Appendix Vergiliana

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Appendix Vergiliana
Mosaico che ritrae Virgilio tra due Muse. III secolo a.C. (Museo nazionale del Bardo, Tunisi).
AutorePublio Virgilio Marone
1ª ed. originaleI secolo a.C.
Generepoemi
Lingua originalelatino

L'Appendix vergiliana è una raccolta di 33 carmi di diversa composizione metrica per vari motivi legati al nome di Publio Virgilio Marone[1], probabilmente composti tra il 44 a.C. e il 38 a.C. tra Roma e Napoli. Le probabilità che siano stati composti da Virgilio sono in realtà molto basse, per alcune composizioni addirittura nulle.[1] Il termine appendix fu usato per la prima volta dall'umanista Scaligero nel 1572, e si riferisce alla consuetudine di stampare questi testi tutti assieme e in appendice alle opere di Virgilio.

L'opera

I carmi sono trentatré, di varia lunghezza e valore, e costituiscono più un prodotto di gusto intellettuale che non di grandezza poetica.

Aetna (Etna)

Composto da 646 versi, d'argomento scientifico. Concerne i fenomeni vulcanici e segue lo schema di poesia didascalica, che era di moda nell'alto impero. Terminus post quem è il 60 d.C., data di pubblicazione delle Naturales quaestiones di Seneca; terminus ante quem è il 79 d.C., perché non viene citata l'eruzione distruttiva del Vesuvio.

Il poema ha l'intento di spiegare l'origine delle eruzioni vulcaniche e dei fenomeni annessi come terremoti, nubi di cenere e tremori: animato da una forte impronta scientifica, critica la fallacia vatuum, cioè le menzogne dei poeti che avevano spiegato le eruzioni facendo ricorso a miti quale quello dei Giganti o alla presenza della fucina di Vulcano sotto l'Etna stesso. L'autore vuole dare, infatti, una spiegazione razionale al fenomeno.

La parte finale dell'Aetna contiene la critica nei confronti dei viaggi, tema ripreso da Lucrezio e Seneca: solo i viaggi fatti per ammirare la natura sono legittimi, non quelli fatti per visitare palazzi e rovine: l'uomo passa, la natura invece offre spettacoli eterni e davvero da ammirare. La conclusione dell'Aetna contiene la miranda fabula dei pii fratres catanesi, mito antichissimo che affonda le radici nell'Antico Testamento: i due giovani Anfinomo e Anapia furono risparmiati dalle fiamme dell'Etna, che si aprirono al loro passaggio, perché preferirono salvare il padre e la madre anziani piuttosto che portare in salvo dalla lava denaro e oggetti preziosi, come invece faceva tutto il resto della popolazione. In loro onore furono erette due statue, che Claudiano descrive come ancora presenti alla sua epoca alle pendici del vulcano, e la loro effigie venne incisa su monete e vasellame. Molti hanno ritenuto questa parte in contraddizione con il resto del poema, in cui si critica la poesia e il mito. In realtà, il significato di questa sezione conclusiva è evidentemente moraleggiante: non basta conoscere la natura, ma bisogna avere anche un comportamento eticamente corretto e giusto, animato da pietas e giustizia. La legge morale interna potrà così vincere anche le difficoltà più dure non solo della natura, ma della vita stessa.

Catalepton (Alla spicciolata)

Il Catàlepton è, come dice il nome ("alla spicciolata" o "scelta spicciola"), un "contenitore" di piccoli testi. Il titolo è attestato già nella poesia greca di età alessandrina. I quattordici componimenti della raccolta sono di origine diversa, oltre che di vario tema e metro, alcuni sono uniti solo dal fatto che si presentano esplicitamente come opere virgiliane. Fra questi carmi, un paio sono componimenti d'occasione che potrebbero veramente essere del giovane Virgilio, tuttavia, anche l'iniziativa di un falsario non è da escludersi. Si tratta in ogni caso di testi di modesto valore poetico.

Ciris (Airone)

Composto da 540 versi, è un poema mitologico che narra di una storia d'amore. Il Re di Megara, Niso, ha ricevuto un dono dagli dei: la sua città non sarebbe stata presa fino a che lui avrebbe portato in testa un capello d'oro, del quale nessuno, con l'eccezione della figlia Scilla, conosceva l'esistenza. Minosse attacca la città. Scilla, dall'alto delle mura, s'innamora di lui. Riesce ad incontrarlo, e in un momento d'amore gli dice il segreto del padre. Minosse le ordina di strappare il capello al padre. Nottetempo, lei riesce nel suo compito e Minosse conquista la città. Il padre capisce di essere stato tradito dalla figlia, la quale era corsa incontro a Minosse. Tuttavia, l'uomo la ripudia poiché non si fidava di una persona capace di tradire il proprio padre e la propria città. Niso vorrebbe uccidere Scilla ma lei viene trasformata in un airone bianco dagli dei, mentre il padre diviene un'aquila nera..

Copa (Ostessa)

Breve idillio di ispirazione campestre, 38 versi in distici. Descrive un'osteria sulla strada, dove il viandante si ferma a ristorarsi, allietato dalla presenza di una giovane ostessa.

Culex (Zanzara)

Il Culex è un epillio, concepito come una parodia, dell'epica più seria. L'attribuzione del carme a Virgilio giovane è assai antica e diffusa. L'epillio, era stato introdotto a Roma dai neoteroi, e fu ripreso sotto Tiberio e poi sotto Nerone. Composto da 414 versi, è prettamente alessandrino. Vi viene trattata la concezione dell'oltretomba e dell'immortalità, del bene e del male, che trasferiscono il lettore dal piano bucolico a quello filosofico. All'inizio troviamo un pastore addormentato all'ombra di un albero, che sta per essere ucciso da un serpente, proprio in quel momento una zanzara lo sveglia con la sua puntura. Il pastore si salva, ma la zanzara da lui schiacciata, gli compare in sogno. Gli descrive le sue pene di creatura insepolta, destinata a vagare nelle tenebre. Il pastore ne viene impietosito e le dona una onorata sepoltura.

Dirae (Maledizioni)

Le Dirae o "imprecazioni" sono poesia "di invettiva", sul genere dell'Ibis ovidiana. Composta da 183 versi, questa tenue operetta in esametri sembra costituire una variazione sul tema delle confische dei campi che era popolare come soggetto letterario, a causa delle Bucoliche virgiliane. Alle Dirae i manoscritti fanno seguire un lamento d'amore pastorale, dedicato a una donna di nome Lydia, che è nominata anche nelle Dirae. I due componimenti sono accostabili per il loro sfondo bucolico. I due carmi composti non oltre l'età augustea, sono una prima testimonianza del filone bucolico post-virgiliano più tardi ripreso ai tempi di Nerone.

Epigrammata (Epigrammi)

Si tratta di 25 epigrammi: Elegia in Maecenatis obitu, E non è (Est et non), Rose (Rosae), Uomo buono (Vir bonus), Hortulus, Il vino e Venere (De vino et Venere), Il livore (De livore), Il canto delle Sirene (De cantu Sirenarum), Il giorno natale (De die natali), La fortuna (De fortuna), Su Orfeo (De Orpheo), Su sé stesso (De se ipso), Le età degli animali (De aetatibus animalium), Il gioco (De ludo), De aerumnis Herculis, De Musarum inventis, Lo specchio (De speculo), Mira Vergilii versus experientia, Mira Vergilii experientia, I quattro tempi dell'anno (De quattuor temporibus anni), La nascita del sole (De ortu solis), I lavori di Ercole (De Herculis laboribus), La lettera Y (De littera Y), ed I segni celesti (De signis caelestibus).
Le Elegiae in Maecenatem sono un testo di notevole interesse storico-culturale, poiché rievocano la morte e la personalità del più influente consigliere politico e letterario di Augusto, Gaio Cilnio Mecenate. Divise in due parti: 144 versi la prima, 34 versi la seconda. Scritte dopo la morte del grande protettore di poeti. Nella prima viene difeso Mecenate dalle accuse rivoltegli di essere un manifesto epicureo, che indulgeva al vivere comodo e fastoso. Nella seconda Mecenate, sul punto di morire, riafferma la sua devozione alla casa regnante d'Augusto. Poiché Mecenate è morto dopo Virgilio, quest'opera è sicuramente non virgiliana.

Moretum (Focaccia)

Breve idillio di ispirazione campestre, 122 versi in esametri. Descrive la sveglia di un contadino all'alba. Appena alzato si prepara, aiutato dalla schiava, una colazione rustica a base di aglio, che mangia con appetito. Terminato il pasto, si reca al lavoro.

Priapea (Canti a Priapo)

Tre componimenti rusticani, composti in onore del dio Priapo, custode degli orti, che viene presentato in atteggiamenti osceni.

Note

  1. ^ a b Luciano Perelli, Storia della letteratura latina, p.183.
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