CK Vulpeculae

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CK Vulpeculae
CK Vulpeculae
CK Vulpeculae ripresa da ALMA.[2]
Distanza dal Sole700 ± 150 parsec (2 280 ± 490 al)[3]
CostellazioneVolpetta
Coordinate
(all'epoca J2000.0)
Ascensione retta19h 47m 38.0s[1]
Declinazione+27° 18′ 48″[1]
Dati fisici
Temperatura
superficiale
14000 K[4] (min)
100000 K[4] (max)
Luminosità
Indice di colore (B-V)0,7[4]
Dati osservativi
Magnitudine app.2,6[1] (max)
Magnitudine app.15,462, 14,506, 14,173 e 18,755743
Nomenclature alternative
CK Vulpeculae, CK Vul, Nova Vul 1670, HR 7539, 11 Vul[5]

Coordinate: Carta celeste 19h 47m 38s, +27° 18′ 48″

CK Vulpeculae (anche Nova Vulpeculae 1670) è la più antica nova documentata in modo affidabile. È costituita da un oggetto centrale compatto circondato da una nebulosa bipolare.

I modelli suggeriscono che CK Vulpeculae potrebbe non essere una nova classica; piuttosto può essere classificata come una nova rossa luminosa che è il risultato di due stelle della sequenza principale che si scontrano e si fondono. Uno studio del 2018 sostiene che era probabilmente il risultato di un'insolita collisione di una nana bianca e una nana bruna.

Storia delle osservazioni[modifica | modifica wikitesto]

Posizione della Nova del 1670 vicino ad Albireo.

CK Vulpeculae fu scoperta il 20 giugno 1670 da Voituret Anthelme e indipendentemente il 25 luglio da Johannes Hevelius. Aveva una luminosità massima di magnitudine +3 circa al momento della sua scoperta, poi è sbiadita.

Un secondo picco di magnitudine +2,6 circa fu rilevato nel marzo del 1671, dopo di che Johannes Hevelius e Giovanni Cassini la osservarono per tutta la primavera e l'estate fino a quando non scomparve dalla vista ad occhio nudo, verso la fine di agosto del 1671.

Un ultimo picco di luminosità debolmente visibile al massimo di circa 5,5-6 di magnitudine fu osservato da Hevelius nel marzo 1672, poi svanì sul finire di maggio[6].

Questa è stata la prima nova per la quale ci sono osservazioni multiple e affidabili. La successiva nova ad essere documentata in modo esaustivo fu V841 Ophiuchi[6].

Identificazione[modifica | modifica wikitesto]

La luce visibile è blu, la mappa delle radiazioni submillimetriche è evidenziata in verde e l'emissione molecolare in rosso.

John Flamsteed, che stava elaborando il catalogo che porta il suo nome proprio in quel periodo, assegnò alla stella la designazione di Flamsteed 11 Vulpeculae, che è stata in seguito notata da Francis Baily come una delle stelle perdute di Flamsteed, perché non è stata rilevabile per secoli[7].

Nel 1981, una fonte puntiforme vicino al centro di una piccola nebulosa fu identificata come CK Vulpeculae, con una magnitudine rossa stimata di 20,7[6][8]. Osservazioni successive misero in dubbio tale identificazione[9] ed è ora noto che si trattava di un oggetto di sfondo. Si ritiene che quell'oggetto e un'altra stella siano stati visti attraverso una densa nebulosa associata a CK Vulpeculae che ha fatto variare drasticamente la loro luminosità[3].

CK Vulpeculae ora consiste in un oggetto centrale compatto con gas che fuoriesce a circa 210 km/s in una nebulosa bipolare[3]. Una traccia di nebulosità di 15" vista negli anni '80 si trova al centro di una nebulosa bipolare di 70"[10]. Nella parte centrale di questa si vede una sorgente radio compatta e una puntiforme di infrarossi, ma non è stata rilevata a lunghezze d'onda ottiche[4]. La ionizzazione della nebulosa e la sua emissione radio indicano che la fonte centrale è ancora molto calda e relativamente luminosa[11].

È all'interno di una nuvola di polvere fredda (~15 K) o la nuvola si trova di fronte ad essa dalla prospettiva della Terra. Il gas molecolare nelle vicinanze è maggiormente ricco di azoto rispetto all'ossigeno.

Distanza[modifica | modifica wikitesto]

La distanza di CK Vulpecolae non può essere determinata con precisione. Ipotesi sulla sua massima luminosità possibile e la collocazione oltre la nebulosa nota forniscono una distanza di 550 ± 150 parsec (1 790 ± 490 anni luce)[6][4]. Le misurazioni dell'espansione della nebulosa presumibilmente prodotta nel 1670 forniscono una distanza di 700 ± 150 parsec (2 280 ± 490 anni luce). Esistono nuvole di gas a 500 pc (1 600 al) e 2 chiloparsec (6 500 anni luce), ma solo la prima viene rilevata nello spettro di CK Vulpeculae, ponendo forti vincoli sulla possibile distanza[3]. Osservazioni effettuate con il telescopio Gemini nord in banda infrarosso e divulgate a fine 2020 allocherebbero la nova ben più distante, a circa 10000 anni luce di distanza.[12]

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Molecole radioattive nei resti di una collisione stellare.[13]

La luminosità dell'oggetto centrale, stimata dall'emissione di infrarossi dalla polvere, è di circa 0,9 L[4]. La luminosità richiesta per energizzare la nebulosità osservata è calcolata a L da un oggetto a 60000 K[3]. Al momento della sua eruzione, si calcola che la luminosità di CK Vulpeculae fosse almeno 24000 L. Linee di emissione ioniche note nello spettro e caratteristiche di assorbimento non identificate nell'infrarosso indicano una temperatura compresa tra 14 000 K e 100 000 K.

Gli astronomi che utilizzano i radiotelescopi dell'Atacama Large Millimeter Array (ALMA) e del Northern Extended Millimeter Array (NOEMA) per studiare CK Vulpeculae hanno scoperto le prime prove convincenti di detriti radioattivi al di fuori del sistema solare terrestre. La molecola in questione è costituita da un isotopo radioattivo di alluminio con 13 protoni e 13 neutroni legati insieme ad atomi di fluoro[14].

Natura dell'eruzione[modifica | modifica wikitesto]

In passato, sono state suggerite spiegazioni come una fusione in una nova rossa luminosa, un impulso termico ultratardivo o una nova indotta da diffusione ma tutte queste spiegazioni non sono soddisfacenti[4]. Un'analisi delle strutture e delle abbondanze isotopiche nella nebulosa rimanente usando l'Atacama Large Millimeter Array (ALMA) nel 2018 ha concluso che la nova e la nebulosa associata erano causate dall'insolita fusione di una nana bianca e una nana bruna avvenuta tra il 1670 e il 1672[15].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c (EN) Ronald A. Downes, Ronald F. Webbink e Michael M. Shara, A Catalog and Atlas of Cataclysmic Variables: The Living Edition, in Publications of the Astronomical Society of the Pacific, vol. 113, n. 784, 2001-6, pp. 764–768, DOI:10.1086/320802. URL consultato il 18 settembre 2019.
  2. ^ Through the Hourglass, su eso.org. URL consultato l'8 ottobre 2018.
  3. ^ a b c d e Hajduk, M.; van Hoof, P. A. M.; Zijlstra, A. A. (11 June 2013). "CK Vul: evolving nebula and three curious background stars". Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. 432 (1): 167–175. arXiv:1312.5846. Bibcode:2013MNRAS.432..167H. doi:10.1093/mnras/stt426.
  4. ^ a b c d e f g h Evans, A.; et al. (2016). "CK Vul: A smorgasbord of hydrocarbons rules out a 1670 nova (and much else besides)". Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. 457 (3): 2871–2876. arXiv:1512.02146. Bibcode:2016MNRAS.457.2871E. doi:10.1093/mnras/stw352.
  5. ^ Morton Wagman, Lost Stars, Blacksburg, Virginia, McDonald and Woodward, 2003, p. 494, ISBN 978-0-939923-78-6.
  6. ^ a b c d Shara, M. M.; Moffat, A. F. J.; Webbink, R. F. (July 1, 1985). "Unraveling the oldest and faintest recovered nova - CK Vulpeculae (1670)". Astrophysical Journal. 294: 271–285. Bibcode:1985ApJ...294..271S. doi:10.1086/163296.
  7. ^ Baily, Francis (1845). The Catalogue of Stars of the British Association for the Advancement of Science. London: Richard and John E Taylor. p. 77. Bibcode:1845tcot.book.....B. ISBN 978-1165133253.
  8. ^ Shara, M. M.; Moffat, A. F. J. (July 1, 1982). "The recovery of CK Vulpeculae (Nova 1670) - The oldest 'old nova'". Astronomical Journal. 258 (Part 2 Letters to the Editor): L41–L44. Bibcode:1982ApJ...258L..41S. doi:10.1086/183826.
  9. ^ Naylor, T.; Charles, P. A.; Mukai, K.; Evans, A. (1992). "An observational case against nova hibernation". Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. 258 (3): 449–456. Bibcode:1992MNRAS.258..449N. doi:10.1093/mnras/258.3.449.
  10. ^ Hajduk, M; Zijlstra, Albert A; Van Hoof, P. A. M; Lopez, J. A; Drew, J. E; Evans, A; Eyres, S. P. S; Gesicki, K; Greimel, R; Kerber, F; Kimeswenger, S; Richer, M. G (2007). "The enigma of the oldest 'nova': The central star and nebula of CK Vul". Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. 378 (4): 1298–1308. arXiv:0709.3746. Bibcode:2007MNRAS.378.1298H. doi:10.1111/j.1365-2966.2007.11825.x.
  11. ^ Kaminski, Tomasz; Menten, Karl M.; Tylenda, Romuald; Hajduk, Marcin; Patel, Nimesh A.; Kraus, Alexander (March 23, 2015). "Nuclear ashes and outflow in the eruptive star Nova Vul 1670". Nature. 520 (7547): 322–4. arXiv:1503.06570. Bibcode:2015Natur.520..322K. doi:10.1038/nature14257. PMID 25799986.
  12. ^ Laura Leonardi, Bagliori dal passato: la storia di Ck Vul va riscritta, su media.inaf.it, dicembre 2020.
  13. ^ Stellar Corpse Reveals Origin of Radioactive Molecules - Observations using ALMA find radioactive isotope aluminium-26 from the remnant CK Vulpeculae, su eso.org. URL consultato il 31 July 2018.
  14. ^ T Kamiński, K. M Menten e R Tylenda, Organic molecules, ions, and rare isotopologues in the remnant of the stellar-merger candidate, CK Vulpeculae (Nova 1670), in Astronomy & Astrophysics, vol. 607, 2017, pp. A78, Bibcode:2017A&A...607A..78K, DOI:10.1051/0004-6361/201731287.
  15. ^ Eyres, Stewart; Evans, Aneurin; Zijlstra, Albert; Avison, Adam; Gehrz, Robert; Hajduk, Marcin; Starrfield, Sumner; Mohamed, Shazrene; Woodward, Charles; Wagner, R. Mark (16 September 2018). "ALMA reveals the aftermath of a white dwarf--brown dwarf merger in CK Vulpeculae". Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. 481 (4): 4931. arXiv:1809.05849. Bibcode:2018MNRAS.481.4931E. doi:10.1093/mnras/sty2554.

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