insultati, maltrattati, schiaffeggiati, presi a calci, picchiati e derubati dai funzionari della Gestapo.

«"Sveglia: verranno 'loro' oggi? Quando ci si lava... Dove mettere il sapone se 'loro' vengono adesso? Poi colazione: tira fuori tutto dal nascondiglio, riportalo al nascondiglio. […] Poi lo squillo… È la postina o sono 'loro'?"[23]»

Pianificazione[modifica | modifica wikitesto]

Berlino[modifica | modifica wikitesto]

A partire da gennaio 1941 e soprattutto dalla fine di marzo 1941, numerosi ebrei di Berlino dovettero lasciare le loro case perché la capitale doveva essere ampiamente ridisegnata secondo i piani di Albert Speer.[24] Solo nell'agosto 1941 furono sgomberati più di 5.000 "appartamenti ebraici".[25]

I piani del Ministero della Propaganda del Reich discussi in relazione all'introduzione della stella ebraica nell'agosto 1941 non furono attuati, quindi più di 70.000 ebrei berlinesi furono sfrattati dalle loro case e concentrati nelle baracche.[26] Dall'inizio delle deportazioni degli ebrei tedeschi a Litzmannstadt (Łódź), Minsk e Riga nell'autunno del 1941, ci furono numerosi sgomberi forzati e accorpamenti di appartamenti.

Vienna[modifica | modifica wikitesto]

Il sistema di "arianizzazione" della proprietà residenziale fu ampiamente studiato e presentato utilizzando l'esempio dell'intero edificio residenziale e in particolare dell'appartamento di Sigmund Freud in Berggasse 19 a Vienna.[27][28]

Ungheria[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'occupazione tedesca dell'Ungheria nel marzo 1944, a partire dal maggio 1944, gli ebrei del distretto di Fejér furono stipati dall'amministrazione locale ungherese nelle Judenhaus, in seguito contrassegnate con la stella gialla.[29]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Angelika Schwarz, Von den Wohnstiften zu den „Judenhäusern“, in Angelika Ebbinghaus, Karsten Linne (a cura di), Kein abgeschlossenes Kapitel: Hamburg im „Dritten Reich“, Hamburg, 1997, p. 246, ISBN 3-434-52006-6.
  2. ^ RGBl. I, p. 1709, del 3 dicembre 1938
  3. ^ Documento 215 in: Susanne Heim, Deutsches Reich 1938 – August 1939, in Die Verfolgung und Ermordung der europäischen Juden durch das nationalsozialistische Deutschland 1933–1945, vol. 2, München, 2009, p. 583, ISBN 978-3-486-58523-0.; anche in PS-069: IMT, Der Nürnberger Prozess gegen die Hauptkriegsverbrecher, XXV, p. 132f.
  4. ^ RGBl. I, p. 864, del 30 aprile 1939
  5. ^ Angela Schwarz, Von den Wohnstiften zu den "Judenhäusern", in Kein abgeschlossenes Kapitel: Hamburg im 3. Reich, Stuttgart, Angelika Ebbinghaus e Linne Karsten, Europäische Verlagsanstalt, 1997, p. 238, ISBN 978-3-434-52006-1.
  6. ^ RGBl. I, p. 159 dell'8 febbraio 1939
  7. ^ Verordnung über die Neugestaltung der Reichshauptstadt Berlin und der Hauptstadt der Bewegung München, su alex.onb.ac.at, 8 febbraio 1939. (RGBl. I, S. 159)
  8. ^ Wolf Gruner, Judenverfolgung in Berlin 1933–1945. Eine Chronologie der Behördenmaßnahmen in der Reichshauptstadt., Berlin, 1996, pp. 66-75, ISBN 3-89468-238-8.
  9. ^ (DE) Das Haus Bier in der Hülchrather Straße, su Webseite der Stadt Köln, Stadt Köln. URL consultato il 22 agosto 2018.
  10. ^ Aachener Anwaltverein (a cura di), Hülchrather Straße 6 – ein Kölner Ghettohaus als Wartehalle in den Tod Sieben Stolpersteine am OLG erinnern an ermordete jüdische Bürger (PDF), su Mitteilungen des AAV, Ausgabe 17, marzo 2015, p. 25. URL consultato il 23 luglio 2022 (archiviato dall'url originale il 22 agosto 2018).
  11. ^ Die Verfolgung und Ermordung der europäischen Juden durch das nationalsozialistische Deutschland 1933-1945, in Deutsches Reich 1938 – August 1939, vol. 2, München, 2009, p. 432, ISBN 978-3-486-58523-0, Dokument 146: Besprechung bei Göring….
  12. ^ Andrea Löw, Die Verfolgung und Ermordung der europäischen Juden durch das nationalsozialistische Deutschland 1933-1945, in Deutsches Reich und Protektorat September 1939 – September 1941, vol. 3, München, 2012, p. 43, ISBN 978-3-486-58524-7.
  13. ^ Ina Lorenz, Das Leben der Hamburger Juden im Zeichen der „Endlösung“, in Arno Herzig, Ina Lorenz (a cura di), Verdrängung und Vernichtung der Juden unter dem Nationalsozialismus, Hamburg, 1992, p. 215, ISBN 3-7672-1173-4.
  14. ^ Konrad Kwiet, Nach dem Pogrom: Stufen der Ausgrenzung., in Wolfgang Benz (a cura di), Die Juden in Deutschland 1933-1945., München, 1988, p. 633, ISBN 3-406-33324-9.
  15. ^ Konrad Kwiet, Nach dem Pogrom: Stufen der Ausgrenzung., in Wolfgang Benz (a cura di), Die Juden in Deutschland 1933-1945., München, 1988, p. 634, ISBN 3-406-33324-9.
  16. ^ Ina Lorenz, Das Leben der Hamburger Juden im Zeichen der „Endlösung“, in Arno Herzig, Ina Lorenz (a cura di), Verdrängung und Vernichtung der Juden unter dem Nationalsozialismus, in collaborazione con Saskia Rohde, Hamburg, 1992, p. 214 f., ISBN 3-7672-1173-4.. In effetti, al luglio 1942, furono liberati 900 appartamenti.
  17. ^ VEJ 3/215 = Die Verfolgung und Ermordung der europäischen Juden durch das nationalsozialistische Deutschland 1933-1945 (Quellensammlung), Band 3: Deutsches Reich und Protektorat September 1939 – September 1941 (bearb. von Andrea Löw), München 2012, ISBN 978-3-486-58524-7, S. 527–529.
  18. ^ Deutsch-jüdische-Gesellschaft Hamburg (a cura di), Wegweiser zu ehemaligen jüdischen Stätten in den Stadtteilen Eimsbüttel/Rotherbaum, Hamburg, 1985, p. 140.
  19. ^ VEJ 3/215 = Die Verfolgung und Ermordung der europäischen Juden durch das nationalsozialistische Deutschland 1933-1945 (Quellensammlung), München 2012, ISBN 978-3-486-58524-7, S. 528.
  20. ^ Victor Klemperer, Ich will Zeugnis ablegen bis zum letzten. Tagebücher 1942–1945., Berlin, 14 dicembre 1943, p. 459, ISBN 3-351-02340-5.
  21. ^ Joseph Walk (Hrsg.): Das Sonderrecht für die Juden im NS-Staat. 2. Aufl. Heidelberg 1996, ISBN 3-8252-1889-9, S. 366 / weißer Stern bei Ina Lorenz: Das Leben der Hamburger Juden im Zeichen der „Endlösung“. In: Arno Herzig und Ina Lorenz (Hrsg.): Verdrängung und Vernichtung der Juden unter dem Nationalsozialismus. Hamburg 1992, ISBN 3-7672-1173-4; S. 214 und 226 / Dokument VEJ 6/95 in: Susanne Heim (Bearb.): Die Verfolgung und Ermordung der europäischen Juden... Band 6: Deutsches Reich und Protektorat Böhmen und Mähren Oktober 1941–März 1943. Berlin 2019, ISBN 978-3-11-036496-5, S. 299.
  22. ^ Beate Meyer, Glossar, in Ulrike Sparr, Stolpersteine in Hamburg-Winterhude, Hamburg, Landeszentrale für politische Bildung, 2008, p. 290, ISBN 978-3-929728-16-3.
  23. ^ Victor Klemperer, Ich will Zeugnis ablegen … Tagebücher 1942–1945., 20 agosto 1942, p. 92-98, 119-124, 215, ISBN 3-351-02340-5.
  24. ^ Susanne Willems, Der entsiedelte Jude - Albert Speers Wohnungsmarktpolitik für den Berliner Hauptstadtbau., vol. 2, Berlin, 2018, pp. 195–325, ISBN 978-3-360-01332-3.
  25. ^ Wolf Gruner, Judenverfolgung in Berlin 1933–1945 …, Berlin, 1996, p. 79, ISBN 3-89468-238-8.; Susanne Willems, Der entsiedelte Jude, Berlin, 2002, p. 374, ISBN 3-89468-259-0.
  26. ^ Wolf Gruner, Terra incognita? Die Lager für den jüdischen Arbeitseinsatz (1938–1942) …, in Ursula Büttner (a cura di), Die Deutschen und die Judenverfolgung im Dritten Reich, Frankfurt am Main, 2003, p. 175, ISBN 3-596-15896-6.
  27. ^ Freuds verschwundene Nachbarn (PDF), su freud-museum.at. URL consultato il 17 agosto 2023 (archiviato dall'url originale il 31 gennaio 2012).
  28. ^ Freuds verschwundene Nachbarn, su judentum.net.
  29. ^ Artikel Mór, in: Guy Miron (Hrsg.): The Yad Vashem encyclopedia of the ghettos during the Holocaust. Jerusalem : Yad Vashem, 2009, ISBN 978-965-308-345-5, S. 497f.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Karin Guth, Bornstraße 22. Ein Erinnerungsbuch. „… wir mußten ja ins Judenhaus, in ein kleines Loch.“, Hamburg, Dölling und Galitz, 2001, ISBN 3-935549-06-7.
  • Roland Maier, Die Verfolgung und Deportation der jüdischen Bevölkerung, in Ingrid Bauz, Sigrid Brüggemann, Roland Maier (a cura di), Die Geheime Staatspolizei in Württemberg und Hohenzollern, Stuttgart, Schmetterling, 2013, pp. 259–304, ISBN 3-89657-145-1.
  • Guy Miron (a cura di), Judenhäuser in Germany, in The Yad Vashem encyclopedia of the ghettos during the Holocaust, Basato sugli articoli di Marlis Buchholz e Konrad Kwiet, Jerusalem, Yad Vashem, 2009, pp. 999–1001, ISBN 978-965-308-345-5.
  • Willy Rink, Das Judenhaus: Erinnerungen an Juden und Nichtjuden unter einem Dach, Wiesbaden, Aktives Museum Spiegelgasse für Deutsch-Jüdische Geschichte, 2008, ISBN 978-3-941289-02-4.
  • Willy Rink, Stolpersteine: Späte Gedanken über das Leben im Judenhaus., Berlin, Epubli GmbH, 2015, ISBN 978-3-7375-4758-1.
  • Susanne Willems, Der entsiedelte Jude. Albert Speers Wohnungsmarktpolitik für den Berliner Hauptstadtbau., Berlin, Edition Hentrich, 2002, ISBN 3-89468-259-0.
  • Renate Hebauf, Gaußstraße 14, Ein Ghettohaus in Frankfurt am Main, Die Geschichte eines Hauses und seiner jüdischen Bewohnerinnen und Bewohner zwischen 1912 und 1945, Hanau, Cocon-Verlag, 2010.
  • Jan Oestreich, Verdrängt – Verfolgt – Vergessen. Das „Judenhaus“ Weender Landstr. 26 und seine BewohnerInnen, in Schriften der Göttinger Gesellschaft für Christlich-Jüdische Zusammenarbeit, Heft 6, Göttingen, 2016.
  • Peter Franz, Das Judenhaus. Eine Viehhandlung wurde zum „Judenhaus“. Die Nr. 11 aus der Reihe der Apoldaer Judengeschichten., Apolda, 2019, ISBN 3-935275-74-9.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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