Discussione:Todo modo (film)

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Cinema
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Todo modo è l'ultima tappa del cammino congiunto di Elio Petri e Gianmaria Volontè, un cammino cinematografico, ma anche politico e ideologico, che ha contribuito a fare la fortuna del "cinema politico" italiano degli anni settanta. Dopo "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" e "La classe operaia va in Paradiso", "Todo modo" assume toni più cupi e farseschi nell'intento di fornire una parodia amara e realistica della classe politico-dirigenziale che in deteneva il potere assoluto in Italia dal dopoguerra: la Democrazia Cristiana. Il film si svolge in un albergo-eremo-prigione, nel quale capi politici, grandi indistriali, banchieri e dirigenti d'azienda (tutti appartenenti alle varie correnti della Dc)si ritrovano per l'annuale tre-giorni di esercizi spirituali (che servono ad espiare i reati di corruzione e quant'altro che essi erano soliti praticare), questa volta anche in concomitanza con un'epidemia che mieteva numerose vittime in giro per l'Italia. All'interno di questo luogo (Zafer), in realtà deve avvenire una sorta di rinnovamento del partito, della propria struttura, dei propri vertici, dei propri interessi (storicamente, quando il film uscì, era il periodo del compromesso storico tra Dc e PCI)al fine di mantenere il poetre nel Paese. Tra litigi continui e violenti, accuse reciproche e davvero poca pratica spirituale, iniziano ad accadere una serie di apparentemente immotivati delitti, che eliminano, pian piano, una serie di personaggi di primo piano del partito. Tra i tantissimi personaggi, ve n'è uno, detto "il Presidente", interpretato da uno strepitoso Gianmaria Volontè, nei panni del capo politico conciliante, bonario, che mira ad accontentare tutti, ma segretamente animato da una sete di potere e di dominio infinita. Il personaggio è apertamente calcato sulla figura di Aldo Moro, pur senza mai nominarlo direttamente; ma la fisicità, il modo di comportarsi ed il ruolo rivestito non lasciano spazio a dubbi in merito. Volontè per quest'interpretazione prese a studiare i comportamenti di Moro, i suoi discorsi, la sua mimica facciale e corporale, l'inflessione della sua voce, la sua vena conciliatrice. Ma, come ricorda Petri, i primi due giorni delle riprese furono cestinati di comune accordo perchhè la somiglianza tra i due "era imbarazzante, prendeva alla bocca dellos tomaco", in particolar modo, considerando che egli non doveva interpretare direttamente Moro, bensì fornirne una maschera, una caricatura, un simulacro. Anche perché, se il personaggio fosse stato espolicitamente Aldo Moro, il film non sarebbe mai uscito nelle sale. Vi è anche una grande interpretazione di Marcello Mastroianni, nei panni di Don Gaetano, un prete astuto e calcolatore, molto pèotente sul piano politico ed, anch'egli, assetato di potere. Nella parte finale del film siwscopre che, in realtà, l'artefice insospettabile degli omicidi altro non è che "il Presidente", come ultimo atto d'amore dovuto nei confronti dell'Italia, per liberarla dalla malvagità di quella classe politica (che, altrimenti, avrebbe continuato a governare per decenni, come realmente è stato, prima dello scandalo di Tangentopoli), prima di togliersi la vita a sua volta per completare l'opera. La pellicola, dal marcato sapore espressionista e dall'esplicita vena grottesca con cui proprone la propria visione della dc e della politica italiana in generale, aveva l'obiettivo dichiarato di denunciare la corruzione, il malcostume, l'imperversare di interssi personali nella gestione della res pubblica italiana, ricorredno al registro grottesco come unica arma possibile per denunciare senza incorrere in censure particolari. Alla proiezione nelle sale, il film fu accolto con freddezza. Molto difficile da comprendere e molto lento nella struttura, fu molto criticato dalla classe politica democristiana e snobbato dai comunisti (era il period del compromesso storico, racconta Petri che in pubblico i comunisti lo criticavano, in privato gli confidavano che piaceva loro), tanto che segnò il decadimento della corrente del "cinema politico" e la fine del fiortunatissimo connubio Petri-Volontè.

Testo inedito, redatto da Giuseppe Colucci

Non sarebbe il caso di scegliere un'immagine diversa dalla scena finale?