Utente:Francesca Ottaviano/Sandbox

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Età longobarda e carolingia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stabilirsi dell' Ordine di San Benedetto a Pedona fu per questo paese un avvenimento di grande importanza. Un convento benedettino, infatti, pensava e provvedeva a ogni ramo di attività ed a ogni necessità locale. In monastero di Pedona fu uno dei più antichi del Piemonte. I monaci durante l’epoca longobarda e carolingia acquistarono le proprietà fondiarie in varie località limitrofe e diffusero in questo modo il culto di Dalmazzo di Pedona. in questo periodo cessò l’antica disciplina di conservare intatte le reliquie dei martiri, senza distribuirle qua e là nelle varie chiese. Cominciò quindi la pietosa caccia alle ossa di questi sacri pegni tra cui figuravano le ossa di S.Dalmazzo e quelle dei suoi compagni (la prima reliquia del santo è forse un osso del braccio conservato nella cattedrale di Ivrea). è bene sottolineare come i santuari sorti nel loro nome indichino non il luogo del martirio, ma il luogo dove furono trasferite le loro spoglieLa situazione ecclesiastica della regione si viene modificando ai tempi di Ariperto II il quale restituì al Papa Giovanni VII gran parte del Patrimonio assorbito e fatto scomparire a seguito della devastazione di Rotari. Certamente tale restituzione non fu un semplice ritorno allo status quo, e di fatto i possedimenti non tornarono nelle loro unità amministrative. I Longobardi avevano introdotto un nuovo regime, diverso dall’antico massericio, a base di allodii. Uno dei motivi per cui la restituzione non poté essere integrale fu che molte proprietà erano passate in mano di terzi. Il papa disponeva ora di un nuovo organismo per dirigere proprietà fondiarie: l’ordine monastico dei benedettini. Fu in questo periodo che molti monasteri tra cui quello di Pedona vennero restaurati.

L'invasione saracena[modifica | modifica wikitesto]

Intorno al 904 e il 906 i Saraceni (disambigua) invasero per la prima volta Pedona provocando danni alla chiesa e all’abbazia. Nonostante i numerosi attacchi i saraceni non si insediarono a Pedona perché la loro roccaforte rimase nella città di Frassinetto, stanziata nelle Alpi. In seguito a questi attacchi Audace, il vescovo di Asti, fece trasferire le spoglie del santo a Quargneto per inaugurare la fiera e per avere una maggiore affluenza.

Nel planctum super Pedona (pianto sopra Pedona) un monaco dell’abbazia riportò il dolore e gli effetti dell’ascesa saracena sulla popolazione e sulla citta di Pedona. Gli edifici crollarono, la popolazione fu ridotta in schiavitù, gli archivi e i documenti della zona vennero distrutti e i campi non vennero più coltivati. Inoltre le chiese furono spogliate delle loro ricchezze.

Nella fonte è inoltre riportato che nel giorno della festa di San Dalmazzo vi fu una grande affluenza dall’Italia e dalla Francia. Anche in una citazione di Papa Giovanni VIII si legge che i pagani furono una nemesi divina.Intorno al X-XI sec. iniziò un lento processo di cacciata dei Saraceni. Le truppe bizantine ruppe i rapporti marittimi con i Saraceni e nel 942 le armate cristiane tentarono un primo attacco che fallì. Successivamente vennero ricacciati nel roccaforte di Frassineto e nei pochi luoghi che erano più saldamenti occupati . La sconfitta definitiva dei Saraceni avvenne nel 985 a seguito della cattura di San Maiolo. Presero parte ai successivi attacchi anche Aleramo II, Oberto, Arduino il Galbro e i figli di Bosone, conte di Ardes.A seguito della cacciata dei Saraceni le terre cuneesi vennero spartite tra i signori piemontesi e il monastero decadde, perdendo il suo potere. I pochi abitanti rimasti dell’agro pedonese si strinsero attorno alla chiesa ricostruita di San Dalmazzo, e a poco a poco formarono una nuova villa che, successivamente, prese il nome attuale di Borgo San Dalmazzo. Essa è spostata rispetto all’antico abitato che si trovava sui margini del fiume Stura mentre Borgo San Dalmazzo è vicino al fiume Gesso.


Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • {{cita libro| Alessandro |Riberi|}
  • {{cita libro| Ristorto}
  • {{cita libro| Albertini}