Avarizia

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Avarizia, opera dell'artista del Rinascimento Jacopo Ligozzi

L'avarizia è la scarsa disponibilità a spendere e a donare ciò che si possiede, per una forma di "gretto attaccamento al denaro"[1]. Anticamente, la parola "avarizia" indicava anche l'avidità, o cupidigia, cioè il "desiderio intenso di ricchezze"[1][2].

L'avidità è un desiderio incontrollato di aumentare l'acquisizione o l'uso di guadagni materiali (che si tratti di cibo, denaro, terra o beni animati/inanimati); o valore sociale, come lo status o il potere. L'avidità è stata identificata come indesiderabile nel corso della storia umana conosciuta perché crea un conflitto di comportamento tra obiettivi personali e sociali.

In altre parole, l'avaro è colui che ha e non dà, mentre l'avido è quello che cerca di arricchirsi sempre di più.

Sociologia[modifica | modifica wikitesto]

Harpagon Pouget, protagonista della commedia L'avaro di Molière. Disegno di Jules David Lorentz 1850

L'avarizia può essere ritenuta dannosa per la società, poiché mostra di ignorare il benessere degli altri, a vantaggio esclusivamente del proprio. È diventata più accettabile (e l'uso del termine meno frequente) nella cultura occidentale, dove il desiderio di acquisire ricchezze è componente costitutiva del capitalismo[3][4]. La parola "avidità" invece continua a essere usata[5][6]

Religione[modifica | modifica wikitesto]

L'avarizia è elencata tra i sette vizi capitali secondo la Chiesa cattolica.

L'avidità o cupidigia nei confronti delle proprietà di un'altra persona è designata dalla parola invidia.

Quando l'avarizia riguarda un soggetto che fa un eccessivo accumulo e consumo di cibo, si usa spesso il termine gola, un altro dei sette vizi capitali.

I Buddhisti ritengono che l'avarizia sia basata su un'erronea associazione tra benessere materiale e felicità. Essa è provocata da una visione illusoria che esagera gli aspetti positivi di un oggetto.

Note[modifica | modifica wikitesto]

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