Discussioni utente:L'inesprimibile nulla/Sandbox

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--L'inesprimibile nulla 20:28, 28 feb 2014 (CET)[rispondi]

Sezione da rivedere

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confrontando tra le fonti per trovare punti di accordo e disaccordo:

L'11 maggio 1574 un incendio distrusse alcune sale di rappresentanza al piano nobile, ossia la Sala delle Quattro Porte, l'Anticollegio, il Collegio e il Senato. Tale incendio non provocò però danni troppo gravi e di conseguenza i danni furono riparati senza particolari problemi.[1] Più grave fu invece un secondo incendio, scoppiato nel 1577, il 20 dicembre: questo causò danni alla Sala del Maggior Consiglio e a quella dello Scrutinio, distruggendo opere d'arte di valore incommensurabile, prodotte da artisti quali Giovanni Bellini, Tiziano e Pordenone. Decisa immediatamente la ricostruzione, la direzione tecnica ed esecutiva venne affidata all'architetto Giovanni Antonio Rusconi.[1] Tale opera, conclusasi tra il 1579 e il 1580, ossia sotto il dogato di Nicolò Da Ponte, fu rispettosa dell'originale aspetto del palazzo. Altri interventi sono attribuiti ad Andrea Palladio e ad Antonio da Ponte: pur risultando difficile l'individuazione di interventi progettuali riconducibili alla mano di Palladio, gli studiosi hanno ugualmente tentato di riconoscerne la matrice nelle porte interne, in particolare quella che dalla Sala dell'Anticollegio conduce alla Sala delle Quattro Porte e quelle presenti in quest'ultima, e nei camini delle sale del Collegio e dell'Anticollegio.[2] La presenza di Palladio a Palazzo Ducale è documentata pure tra il 1577 e il 1578, per il restauro dell'edificio danneggiato da un secondo grave incendio (20 dicembre 1577) in cui andarono perduti importanti cicli pittorici. Anche in questo caso, le ipotesi di una sua proposta concreta lasciano dubbi tra la critica.[2] Tra il 1575 e il 1580 Tiziano e Veronese vennero a loro volta chiamati a decorare gli interni del palazzo e la loro opera finì per inserirsi nella ricostruzione delle sale dell'ala meridionale seguita all'incendio del 1577.

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L’11 maggio 1574 un incendio distrusse alcune sale di rappresentanza al piano nobile. Decisa immediatamente la ricostruzione, la direzione tecnica ed esecutiva venne affidata al "proto" Antonio da Ponte, affiancato da Andrea Palladio e Gianantonio Rusconi.[2] Pur risultando difficile l’individuazione di interventi progettuali riconducibili alla mano di Palladio, gli studiosi hanno ugualmente tentato di riconoscerne la matrice nelle porte interne, in particolare quella che dalla Sala dell’Anticollegio conduce alla Sala delle Quattro Porte e quelle presenti in quest’ultima, e nei camini delle sale del Collegio e dell’Anticollegio.[2]

La presenza di Palladio a Palazzo Ducale è documentata pure tra il 1577 e il 1578, per il restauro dell’edificio danneggiato da un secondo grave incendio (20 dicembre 1577) in cui andarono perduti importanti cicli pittorici. Anche in questo caso, le ipotesi di una sua proposta concreta lasciano dubbi tra la critica.[2] Tra il 1575 e il 1580 Tiziano e Veronese vennero a loro volta chiamati a decorare gli interni del palazzo e la loro opera finì per inserirsi nella ricostruzione delle sale dell'ala meridionale seguita all'incendio del 20 dicembre 1577.

  1. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore brusegan127
  2. ^ a b c d e 20, in Mediateca Palladio, CISA - Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio. Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "CISA" è stato definito più volte con contenuti diversi

Testi erodotei

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109. [1] Temistocle capì che non avrebbe persuaso la maggior parte a recarsi sull'Ellesponto. E si rivolse agli Ateniesi i quali, irritatissimi che i Barbari fossero fuggiti, si disponevano a recarsi sull'Ellesponto, a costo di assumersi l'impresa da soli, se gli altri non volevano. E disse loro così: [2] «Ho direttamente assistito a casi del genere, e di un numero molto maggiore di essi ho sentito parlare: che truppe vinte, strette dalla necessità, riprendessero il combattimento e si rifacessero della sconfitta precedente. Ed ora noi che, respingendo così denso nembo di uomini, abbiamo avuto la fortuna inaspettata di salvare noi stessi e l'Eliade, non inseguiremo un esercito in fuga. [3] Questa vittoria non è opera nostra; ma degli Dei e degli Eroi; i quali ebbero gelosia che sull'Asia e sull'Europa regnasse un uomo empio e scellerato, che incendiando e abbattendo le statue degli Dei, teneva le cose sacre nello stesso conto delle private, e che fece frustare perfino il mare e vi gettò dentro catene.98 [4] Adesso le cose ci vanno bene; ed è meglio che per ora rimaniamo neh" Eliade e ci occupiamo di noi e dei nostri familiari. Ognuno ricostruisca la sua casa e abbia cura della seminagione, ora che il Barbaro è completamente cacciato. Al principio della primavera ci recheremo sull'Ellesponto e sulla Ionia». [5] Parlò così per assicurarsi l'amicizia del Re di Persia, al fine di avere un rifugio se mai perdesse il favore degli Ateniesi: come in realtà avvenne.

110. [1] E gli Ateniesi diedero ascolto a questo discorso ingannatore99 di Temistocle. Ora che s'era confermata la sua fama già esistente di accorto e saggio consigliere, tutti erano disposti a seguire le sue parole. [2] Convinse gli Ateniesi; e subito dopo mandò su di un battello uomini nei quali aveva fiducia che, messi di fronte a qualsiasi tortura, avrebbero taciuto il messaggio loro affidato per il Re. C'era ancora fra questi il suo domestico Sicinno. Giunsero alla costa attica; e mentre gli uni rimasero sul battello, Sicinno si recò da Serse100 ° a dirgli: [3] «Mi manda Temistocle figlio di Neocle, generale degli Ateniesi, l'uomo più valoroso e accorto fra tutti gli alleati, per dirti che egli, l'Ateniese Temistocle, ha, per renderti un servizio, trattenuto gli Elleni che intendevano inseguire la flotta e tagliare i ponti sull'Ellesponto. Ed ora parti con tutta tranquillità». Gli uomini, comunicato il messaggio, tornarono indietro.

111. [1] Gli Elleni, poiché ebbero deciso di non insistere nell'inseguimento della flotta dei Barbari per tagliare il passaggio, si accamparono, con l'intenzione di distruggerla, intorno ad Andro. [2] Gli Andri erano stati i primi isolani a rifiutare il denaro richiesto da Temistocle; e poiché egli tenne loro un discorso del seguente tenore - che gli Ateniesi erano giunti accompagnati da due possenti Divinità, la Persuasione e l'Imposizione, e che quindi essi dovevano assolutamente consegnare il denaro - risposero a questi argomenti dichiarando essere dunque naturale che Atene fosse grande e felice, poiché anche di Divinità benigne era ben provvista, [3] ma gli Andri erano poveri di territorio, e in questo non temevano rivali, e due Divinità maligne non abbandonavano la loro isola e sempre si compiacevano di abitarla: la Povertà e l'Impossibilità; e non avrebbero gli Andri, essendo soggetti a queste Divinità, consegnato il denaro: perché la potenza degli Ateniesi non sarebbe mai stata più forte della loro insolvibilità.

112. [1] Costoro, per aver dato questa risposta e non aver versato il denaro, venivano assediati. Ma l'avidità non abbandonava Temistocle. Inviava alle altre isole messaggi minacciosi, e con gli altri ambasciatori - gli uomini dei quali si era servito per il Re - chiedeva denaro. Dichiarava che se non avessero consegnato la somma richiesta avrebbe condotto contro di loro l'esercito degli Elleni e le avrebbe distrutte con un assedio. [2] E raccolse, con tali discorsi, grandi somme dai Caristi e dai Pari; i quali, apprendendo che Andro per aver parteggiato coi Medi veniva assediata e che Temistocle era il generale di più alto prestigio, ebbero paura, e inviarono il denaro. Non sono in grado di dire se ne abbiano versato anche alcuni altri isolani; ma cre do di sì: che anche alcuni altri e non questi soltanto ne abbiano versato. [3] Ma la sventura dei Caristi non fu per nulla meno rapida a venire. I Pari, invece, placato Temistocle col denaro, sfuggirono alla minaccia della spedizione. Temistocle dunque dalla base di Andro requisiva, all'insaputa degli altri generali, denaro dagli isolani.

[La ritirata di Serse in Tessaglia e da qui a Sardi.]

113. [1] L'esercito di Serse, che si era trattenuto pochi giorni dopo la battaglia navale, si ritirò in Beozia per la stessa via di quando era giunto. A Mardonio parve bene accompagnare il Re, tanto più che non ritenne la stagione propizia alla guerra; e pensò fosse meglio svernare in Tessaglia, per poi, all'inizio della primavera, attaccare il Peloponneso. [2] Giunsero in Tessaglia. E qui Mardonio si scelse per prima cosa tutto il reparto dei Persiani detto degli Immortali, tranne il loro generale Idarne - il quale rifiutò di lasciare il Re -, e poi, degli altri Persiani, quelli armati di corazza e i mille cavalieri; inoltre i Medi, i Sachi, i Battriani, gli Indiani: fanti e cavalieri. [3] Le truppe di questi popoli le prese al completo. Dagli altri alleati trasse piccoli contingenti, scegliendo gli uomini di bell'aspetto e quelli di cui già era noto qualche atto di valore. Tra i popoli singoli i più rappresentati erano i Persiani, uomini che portavano collane e braccialetti; dopo, i Medi. E questi non erano meno numerosi dei Persiani, ma erano inferiori per robustezza. Sicché il complesso dell'esercito con i cavalieri raggiungeva le trecentomila unità.

114. [1] Nel frattempo, mentre Mardonio faceva la scelta delle truppe e Serse si trovava in Tessaglia, da Delfi era giunto ai Lacedemoni un oracolo che ordinava di chiedere conto a Serse dell'uccisione di Leonida e di accettare ciò che egli offrisse loro. Mandarono dunque gli Spartani con la massima celerità un araldo; il quale trovò tutto l'esercito ancora in Tessaglia, venne al cospetto di Serse e: [2] «Re dei Medi!», gli disse, «i Lacedemoni e gli Eraclidi di Sparta ti chiedono conto del sangue versato, perché tu uccidesti il loro re, che difendeva l'Eliade». Si mise Serse a ridere, e tacque a lungo. Poi, vedendosi accanto Mardonio, accennò a lui e rispose: «Ecco: renderà Mardonio quel conto che loro spetta!».

115. [1] L'araldo accettò la risposta e si allontanò. Serse lasciò Mardonio in Tessaglia, si affrettò per conto suo verso l'Ellesponto, e giunse al traghetto101 in quarantacinque giorni, ritornando in patria con una parte - niente, per così dire - dell'esercito. [2] Queste truppe si nutrivano saccheggiando, dai luoghi e dalle popolazioni per dove passavano, i prodotti della terra. Quando poi non trovavano nulla divoravano l'erba che spuntava dal suolo, staccavano le cortecce e raccoglievano le foglie degli alberi, da frutto o selvatici che fossero, senza lasciare niente, costretti dalla fame. [3] E durante il percorso l'esercito fu colto dalla peste e dalla dissenteria, che ne fecero strage. Altri soldati, ammalati, Serse lasciava durante la marcia, imponendo alle città di averne cura e di mantenerli: alcuni in Tessaglia, altri a Siri nella Peonia e altri nella Macedonia. [4] E qui, dove lo aveva lasciato all'andata verso l'Eliade, non riebbe più al ritorno il carro sacro di Zeus. I Peoni lo avevano dato ai Traci; e alla richiesta di Serse risposero che le cavalle erano state rapite, mentre pascolavano, dai Traci dell'interno, che abitano alle fonti dello Strimone.

116. [1] E qui ancora il Re dei Bisalti e della Crestonica102 commise un atto di ferocia. Egli aveva dichiarato che non si sarebbe spontaneamente asservito a Serse. Si era ritirato nell'interno sulla catena del Rodope, e aveva proibito ai figli di partecipare alla campagna contro l'Eliade. [2] Ma questi ne trasgredirono gli ordini, e, forse per desiderio di vedere la guerra, avevano accompagnato la spedizione del Re di Persia. Erano tornati - sei fratelli - tutti incolumi; e per quella colpa il padre strappò loro gli occhi. Fu così che li ripagò.

117. [1] Quando, usciti dalla Tracia, i Persiani giunsero allo stretto, si affrettarono a passare l'Ellesponto a bordo delle navi fino ad Abido: perché non avevano più trovato i ponti tesi, divelti dalla tempesta. [2] Fermatisi qui, ebbero più vettovaglie che durante il viaggio; e rimpinzandosi disordinatamente e bevendo quell'acqua diversa103 molti dell'esercito superstite morirono. I rimanenti giunsero a Sardi insieme con Serse.

118. [1] Si fa anche quest'altro racconto. Quando Serse, ritirandosi da Atene, giunse ad Eione sullo Strimone, non avrebbe più ripreso la via di terra; avrebbe affidato l'esercito a Idarne perché lo conducesse all'Ellesponto, e si sarebbe imbarcato, per recarsi in Asia, a bordo di una nave fenicia. [2] Ma durante la navigazione sarebbe stato investito da un vento proveniente dallo Strimone, potente e tempestoso, e tanto più furioso perché la nave era carica, e molti Persiani che facevano il viaggio insieme con Serse stavano in coperta. Allora il Re, colto da paura, avrebbe gridato al pilota per chiedergli se avesse modo di salvarsi. E quegli: [3] «Nessuno, Sire», avrebbe risposto, «se non si tolgono di mezzo questi numerosi guerrieri». E Serse udito ciò: «Persiani», avrebbe detto, «dimostri ognuno di voi l'interesse che ha per il Re; da voi pare che dipenda la mia salvezza». [4] Così egli avrebbe detto; e loro si sarebbero prosternati e poi tuffati in mare. La nave alleggerita sarebbe in tal modo pervenuta salva in Asia. Ed ecco che cosa avrebbe fatto Serse appena sbarcato: avrebbe donato al pilota una corona d'oro per avere salvato la vita del Re; ma gli avrebbe poi fatto troncare la testa, per aver fatto morire molti Persiani.

119. Senonché tale variante sul ritorno di Serse non mi convince affatto: tra l'altro per questa morte dei Persiani. Se con Serse il pilota si fosse espresso esattamente in quel modo, che cosa avrebbe fatto il re? Nemmeno uno fra diecimila negherebbe che egli avrebbe piuttosto fatto scendere sotto coperta gli uomini che stavano sul ponte - i quali erano Persiani e fra i Persiani i primi -, e avrebbe fatto gettare in mare un numero pari di remiganti, che erano Fenici. Ma egli, come ho già detto prima, tornò in Asia col resto dell'esercito per via di terra.

120. Ed eccone una forte prova. È accertato che Serse sulla via del ritorno ripassò da Abdera e strinse amicizia ospitale con gli Abderiti, cui donò un acinace d'oro e una tiara ricamata in oro.104 E - lo dicono gli Abderiti: io non ci credo affatto - qui, per la prima volta durante la fuga da Atene, si sarebbe sciolta la cintura, considerandosi al sicuro. Ora, Abdera è prossima più all'Ellesponto che non allo Strimone ed Eione, da dove egli si sarebbe imbarcato.

[Offerte votive di ringraziamento dei Greci. La fama di Temistocle.]

121. [1] Gli Elleni non riuscirono a prendere Andro, e si diressero verso Caristo. Ne saccheggiarono il territorio, e si ritirarono a Salamina. Per gli Dei scelsero, fra le altre primizie, tre triremi fenicie - una da mandare per un'offerta all'Istmo, dove ancora ai miei tempi si trova va, l'altra al Sunio, e l'altra per Aiace lì a Salamina -;105 questo per prima cosa. [2] Poi si divisero il bottino e mandarono a Delfi le primizie, dal cui ricavato fu fatta la statua virile alta dodici braccia, con nella mano l'estremità di una nave; la quale sorge nei pressi della statua di Alessandro di Macedonia.

122. Gli Elleni, dopo aver mandato le primizie a Delfi, chiesero a nome di tutti al Dio se ne fosse pienamente soddisfatto. Egli rispose di esserlo da parte degli altri Elleni, ma non da parte degli Egineti; e chiese loro il premio dovuto al più valoroso per la battaglia di Salamina. Gli Egineti, appreso questo, gli consacrarono tre stelle d'oro, che stanno in un angolo dell'albero di nave in bronzo, vicinissimo al cratere di Creso.

123. [1] Dopo la ripartizione del bottino, gli Elleni salparono verso l'Istmo106 per consegnare i premi del valore a chi fra gli Elleni se ne fosse in questa guerra dimostrato il più degno. [2] Giunsero i generali e distribuirono i voti sull'altare di Posidone, per scegliere fra tutti chi fosse primo e chi secondo. Il primo voto ognuno lo assegnò a se stesso - ciascuno riteneva di essere lui il più valoroso -; ma quando si venne alla seconda votazione la maggior parte fu d'accordo nello scegliere Temistocle. Così essi ebbero un solo voto, mentre nella seconda votazione Temistocle riportò una ricca maggioranza.

124. [1] L'invidia degli Elleni impedì che la questione si decidesse: ogni squadra salpò per il suo paese lasciando l'assegnazione in sospeso. Tuttavia Temistocle ebbe gloria, e la fama di essere in tutta l'Eliade l'uomo di gran lunga più accorto fra gli Elleni. [2] E poiché, pur essendo vincitore, non era stato onorato da coloro che avevano combattuto a Salamina, subito dopo giunse a Lacedemone desideroso di onori. E i Lacedemoni lo accolsero bene, con grandi dimostrazioni. Consegnarono il premio del valore, una corona di ulivo, ad Euribia-de; ma quello dell'accortezza e dell'abilità lo diedero a Temistocle -anche a lui una corona di ulivo -; e gli donarono il carro giudicato a Sparta il più bello. [3] Lo elogiarono molto; e quando partì lo scortarono trecento uomini scelti fra gli Spartiati - quelli chiamati cavalieri 107 - fino ai confini di Tegea. Fu, a memoria nostra, l'unica persona che gli Spartiati abbiano scortato.

125. [1] Ma quando tornò ad Atene, Timoteo di Afidna, un suo nemico, oscuro del resto, insolentì, furente d'invidia, contro di lui. Gli rimproverava il viaggio a Lacedemone; e gli diceva che per un riguardo ad Atene, non per merito personale, aveva dai Lacedemoni riportato quei segni d'onore. [2] E non la smetteva. Allora Temistocle: «Proprio così», rispose: «se fossi stato un cittadino di Belbina108 non avrei ricevuto a Sparta tanti onori. Ma neppure tu, pover'uomo, li avresti ricevuti, pur essendo Ateniese». E su quest'argomento non ho nient'altro da dire.

(Nella trad. di Piero Sgroj)

Problema con le categorizzazioni delle antiche regioni attiche

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Vorrei proporre una categorizzazione un po' più metodica delle pagina che gravitano attorno alla tematica dei demi. Fondamentalmente, se ci sarà più razionalità, sarà più facile anche individuare dove puntare per scrivere le ultime voci e terminare questo lungo progetto. Ecco la categorizzazione che propongo. Non so se la cosa sia troppo gerarchizzata, secondo me è molto più razionale. Grassetto le cose su cui bisognerebbe discutere e le cose che proporre di alterare.

  • Categoria:Suddivisioni antiche dell'Attica
    • Naucraria (voce)
    • Categoria:Tribù dell'antica Atene
      • Categoria: tribù X.
        • Voce sulla Tribù
        • "Categoria: demi della tribù X"
          • "Categoria:Trittia dell'Asty della tribù..." (che conterrà le voci che rispondono a questo incrocio di dati)
          • "Categoria:Trittia della Paralia della tribù..." (che conterrà le voci che rispondono a questo incrocio di dati)
          • "Categoria:Trittia della Mesogea della tribù..." (che conterrà le voci che rispondono a questo incrocio di dati)
    • Categoria:Macro regioni dell'attica (3) Questo andrebbe a sostituire l'insulsa cat:Trittie dell'antica Atene. Se entri, trovi le macro regioni, che senso ha?
      • Categoria:Macroregione X
        • Voce sulla macro regione
        • Categoria:demi della macro regione x
          • "Categoria:Trittia dell'X della tribù...X" (che conterrà le voci che rispondono a questo incrocio di dati)
          • "Categoria:Trittia dell'X della tribù...Y" (che conterrà le voci che rispondono a questo incrocio di dati)
          • "Categoria:Trittia dell'X della tribù...Z" (che conterrà le voci che rispondono a questo incrocio di dati)
    • Categoria trittie
      • Voce sulle trittie
      • "Categoria:Trittia dell'X della tribù...Y"
    • Categoria:Demi dell'antica Atene
      • La voce sul Demo
        • "Categoria:Trittia dell'X della tribù...Y" Però tenendo le categorizzazioni delle cat "Categoria: demi della tribù X" e Categoria:demi della macro regione x per chiarezza? o no dato che forse non ha senso parlare di una classificazione nella gerarchia politica più elevata quando si sta parlando di divisioni molto piccole? --~~~~