Il colosso (Goldoni)

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Il colosso
Commedia
Il Collegio Ghislieri di Pavia
AutoreCarlo Goldoni
Generefarsa
AmbientazionePavia
Composto nel1726
 

Il colosso è una breve opera teatrale satirica (un'atellana[1]) andata perduta, scritta da Carlo Goldoni nel 1726, all'età di diciannove anni, per essere rappresentata nel teatrino del Collegio Ghislieri di Pavia, dove Goldoni stava perfezionando i suoi studi giuridici, grazie a una borsa di studio offerta dal senatore marchese Pietro Goldoni Vidoni, protettore della sua famiglia.

A causa di questa satira, diretta verso alcune ragazze della borghesia locale, Goldoni fu espulso dal collegio[2] nel quale, tuttavia, aveva trascorso quasi tre anni allegri e sereni della sua vita[3]

Trama[modifica | modifica wikitesto]

A Pavia viene eretta una statua colossale che vuole rappresentate la perfezione della bellezza femminile: per questo lo scultore prende i particolari fisici di varie ragazze del luogo, senza trascurare alcuna parte del corpo. Ma artisti e amatori, tutti d'opinione diversa, trovano difetti dappertutto.

«Era una satira che doveva ferire la delicatezza di parecchie famiglie onorate e rispettabili; ebbi la disgrazia di renderla gradevole con motti piccanti, e con i dardi di quella vis comica, che maneggiavo con molta naturalezza e punta prudenza.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ C. Goldoni, Mémoires: Avevo deliberato di comporre una commedia secondo il gusto di Aristofane; ma non mi sentendo forze bastanti per riuscirvi, e poi il tempo essendo corto, composi un'Atellana, genere di commedia informe presso i Romani, che conteneva soltanto satire e facezie
  2. ^ C. Goldoni, Mémoires: Gl'indifferenti si divertivano dell'opera e condannavano l'autore. Ma dodici famiglie gridavano vendetta: mi si voleva morto. Ero per buona sorte ancora in arresto. Parecchi miei compagni furono insultati, il collegio del Papa era assediato, fu scritto al prefetto ed egli tornò precipitosamente. Avrebbe desiderato salvarmi; scrisse perciò al senatore Goldoni, e questi spedì lettere al senatore Erba Odescalchi, governatore di Pavia. Si adoperarono in mio favore l'arcivescovo che mi aveva tonsurato e il marchese Ghislieri che mi aveva nominato: tutte le mie protezioni e tutti i loro passi furono inutili. Io dovevo essere sacrificato e, senza il privilegio del luogo ove mi trovavo, la Giustizia si sarebbe di me impadronita. Insomma mi si annunciò l'esclusione dal collegio, e si aspettò che fosse sedata la burrasca per farmi partire senza pericolo
  3. ^ G. Bonghi, Biografia di Carlo Goldoni, 1996