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Diffamazione in web: Cassazione italiana su verità e continenza


Il diritto italiano si muove su temi per noi molto critici e cruciali. Segnatevi questo link:

Cassazione, V sez. penale, sentenza 5 marzo 2014, n. 10594

La ragione per cui si è giunti a questa sentenza è un precedente sequestro preventivo di pagine web di un quotidiano italiano a seguito di querela per diffamazione e nell'ipotesi di reati commessi col mezzo della stampa. Messa così parrebbe materia un po' lontana da ciò che ci interessa maggiormente, ma il testo della sentenza esplicita diversi concetti di assolutamente cospicua rilevanza per ciò che facciamo noi e - in senso traslato - per ciò che abbiamo attualmente nel nostro banner a sostegno del Collega greco. Sintetizzo molto grossolanamente, potete leggere per esteso il testo per maggiore approfondimento. Ovviamente la questione della legittimità del sequestro e la specificità del contesto sono trattate con la necessaria considerazione del fatto che si tratta di un quotidiano, e come tale soggetto alla legge sulla Stampa, che una volta di più vedremo che non ci riguarda. Tuttavia, per poterne trattare, la Suprema Corte non poteva non seguire un percorso che finisce per risultarci di grande importanza.

  1. In primo luogo si riafferma, con decisione, che i siti web non sono stampa. Sollevandosi dall'ovvietà materialistica, il concetto che la Corte afferma è che "i messaggi che appaiono sui forum di discussione sono equiparabili a quelli che possono esser lasciati in una bacheca, pubblica o privata. Come questi ultimi, anche i primi sono strumenti di comunicazione del pensiero, ovvero di informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dall'art. 21 Cost. [...] Non trova pertanto applicazione per blog, mailing list, chat, newsletter, e-mail, newsgroup, ecc. la tutela costituzionale di cui al terzo comma dell'art. 21 della Carta fondamentale. I predetti "siti" conseguentemente sono sequestrabili", e senza dunque il limite delle tre copie. Tradotto: già i siti dei quotidiani, che pure ci si attenderebbe godano delle tutele previste dalla legge sulla Stampa, possono essere sequestrabili; figuriamoci chi non si riferisce nemmeno ad una testata. Insomma, un sequestro preventivo non è contrario né alla libertà di espressione né alla recente legge sull'editoria.
  2. La copia sul web non è replica, duplicazione, ma una sorta di consegna all'eternità mediatica: "la mera riproduzione sul web di articoli già pubblicati sulla carta stampata" non gode delle stesse tutele dell'originale su carta "copiato", e quindi se l'articolo di giornale ha le sue tutele, la sua copia no, se è sul web. Anche se non vi fossero questioni di diritto d'autore, un'eventuale copia pedissequa e testuale di un articolo protetto non sarebbe più protetta quando apparisse sul web. La pubblicazione in web, dice la sentenza, compie una "divulgazione" che non è mera archiviazione, ma una messa a disposizione di assai più potente portata: "la notizia immessa in rete, rimane fruibile a tempo indeterminato (finché non sia rimossa, ammesso che lo sia) e per un numero indeterminato di fruitori. La diffamazione realizzata attraverso i giornali ha certamente impatto minore e durata limitata, atteso che, a meno di ulteriori ri-pubblicazioni, la sua diffusione (e la sua lesività) si esauriscono in breve spazio di tempo".
  3. Ciò porta a ritenere "pacificamente legittimo il sequestro preventivo di un articolo pubblicato su un sito internet contenente espressioni ritenute lesive dell'onore e del decoro, qualora la sua adozione sia giustificata da effettive necessità e da adeguate ragioni che si traducono nella sussistenza del fumus commissi delicti e del pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato a cagione del mantenimento in rete delle predette espressioni".
  4. "le notizie di cronaca, le manifestazioni di critica, le denunzie civili (con qualsiasi mezzo propalate) restano comunque [...] espressione di un diritto di libertà, direttamente tutelato nell'ordinamento".
    Per quanto riguarda Wikipedia, bisogna considerare che le nostre voci non hanno direttamente a che fare con alcuna fra le tre ipotesi, perché il Progetto che fa cronaca è WikiNews, e la neutralità ci vieta di abbandonarci alla critica o alla denuncia. Tuttavia, ogniqualvolta sia di rilievo che a proposito dell'argomento della voce si registri vi sia stata cronaca, critica o denuncia, è dovere del Wikipediano inserire in voce quanto appunto rilevi ai fini della migliore e più onesta descrizione dell'argomento. La nostra libertà non è quella di cui parla questo brano della sentenza, ma viene dal famoso articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
  5. "Dunque, pur non vigendo, per quel che riguarda i media diversi dai giornali, alcuna riserva di legge, [...] non di meno, il giudice dovrà aver consapevolezza di star sequestrando non "cose", ma, per così dire, informazioni e/o opinioni (ASN 200807319-RV 239103). Orbene, se tali informazioni sono sfavorevoli a taluno, l'ordinamento ne consente la diffusione, innanzitutto a condizione che dette informazioni corrispondano al vero. La sussistenza dell'esimente del diritto di cronaca presuppone, per sua stessa natura, la diffusione di notizie "negative", a volte inevitabilmente accompagnate dalla manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui." Qui siamo al cuore di ciò che ci interessa: la veridicità del fatto che costituisce la lamentata lesione dell'onorabilità esclude l'illiceità della sua rappresentazione. Al punto che "in tema di diffamazione, il sequestro preventivo di un mezzo di comunicazione (diverso dalla stampa) in tanto potrà essere disposto, in quanto non emerga ictu oculi la probabile sussistenza di una causa di giustificazione e in particolare di quella ex art 51 cp, sub specie del diritto di cronaca e/o di critica".

Tutto questo ci interessa ovviamente non solo in relazione alla possibilità di sequestro del sito (o di rimozione selettiva coattiva di contenuti come imposto dalla Corte greca, se oltre a una faccia e una razza vi fosse anche una sola legge), ma per provare a comprendere i limiti del nostro fare enciclopedia attraverso le differenti normazioni, visto che è nostro dovere provare a tenerci nella miglior compatibilità con quante più sia possibile fra esse. Posto che nella sentenza la causa di giustificazione viene espressamente riferita all'art. 51 del codice penale, e che questo non va oltre una generica indicazione di "esercizio di un diritto", va notato che la sentenza è ovviamente riferita a un caso specifico, perciò non ritengo di star leggendo che la sussistenza di altri diritti, egualmente meritevoli e riconosciuti, non sia ammessa alla previsione di esclusione dalla punibilità. Credo peraltro che la definizione del nostro diritto debba essere oggetto di approfondimenti e studio, diviene oggi impellente infatti identificare quali possano esserne gli onori, visto che di tanto in tanto ce ne sono rappresentati nuovi oneri. Benvenuto qualunque lavoro di affinamento sotto questo profilo.
Sia la Corte che i commentatori (Scorza naturalmente fra i primi) richiedono assai poco sommessamente un intervento legislativo. Registrandosi però negli ultimi anni una teoria di proposte di legge che ci hanno anche portato a clamori dovuti alla insufficienza delle proposte in termini di adeguatezza al contesto che si intendeva regolamentare, non so se sia una normazione ciò di cui davvero abbiamo bisogno. E comunque prima che venga, e che venga applicata, il diritto con cui facciamo i conti è quello che vediamo. E' un diritto per il quale il web avrebbe "certamente" (?) già guadagnato l'eternità, anche se per usare un concetto che vedo caro alla Cassazione, questa è una sorta di "analogia in malam partem" con i risultati di audience: forse occorre qualcosa di più oltre alle tirature e al paragone con le visite web per certificare che quantitativamente e soprattutto qualitativamente un'eventuale scorrettezza dialettica sul web sia più duratura e perniciosa di pagine di giornale, con cui dopo qualche giorno - per recepimento di nome CEE - non si possono più incartare manco le uova. Ma tant'è, sono questi i concetti che circolano, l'atto sarà pure equilibrato eppure suggerisce che senza che si abbiano i commoda delle tutele, si hanno pure gli incommoda della maggior gravità presunta, attestata sulla base di un "certamente" e di una conservazione nel tempo di una informazione. Perché allora lo stato tuteli e sovvenzioni delle emeroteche, in Italia, evidentemente di nascosto ai giudici, appare a questo punto sovversivo e criminogeno. Certamente.
Una sentenza è una sentenza, vale per il caso specifico cui si riferisce, ma i principi che evidenzia, per la prassi italiana, sono principi sempre da prendere in massima considerazione. L'accento posto in questa sentenza sulla verità del fatto, se da un lato apre spiragli verso quella exceptio veritatis di cui altri utenti sanno e hanno già saputo dirvi meglio di me (:-D), dall'altro mi induce però cautelativamente ad una considerazione molto pragmatica: tutto deve essere riferito a fonte, e doverosamente la fonte va messa nel testo. Se infatti scrivo "Tizio ha rubato<ref>Fonte: Caio</ref>", ciò che è vero (ho usato la fonte Caio) è in nota, mentre il testo dice qualcosa (ha rubato) che è vero solo se Caio ha detto il vero. Se Caio ha detto una bugia, in testo avremmo una bugia. Ma se scrivo "Secondo Caio Tizio ha rubato", mi basta tenermi a casa una scansione della fonte, e poi se Tizio ha rubato o meno non ci interessa, il fatto vero è che Caio lo sostiene. Dunque in voce, nel testo, ci va Caio sostiene che Tizio ha rubato. Tempo verrà che potremo dare per scontata anche giuridicamente la differenza, per ora fidarsi è bene, ma proteggerci è meglio.
Nel rinviare la causa, la sentenza impone al Tribunale ciò che potremmo inserire pari pari nel manuale dell'admin: "chiarire se i fatti riferiti sui siti web in sequestro siano veri e, ferma la indubbia rilevanza sociale degli stessi, se essi siano stati esposti con la dovuta continenza, vale a dire senza l'utilizzo di espressioni gravemente infamanti e inutilmente umilianti, che dunque trasmodano in una mera aggressione verbale dei soggetto criticato". Con l'aggiunta di una fonte nel modo detto, questo è proprio come si fa una voce e come parrebbe pure esser lecito la si faccia in Italia. -- g · ℵ (msg) 19:15, 8 mar 2014 (CET)[rispondi]

Ringrazio Gianfranco per la tempestività con cui ha riportato la sentenza . Temi come i limiti dell'exceptio veritatis e quello del rispetto del principio della continenza sono veramente difficili e controversi. Anche le riflessione sulle fonti e i limiti del modo tradizionale di usarle mi paiono di grande rilevanza. Credo che sarà necessaria una lunga riflessione perchè questi concetti diventino un patrimonio condiviso.--Mizar (ζ Ursae Maioris) (msg) 16:56, 9 mar 2014 (CET)[rispondi]
Se i siti web (salvo casi particolari, immagino) "non sono stampa", allora la diffamazione a mezzo web, non è da considerarsi diffamazione a mezzo stampa? (E pertanto, se non erro, non è perseguibile d'ufficio e anzi mi pare sia depenalizzata, quindi è "solo" una infrazione che può essere punita -paradossi italiani ... ci sono pene per cose non penali! - sanzione amministrativa giusto?
Quanto al resto, non mi pare che cambi molto, in pratica il giudice può continuare a decidere di volta in volta se ritiene che vi siano le condizioni indicate in modo vago e non poi così chiaro e determinabile (ed enormemente più generale) dell'articolo 51 del codice penale, giusto?--109.53.223.216 (msg) 11:28, 13 mar 2014 (CET)[rispondi]
uhmmm, no, no, precisiamo: la diffamazione resta reato penale anche se perseguibile a querela. La procedibilità d'ufficio non c'entra nulla perché parliamo pur sempre di materie in cui la lesione della propria onorabilità deve essere lamentata dalla parte che vi abbia interesse, e se lesione vi sia stata nessuno può saperlo se non le parti stesse, dopodiché si tratta di un procedimento penale promosso attraverso una querela. In soldoni: se un poliziotto viene a sapere che Tizio ha detto "Caio è un ladro", non per questo è tenuto ad inviare notizia di reato alla Procura, lo farà se, e solo se, Caio si presenta in Commissariato e - fallito il tentativo di conciliazione che formalmente spetta alla Polizia tentare - Caio stesso insiste a sporgere querela. Non si tratta affatto di sanzione amministrativa, che sia o meno commessa col mezzo della stampa (uno dei modi di commissione del reato, ma sempre dello stesso reato si parla), c'è sempre in ballo la reclusione; qualcuno a volte se la scampa (v.), ma non è affatto sanzione amministrativa.
L'art. 51 CP elenca alcune "cause di giustificazione del reato" per le quali non esclude l'imputabilità, ma esclude la punibilità. Nota che in queste fattispecie, la condotta riscontrata non è "lecita", è "giustificata". Il fatto resta cioè sempre vietato come principio, e quindi - sempre come principio - non lo si deve compiere a meno che non si abbia un buon motivo per compierlo. Puoi esserne sempre imputato, ma a certe condizioni (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) non puoi esserne punito. Ciò che si deve stabilire è, per ciò che ci riguarda, se davvero nel momento in cui lo facciamo, riportare un dato corrisponde ad un modo di esercizio di un diritto che davvero abbiamo. Quindi si deve verificare se noi Wikipediani abbiamo diritto di fare enciclopedia e se l'abbiamo fatta nei modi in cui l'esercizio del nostro diritto sia adeguato, senza eccessi che - in quanto tali - tornerebbero a ledere interessi altrui. E' per questo che ho invitato i Colleghi Wikipediani a riflettere su una miglior definizione del nostro diritto di fare enciclopedia, anche sulla base di questa sentenza che evidenzia un principio importante, sino ad ora nei fatti poco considerato: la verità dell'assunto. Il Codice Penale non menziona la verità dell'assunto se non per limitare ad alcuni casi la possibilità di portarla a prova ai fini della non punibilità; la Cassazione invece impone al Tribunale di effettuare questo accertamento, e lo impone in modo da suggerirne la condizionalità, cioè dice al Tribunale "controlla prima che il fatto riportato non sia vero, perché se fosse vero vi sarebbe l'esimente", cioè non ci sarebbe punibilità.
Vederlo scritto così a chiare lettere rappresenta la novità fondamentale della sentenza, e si tratta di una novità importantissima, soprattutto per noi.
Il cammino è lungo: un giorno forse i nostri nipoti vedranno imporsi il principio della coerenza per il quale chi si senta danneggiato dalla pubblicazione di un fatto vero dovrà per coerenza sentirsi danneggiato da tutti coloro che l'hanno riportata e non solo da alcuni fra essi: se riporto un dato e ti dico che lo prendo dalla tal fonte, non posso essere solo io a danneggiarti, anche la mia fonte ti danneggia. E tu lo apprendi nel momento stesso in cui apprendi di me, perché appunto ti cito la fonte; quindi sai che a danneggiarti siamo almeno in due, io e la fonte. Se quereli solo me e non anche la mia fonte, non è per nulla chiaro perché sia io solo ad infamarti e non chi (la fonte) tanto pernicioso si è rivelato da addirittura provocare la mia propagazione del fatto dannoso (la mia fonte non solo ti danneggia, ma addirittura causa la propagazione e la ripetizione del danno). Se vai in tribunale a lamentarti per la tua lesa onorabilità, se questa è oggettivamente stata lesa allora ci chiami tutti a risponderne, ma se ne chiami qualcuno sì e qualcuno no, dovrebbe essere palese che il danno lamentato è piuttosto soggettivamente sgradito, non oggettivamente dannoso, cioè ti fa danno che ne parli io, non che se ne parli in generale, dunque non è il parlarne il danno lamentato, è il fatto che ne parli io. E questo è ricorso personalistico alla funzione di Giustizia per fattispecie in cui si sostiene di aver ravvisato a gusto personale, e non già oggettivamente, un interesse da tutelare in modo illogico, incoerente e strumentale. Questo è il caso del nostro Collega greco, questa è la frontiera successiva :-) -- g · ℵ (msg) 12:35, 13 mar 2014 (CET)[rispondi]
@G Se mi dovesse capitare non mi sarebbe di grande consolazione sapere che in un giudizio penale la querela si estenda, o meno, anche alla fonte da me citata.
Soprattutto, però ritengo che, anche se la sentenza fa qualche passo nel senso di recepire l'exceptio veritatis le problematiche aperte meritano un approfondimento. Sono anni che ripeto che i pericoli della tematica diffamazione sono molto più gravi di quelli della violazione del copyright. Sul diritto d'autore c'è una grande attenzione, sulla diffamazione, mi sembra, c'è insensibilità.--Mizar (ζ Ursae Maioris) (msg) 04:40, 14 mar 2014 (CET)[rispondi]