Discussione:Agricoltura biologica/Archivio1

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Ho aggiunto qualche dato tecnico in più.


Alcuni dicono che la roba biologica è di qualità scadente, a me invece piace.--84.222.53.118 17:02, 27 gen 2006 (CET)[rispondi]

Chi dice che il biologico e di qualità scadente? Io vivo nel paese dell'idroponico(l'Olanda);avete mai assaggiato un pomodoro idroponico?O vegetale di una serra olandese? viva il biologico!!!!!!!!! Saluti Roberto

Non è affatto detto che un prodotto ottenuto seguendo il metodo di produzione biologica sia di qualità superiore ad uno convenzionale. E' possibile ottenere un prodotto di qualità tanto in un modo quanto nell'altro. Produrre un buon prodotto biologico è però molto più difficile.--Stemby 10:40, 30 gen 2006 (CET)[rispondi]
Perfettamente d'accordo con Stemby. Il biologico dà ottimi risultati quando si opera in condizioni ottimali, ma in un ambiente sfavorevole non può assolutamente competere con un contesto in cui c'è un minimo di controllo e regolazione dei fattori produttivi. Come al solito la ragione non sta né da una parte né da un'altra ma va rapportata ad un buon grado di razionalità e soprattutto depurata da qualsiasi leggenda metropolitana e terrorismo.
@ Roberto: io non vivo nel paese dell'idroponico, sto in Sardegna, e ho abbastanza esperienza nella coltivazione del pomodoro sia in idroponica sia in pieno campo. Nell'ambiente in cui opero ottengo un pomodoro in idroponica che non ha nulla da invidiare a parecchi pomodori prodotti in pieno campo, biologici o non, anzi... A parte il fatto che nel nostro terreno, poverissimo di colloidi, con pH 5-5,5, ricco di scheletro, del tutto privo di calcio, con evapotraspirazione effettiva dell'ordine di 8-10 mm/giorno e temperature al suolo in piena insolazione che superano i 50°C, i pomodori in biologico te li scordi del tutto visto che il 90-95% delle bacche si becca il marciume apicale. D'altra parte ci sono altri terreni dai quali si possono ottenere dei signori pomodori limitandosi solo a controllare le erbacce e qualche avversità sempre in agguato. Questione di risorse potenziali. Nel mio orto ho tre viti alle quali non faccio nulla tranne la potatura e l'irrigazione. Da anni, per pigrizia, non faccio neppure la concimazione, eppure da un mese sto mangiando l'uva prodotta da un solo ceppo di Cardinal al quale non ho somministrato neppure lo zolfo per l'oidio. Me lo posso permettere grazie ad una condizione ambientale molto particolare, visto che ie vigneti più vicini si trovano a 10-15 km di distanza --Furriadroxiu 15:06, 25 ago 2007 (CEST)[rispondi]

Produttività[modifica wikitesto]

Oltre al fatto che addirittura esiste un articolo di legge (art.10 Reg 2092/91) che vieta espressamente di qualificare il biologico come di qualità intrinsecamente superiore, vorrei proporvi una riflessione un po' tirata, ma interessante. Ipotizziamo di avere 1 ettaro a biologico e di riuscire a farlo produrre (per assurdo) tanto quanto un ettaro coltivato a convenzionale (e.g. mais 10 t/ha). Per fertilizzarlo avremo, nel caso del biologico, bisogno di letame, che viene prodotto da un allevamento il quale per produrlo ha necessità di 1 ettaro di erba medica. In sintesi, in questa rosea ipotesi ci servirebbero dunque 2 ettari per produrre quanto un ettaro di mais convenzionale (questo è spannometrico, ma se interessa posso fornire qualche dato in più sul bilancio dell'azoto).

La domanda è quindi la seguente: se io ho bisogno di X quintali di mais, a parità di produzione tra biologico e convenzionale, il biologico mi chiede in totale il doppio della terra. Da dove la prendo?? Risposta A. Coltivo più terra andando ad intaccare ecosistemi delicati ora lasciati alla "natura". Risposta B. Importo gli X/2 quintali di mais che mi servono in più, anche se così esporto il problema ambientale (il paese che produce gli X/2 quintali per me dovrà usare le sue risorse naturali per farlo (ricadendo nella risposta A) e si spera lo faccia usando pratiche convenzionali altrimenti il problema si amplificherebbe all'infinito. Risposta C. Riduco la mia richiesta di mais da X a X/2 quintali... ma chi sta a dieta forzata? anche considerando che i dati FAO indicano che oggi la produzione agricola mondiale è pari o inferiore al fabbisogno e che inoltre il consumo di carne nei PVS è in netta crescita?

Qualche proposta? Asterix451

Risolvere il problema della fame del mondo è la Missione di noi agrari (è un po' come salvare le vite umane per un medico). Non credo che sia uno scherzo. Asterix451 ha colto nel segno. Il modello da proporre ai Paesi in via di sviluppo non è certo fondabile sul metodo di produzione biologico, per il semplice motivo che la produttività (ovvero la produzione per unità di superficie, tonnellate per ettaro) è nettamente inferiore. Per essere rigorosi, la riflessione proposta non è corretta, dato che per produrre secondo il metodo di agricoltura biologica non è indispensabile usare il letame, esistono altri fertilizzanti ammessi (in primis il compost, ma c'è una lista abbastanza ampia) e si possono adottare pratiche agronomiche che vanno ad aumentare la fertilità del terreno (sovescio). Fatto sta che la produttività è nettamente inferiore nel biologico rispetto al convenzionale.
Il problema principale che è alla base della fame nel mondo è dovuto alla crescita esponenziale della popolazione mondiale, aumento concentrato quasi totalmente nelle aree più povere. Per dare da mangiare a tutti, bisogna necessariamente aumentare la produzione; le alternative ipotizzabili sono 2: o si aumentano i terreni coltivati, o si aumenta la produttività. La prima ipotesi è altamente sconsigliabile, oltre ad essere poco praticabile: l'aumento delle aree urbanizzate (se la popolazione cresce, dovrà pure abitare da qualche parte!) e la desertificazione di alcune aree tendono a diminuire le superfici disponibili all'agricoltura, la superficie del pianeta non è illimitata, e credo sia impensabile dissodare terre vergini (vedi foresta amazzonica) per ovvi motivi ambientali. Dunque l'unica mossa attuabile è aumentare la produttività. Per ora ci siamo riusciti, la produttività aumenta circa quanto la popolazione, ma questo solo grazie al progredire della tecnologia, e in particolare del miglioramento genetico (e non sto parlando di OGM, anche se si potrebbe aprire una parentesi). Il dramma è che appena una popolazione comincia a star bene, inizia a mangiare carne, col risultato che i più poveri hanno sempre più fame. Come ho cercato di illustare, abbiamo già grande difficoltà a soddisfare i fabbisogni alimentari con l'agricoltura tradizionale, con quella biologica diventa impossibile.
In sintesi: io non sono contro l'agricoltura biologica, ma bisogna renderci conto che è un modello applicabile solo in un Paese come il nostro, i cui abitanti hanno la pancia fin troppo piena. Però propongo io un quesito: secondo voi non sarebbe meglio aumentare anche qui la produttività? Questo significherebbe avere la stessa produzione (non abbiamo necessità di aumentarla) su una superficie più ridotta, ovvero avere terra disponibile per altri scopi, come il rimboschimento o la produzione di biomasse a fini energetici. Sfido chiunque a dire che sarebbe meno ecocompatibile (soprattutto in questo periodo di crisi energetica...). Rifletteteci!--Stemby 15:07, 2 feb 2006 (CET)[rispondi]

Asterix451 ti prende sul serio e risponde ;o). Fertilizzanti Biologici: è vero, sono stato volutamente provocatorio, ma questo per sottolineare che il problema fondamentale è l'azoto... e l'azoto si deve recuperare da qualche parte - nel biologico non è rappresentato da materiale di sintesi e quindi viene da materiale biologico. Ovvero da altro materiale (letame, residui colturali, compost o altre cose ancora "peggiori"(?) come le farine animali) che devo aggiungere e che provengono in ultima analisi da un altro pezzo di terra...

Sistema ad alta intensità in Italia: lo vedo altamente auspicabile in quanto noi oggi importiamo circa il 50% del grano duro da pasta e la nostra soia rappresenta a mala pena l'8% del nostro fabbisogno. Sul mais siamo quasi autonomi, però proporre di farlo biologico vuol dire perdere dal 20 al 60% della produzione (e infatti mais biologico in giro non se ne trova) a causa di malerbe, insetti vari e varietà che richiedono input elevati per produrre. In sostanza se l'Italia decidesse per una agricoltura a basso input diventerebbe ancor più dipendente dalle importazioni e alla fine, come per le fonti energetiche, completamente schiava delle decisioni prese altrove. Se invece si spingesse verso un'agricoltura intensiva collegata alla riqualificazione delle aree marginali (dal 1950 ad oggi è sparito più del 50% dei rifugi per la biodiversità della pianura padana (rogge, filari, pioppeti, etc...)) beh, allora sì faremmo del bene al nostro territorio, senza farlo pesare su altri paesi (badate bene che il secondo pilastro della PAC prevede anche questa possibilità!).

Qualsiasi considerazione si voglia fare deve sempre partire da un presupposto: l'agrosistema (in biologico o meno) non è un ecosistema naturale. Se si vuole sfruttare la potenzialità produttiva naturale dobbiamo porci alla stregua degli altri organismi e competere con essi, ma è impensabile ottenere rese quantitative che possono superare la soglia della produttività naturale. Limitandoci al discorso azoto, questo è disponibile perché il ciclo del carbonio permette l'accumulo e la conservazione dell'azoto fissato biologicamente. Un sistema agricolo basato su criteri biologici emula un ecosistema naturale grazie al reintegro della sostanza organica, ma non può assolutamente emulare un sistema agricolo intensivo che si propone rese quantitative superiori a quelle imposte dalla produttività naturale. Una coltura di leguminose foraggere può arricchire il terreno apportando, nella migliore delle ipotesi, 50-60 kg/ha di azoto, ma la produzione di foraggio dal punto di vista ecologico è antieconomica perché è destinata alla produzione zootecnica. A meno che non si decida di far mangiare foraggi alle persone, a parità di superficie il numero di persone che si possono sostenere si riduce drasticamente se queste passano da un'alimentazione a base di prodotti vegetali ad un'alimentazione a base di prodotti zootecnici: è una legge dell'ecologia che nessuno ancora è riuscito a sfatare, visto che la biomassa sostenibile dei consumatori primari (gli erbivori) e di gran lunga superiore a quella dei consumatori secondari (i carnivori) in una qualsiasi piramide alimentare. Se andiamo a guardare le colture che prevalgono sono i cereali e non certo i legumi: riso in asia, sorgo e miglio in africa, mais nell'america latina, orzo, frumento e mais nel nordamerica, in europa e in australia; ai quali si aggiunge la canna da zucchero dove è possibile coltivarla. Detto questo, nel terzo mondo si pratica soprattutto un'agricoltura di rapina perché finalizzata a dare la massima produzione di energia nel breve periodo; dove esiste un'agricoltura di mercato si pratica invece un'agricoltura razionale perché con la concimazione si reintegra e si incrementa l'azoto asportato, ma la maggior parte dell'azoto reintegrato è di origine industriale. L'agricoltura biologica è un settore di nicchia e non potrà mai sostenere il peso di una popolazione di 10 miliardi di esseri umani neppure ricorrendo ai concimi organici. Se vogliamo ottenere le stesse rese produttive fornite da 2 quintali di urea dobbiamo portare qualcosa come 200 quintali di letame, e parlo di uno dei migliori concimi organici! Qual'è il costo socio-economico di produzione di un quintale di letame? già, perché per produrre il letame occorrono superfici destinate alla zootecnica e che inevitabilmente riducono il carico sostenibile di "bestiame umano" che si può alimentare.
Per concludere, da decenni la FAO investe le sue migliori risorse umane per risolvere il problema del ciclo dell'azoto potenziando l'azotofissazione non simbiontica, l'unica compatibile con un alto investimento a cereali, eppure il problema è ben lungi dall'essere risolto. Ci sarà sicuramente un motivo alla base, n'est pas? --Furriadroxiu 15:42, 25 ago 2007 (CEST)[rispondi]

Bei discorsi, ma sarebbe interessante avere qualche dato di lungo periodo sulle differenze di produttività. Dico di lungo periodo perché ovviamente bisogna considerare ad esempio l'impoverimento dei suoli e le resistenze che si sviluppano nei parassiti, per non parlare poi della debolezza delle monocolture (l'Irlanda insegna: però non abbiamo un Nuovo mondo dove emigrare, noi). Nemo 22:04, 25 ago 2007 (CEST)[rispondi]

Ti dico solo che la produttività del mais è in costante aumento (tranne che in Italia/una_parte_d'Europa, visto che da 10 anni non partecipiamo più al programma di miglioramento genetico mondiale, avendo il divieto di impiegare OGM): dal dopo-guerra ad oggi, è costantemente cresciuta di circa un quintale/ettaro*anno. Scusa se è poco. E in monocultura e omosucessione (che non è senz'altro il massimo dal punto di vista agronomico, ma per diverse ragioni si è "costretti" ad operare così). Credo che un trend di questo tipo, e su un periodo ormai piuttosto lungo, sia indicativo.--Stemby 22:52, 25 ago 2007 (CEST)[rispondi]
Personalmente non sono convinto che gli OGM siano la strada migliore nel lungo periodo. Penso anzi che tale strada sia deleteria per la tutela della biodiversità. Se poi si analizzano i risvolti sociopolitici andrebbero riviste parecchie cose in fatto di etica nella regolamentazione dei brevetti. Se invece vogliamo che si instauri un nuovo colonialismo economico allora è la scelta giusta. Monsanto rulez ;) --Furriadroxiu 23:08, 25 ago 2007 (CEST)[rispondi]
Neanch'io penso che gli OGM siano la panacea di tutti i mali, ma non li escludo con pregiudizio. E il miglioramento genetico mondiale del mais si svolge in questo modo, che lo vogliamo o meno. Per quanto riguarda la biodiversità: che differenza c'è, scusa? Si passerebbe da un ibrido Monsanto o Pioneer a un ibrido OGM Monsanto o Pioneer... Comunque interessanti le tue argomentazioni qui sotto. Non avevo voglia di spendere più di due parole, visto che Nemo chiedeva due numeri glieli ho dati, ma credo che dopo la tua risposta possa ritenersi più soddisfatto.--Stemby 23:29, 25 ago 2007 (CEST)[rispondi]
Hai perfettamente ragione, ma il problema è proprio quello, il mais è l'esempio emblematico: l'abbandono delle varietà in favore degli ibridi ha ridotto drasticamente la biodiversità genetica e la conservazione del germoplasma penso che ormai sia in larga parte in mano alle multinazionali sementiere. In altri comparti agricoli la situazione è senz'altro meno drammatica, ma pensiamo all'emergenza dei fruttiferi dove ormai si sente l'esigenza di allestire le collezioni proprio per evitare l'estinzione degli ecotipi e delle varietà abbandonate. Non dimentichiamo che è proprio il germoplasma naturale ad aver fornito spesso la soluzione per introdurre nelle selezioni clonali fattori di resistenza. Gli ibridi hanno certo rappresentato una strada obbligata, perché è impensabile ottenere 150 q di granella da una vecchia varietà, d'altra parte questo ha rappresentato un costo non indifferente. Gli OGM rappresentano secondo me un estremizzazione che accentua la gravità del problema e sicuramente non seguono la stessa direzione di quell'agricoltura sostenibile che tutti vorremmo vedere. In ogni caso le mie sono speculazioni in parte filosofiche, di sicuro è che la maidicoltura in Italia è in forte crisi e a questa crisi ha contribuito sensibilmente il gap tecnologico.
Ritornando all'agricoltura biologica, io la vedrei anche come un'ottima occasione per conservare il germoplasma e valorizzare ecotipi locali e vecchie varietà. Però restiamo sempre nell'ottica di un'agricoltura di nicchia. --Furriadroxiu 23:56, 25 ago 2007 (CEST)[rispondi]

@ Nemo: Innanzitutto fai considerazioni che non sono una peculiarità esclusiva dell'agricoltura biologica:

  • L'impoverimento del suolo è un fenomeno a cui non si interessa solo l'agricoltura biologica ma anche quella convenzionale. Che poi si adotti la concimazione minerale o quella organica o una tecnica mista è una questione di scelta tecnica ed economica. Di certo c'è un dato di fatto: non si può fare un'agricoltura di rapina né con l'agricoltura biologica né con l'agricoltura convenzionale. D'altra parte, poiché le rese dipendono dal concorso di vari fattori produttivi e non solo dalla fertilità chimica del terreno, sia nell'agricoltura biologica sia in quella convenzionale si ottengono produttività più alte rispetto a condizioni del tutto naturali; questo pone un serio problema: quando si fa agricoltura biologica, siamo sicuri che stiamo reintegrando tutti gli elementi asportati con il raccolto? Personalmente ne dubito per due motivi: il primo è che qualsiasi concime organico si apporti non è detto che la sua composizione corrisponda alla formula nutritiva ottimale, il secondo è che c'è il rischio che i concimi organici apportati - a causa del basso titolo - non siano effettivamente sufficienti a reintegrare le perdite e che di fatto in un tempo più o meno lungo le coltivazioni biologiche possano attingere alla dotazione di mantenimento del terreno causandone un impoverimento. Questa considerazione non vuole essere una legge, capiamoci, ma mentre con la concimazione organica non è facile controllare tutti i parametri, con quella minerale si.
  • L'approccio con i parassiti (io parlerei più in generale di avversità) è possibile con tecniche trasversali che non sono prerogativa esclusiva dell'agricoltura biologica. L'agricoltura biologica è compatibile solo con alcuni mezzi fra i quali quelli biologici (e non tutti per la verità, perché sinceramente l'uso del rotenone o del piretro è più deleterio per l'entomofauna utile di alcuni insetticidi di sintesi di nuova generazione come ad esempio i regolatori di crescita) e qualche mezzo biotecnico (es. il mass trapping con l'uso dei feromoni che non è proprio un mezzo biologico). L'agricoltura convenzionale può basarsi sulla lotta chimica (che ormai è ritenuta obsoleta anche se ancora di largo uso), ma può raggiungere risultati molto più lusinghieri con forme di lotta a basso impatto quale la lotta integrata. Allo stato attuale la lotta biologica propriamente detta ha ancora troppi limiti mentre invece con la lotta integrata si sono fatti passi da gigante. Ebbene, con la lotta integrata o, ancora meglio, con la produzione integrata un criterio fondamentale nell'impostazione della tecnica è proprio la prevenzione dell'accumulo di parassiti e fitofagi e dell'induzione di fenomeni di resistenza. Questi criteri, in Italia, sono largamente adottati nell'agricoltura convenzionale da almeno una ventina d'anni. Basta farsi un giretto fra i vari disciplinari di produzione integrata adottati dalle singole regioni, provincie e associazioni di produttori per rendersene conto. La lotta chimica a calendario fa parte della storia da parecchio tempo ;)
  • La monocoltura è sempre stata deprecata dall'agronomia sia classica sia moderna. La sua applicazione si basa su criteri esclusivamente economici ma ha subito un drastico ridimensionamento. Sia chiaro che l'agronomia moderna non contempla le rotazioni colturali rigide, ma promuove l'avvicendamento colturale basato su schemi elastici che non prevedono assolutamente la monosuccessione. Casi come quello della peronospora della patata risalgono ad oltre un secolo fa, quando ancora l'agronomia era una "scienza" largamente basata sull'empirismo e sulla tradizione. Nel frattempo è passata parecchia acqua sotto i ponti, certo si sono fatti molti errori e di grande portata ma questo è insito nella natura umana. Attenzione a non fare un grosso errore pensando che l'agricoltura biologica sia l'unica panacea per risolvere i mali dell'umanità perché in realtà è la scelta che porterebbe inevitabilmente alla decimazione per fame di miliardi di esseri umani. L'ecologia non è un'opinione, anzi è una scienza molto più esatta dell'agronomia.

Con questo sembrerebbe che io abbia una posizione di pregiudizio nei confronti dell'agricoltura biologica, ma non è così, ho semplicemente una posizione critica. Non escludo a priori la sua valenza, però se analizziamo il problema sotto un criterio ecologico (attenzione, non ambientalistico) l'agricoltura biologica è un comparto che sottrae risorse al genere umano. Infine una considerazione sulle differenze di produttività nel lungo periodo: con le ipotesi non si arriva a nessuna conclusione, per dire che nel lungo periodo l'agricoltura biologica possa avere una produttività più alta di quella convenzionale (cosa di cui dubito comunque perché la chimica e la microbiologia del terreno non fanno pensare in questa direzione) occorrono decenni di sperimentazione e non certo basata sulle statistiche dell'ordinarietà: dato il target a cui si rivolge l'agricoltura biologica è inevitabile che ad essa si destinino le aree con maggiore vocazione agronomica. Vogliamo provare a fare agricoltura biologica in un terreno a pH 5 con il 40% di scheletro limitandoci a incorporare ogni anno 50 q/ha di compost? Auguri  ;) --Furriadroxiu 23:02, 25 ago 2007 (CEST)[rispondi]

Io non dico che l'agricoltura biologica sia piú produttiva, dico semplicemente che non è detto che lo sia di meno, nel lungo periodo.
La resa è aumentata, ma non sempre è aumentata la redditività, perché gli investimenti necessari aumentano moltissimo. E questo vale soprattutto per gli OGM (soprattutto se transgenici): proprio Vandana Shiva parla in continuazione dei fallimenti di decine e decine di migliaia di agricoltori indiani convertitisi all'OGM. Del resto non si vede perché gli OGM dovrebbero essere l'unico metodo di selezione colturale, quando i normali incroci (magari guidati con degli studi genetici, invece che fatti a casaccio) a me risulta che diano risultati anche migliori. Però qui andiamo fuori tema.
Purtroppo nessuno è in grado di fornire dati precisi sulle differenze di produttività nel lungo periodo fra coltivazioni biologiche, convenzionali o OGM, anche perché non è passato abbastanza tempo.
In ogni caso, la produttività non è l'unico elemento da considerare, perché sono importanti anche le richieste energetiche o idriche (che lo saranno sempre piú) e i costi in generale, ma anche i rischi di lungo periodo come i parassiti e le malattie resistenti (molto rischiose in mancanza di biodiversità, in continua diminuzione da decenni). Infine non mi sembra giusto dire che dobbiamo per forza coltivare pomodori e granturco ovunque sfruttando tutte el tecnologie possibili, invece di adattare le coltivazioni al terreno disponibile (ci sono piante alimentari oggi cadute in disuso che hanno esigenze molto minori: perché dovremmo mangiare solo grano, granturco, soia e carne?). Inoltre, la sovrappopolazione non è un dato immodificabile.
In conclusione: è una questione talmente complicata che non può essere ridotta a scelte banali come quella fra convenzionale, integrata, biologica, OGM: nessuno ha la bacchetta magica. Piuttosto bisognerebbe cercare di capire delle "piccole" cose come la questione della produttività. Altrimenti parliamo a vanvera. Nemo 00:29, 26 ago 2007 (CEST)[rispondi]
Concordo pienamente sulla tua considerazione finale, cioè che la questione non può essere ridotta a scelte banali, è proprio il filo conduttore della mia posizione che è orientata ad una sostenibilità di tipo integrato più che ad una sostenibilità incuneata in un contesto vincolato e dotato di alta specificità come l'agricoltura biologica. In merito alle tue considerazioni precedenti non dimentichiamoci che esistono sempre motivazioni economiche alla base delle scelte tecniche: il successo del mais o del pomodoro si devono alla loro redditività rispetto ad una lenticchia o ad una zucca ornamentale. Stravolgere questo sistema significa adottare/imporre una concezione sociopolitica che è condivisa solo da pochi. Capisco perfettamente (e le condivido) le motivazioni politiche di Vandana Shiva perché la guerra dei semi in alcune lande strategiche dell'Asia sta raggiungendo dimensioni drammatiche, ma la tematica esula un po' dall'aspetto strettamente tecnico. Col mio intervento prolisso di prima volevo solo farti notare che diversi orientamenti tecnici adottati dall'agricoltura biologica non sono una sua esclusiva: personalmente preferisco parlare di agricoltura sostenibile, cioè un'agricoltura che abbia un impatto basso sull'ambiente, sulla salute umana e sugli equilibri demografici. Agricoltura sostenibile non è sinonimo di agricoltura biologica, perché quest'ultima non è altro che una sua branca. In merito alla questione della produttività mi sembrava di essere stato chiaro: né io né te né chicchessia - allo stato attuale - è in grado di risolvere questo dilemma in modo inconfutabile. Possiamo tentare un approccio formulando ipotesi su basi teoriche (che non significa necessariamente parlare a vanvera) ma non certo arrivare a verità assolute. --Furriadroxiu 01:01, 26 ago 2007 (CEST)[rispondi]
Mi piacerebbe fare una chiacchierata su questi argomenti, perché c'è molto da dire, però non dovremmo perdere di vista che questa è la pagina di discussione di una voce. Lo scopo di questo troncone della discussione è scrivere qualcosa sulla produttività dell'agricoltura biologica (e non sulla produttività dell'agricoltura in generale, Malthus o altro). Però mi sembra che non abbiamo niente su cui basarci, quindi c'è poco da dire. Nemo 05:51, 26 ago 2007 (CEST) P.s.: Io dico parlare a vanvera, qualcun altro direbbe "Wikipedia non è un forum", anzi si limiterebbe a un criptico WNF.[rispondi]
Che la produttività in agricoltura bio sia più bassa che in convenzionale è provato, non capisco dove ci sia da dubitare. E parlo di produttività sul lungo periodo. Per semplificare, tornando al banale (ma concreto) esempio del mais: non è assolutamente possibile concorrere con l'agricoltura convenzionale, anche solo per l'impossibilità di usare le varietà più recenti (che, nel caso specifico del mais, sono GM). Non ho mai capito bene a fondo questo divieto, che trovo irrazionale, ma è uno dei motivi principali che mi hanno allontanato dal movimento del biologico. Comunque così dice il disciplinare, così si deve operare. Altrimenti non è più bio. Il trend te l'ho già illustrato, ed è attribuibile principalmente al miglioramento genetico. Il bio non può seguire questa strada. Conclusione: la produttività rispetto al convenzionale è più bassa (anzi, sempre più bassa, visto che nel bio resta circa costante). Ti ho già detto che questi numeri si ripetono costantemente da più di mezzo secolo. Ora, nessuno di noi ha la sfera di cristallo, ma è del tutto probabile che questo trend continuerà per molti molti anni ancora. Sono i numeri che lo dicono. Se le previsioni del tempo ti dicono che domani pioverà, è probabile che pioverà. Sono anche qui i numeri che lo dicono (e i modelli matematici costruiti sopra), nessun meteorologo proviene dal futuro. Insomma: se la scienza ti dice che è così, non vedo perché dubitarne (ripeto: Vandana Shiva NON è una fonte autorevole d'informazione, tutt'altro!). Ora non ho sottomano dei documenti da linkare, ma appena li trovo li inserisco. Ah, ti dò un'altra cattiva notizia: i consumi energetici in una coltivazione bio sono mediamente nettamente superiori a quelli nel convenzionale (e sto parlando di stime che prendono in considerazione l'intera filiera produttiva, incluso il costo di produzione dei fertilizzanti, fitofarmaci, ecc.). Come vedi, mi sto convincendo sempre più che è improprio pure considerare l'agricoltura bio come una branca dell'agricoltura sostenibile: semplicemente NON è sostenibile--Stemby 16:18, 26 ago 2007 (CEST)[rispondi]
Capisco, Stemby, ma mi interessa avere dei dati precisi, che non credo esistano, attualmente. Nemo 21:27, 26 ago 2007 (CEST) P.s.: Comunque la ricerca sulle nuov e varietà si fa anche senza modifiche genetiche dirette.[rispondi]

Scusate se mi intrometto, ma proprio non riesco a vedere il nesso che lega la produttività alla fame nel mondo. Credo che ormai sia chiaro a tutti, anche ai non addetti ai lavori, che il problema della fame nel mondo sia politico, a meno che qualcuno di voi abbia sotto mano dati incotrovertibili che non dimostrino che l'attuale produzione non soddisferebbe il fabbisogno mondiale. In tal caso allora sarebbe utile fare lo stesso accenno anche in voci correlate come per esempio la voce "Agricoltura". Eviterei poi frasi del tipo, e cito: "In un momento come quello attuale, nel quale la limitatezza di risorse energetiche appare sempre più evidente e in cui la riduzione di gas serra diventa prioritario, l'agricoltura biologica risulta insostenibile.", che può risultare come un personalissimo giudizio di che scrive e comunque che va oltre il carattere enciclopedico che il progetto Wikipedia ha come obiettivo. Come ultima cosa volevo accenare ad un nuovo elemento su cui discutere e che potrebbe essere interessante. Qualsiasi prodotto biologico ha dietro di sè un discorso di giusto prezzo (o prezzo equo che dir si voglia) o un progetto di solidarietà ed in alcuni casi tutti e due contemporaneamente (i famosi prodotti dell'equo e solidale). Credo che, dato che si da spazio in questa voce ad argomenti che esulano dalla mera esposizione del cos'è l'agricoltura biologica, possa trovare spazio anche un argomento che affronti la tematica di una filiera che non tende allo sfruttamento del prossimo ed alla speculazione fine a se stessa. Flavio 28 ott 2008

Concordo su quanto dici in merito al mettere in rapporto il problema della fame del mondo con quello delle tecniche agricole. A dire il vero taglierei l'intera sezione perché giace senza fonti da parecchio tempo, ma non voglio imbarcarmi in eventuali conflitti.
Manterrei in voci separate le trattazioni sull'agricoltura biologica e sulla filiera dell'equo e solidale in quanto trattasi di aspetti distinti che in parte si sovrappongono. L'agricoltura biologica è una tecnica di produzione, che può avere fondamenti sociopolitici ma anche esclusivamente tecnici ed economici, l'equo e solidale è una strategia economica che verte su fondamenti ideologici e sociali, anche se poi trova nell'agricoltura biologica o in altre forme di agricoltura sostenibile il substrato tecnico ideale in cui esprimersi. Si tratta di argomenti correlabili ma non integrabili a mio parere --Furriadroxiu (msg) 15:58, 28 ott 2008 (CET)[rispondi]

Mi fa un pò rabbia e un pò ridere l'associazione tra la minore produttività del biologico e la fame nel mondo. Chi fa la fame è chi non ha i soldi per comprare il cibo. Poi è ovvio che, se si continuerà a consumare (irrimediabilmente!) terreno agricolo a vantaggio di opere di dubbia utilità, o a utilizzarlo per la produzione di biomasse, o per montarci pannelli fotovoltaici, ai nostri pronipoti toccherà mangiarsi tra loro.

Autorganizzazione[modifica wikitesto]

Spostato a Discussione:Autorganizzazione

Impatto ambientale[modifica wikitesto]

Le recenti modifiche sono del tutto prive di fonti e parziali. Stemby, devi citare dei dati che dimostrino la minore resa agricola dei terreni coltivati secondo metodo biologico e il maggior dispendio energetico. Non sono dubbi assurdi: dopotutto, la desertificazione e il danneggiamento dei suoli sono provocati anche dall'agricoltura intensiva, mentre molti sostengono che l'agricoltura biologica migliori la fertilità dei suoli nel lungo periodo. Inoltre, spesso si confonde la maggiore redditività economica colla maggiore resa agricola. Per quanto riguarda il consumo energetico, mi risulta che i fertilizzanti derivino dal petrolio, ad esempio. Nemo 19:37, 6 gen 2008 (CET)[rispondi]

  1. La desertificazione e il danneggiamento dei suoli non sono provocati dall'agricoltura intensiva, bensì da altri fattori. Nelle zone temperate è provocata principalmente dal dissesto idrogeologico, le cui cause sono varie (disboscamenti, lavorazioni dei terreni in pendio condotte irrazionalmente, abbandono o cattiva manutenzione delle sistemazioni collinari, ecc.). Nelle zone tropicali è provocato dal disboscamento e dal successivo sfruttamento, prima agricolo poi pascolativo, dei terreni liberati. L'agricoltura che si pratica in queste aree non ha nulla a che vedere con l'agricoltura intensiva delle regioni industrializzate ma assume molto più le prerogative di un'agricoltura depauperante di tipo "biologico" e con scarsissimo impiego di mezzi tecnici. Queste informazioni possono essere dedotte da un qualsiasi testo di agronomia generale e di ecologia. --Furriadroxiu 21:38, 6 gen 2008 (CET)[rispondi]
  2. Una tecnica agricola che prevede il diserbo chimico richiede meno passaggi di macchine per il controllo delle erbe infestanti e si sposa perfettamente con la tecnica del sod-seeding. Al contrario, il controllo delle infestanti con altri metodi richiedono soprattutto il ricorso alle lavorazioni. Qui si potrebbe scrivere un trattato sull'argomento, ma il principio ispiratore dell'aratura profonda come lavoro discissore-ribaltatore è proprio il controllo delle infestanti nel medio periodo, tant'è che nelle rotazioni colturali classiche era sempre prevista - nelle condizioni pedologiche italiane - un'aratura profonda (la classica "coltura da rinnovo"). Questa pratica si è protratta fino agli anni 60-70 dopo di che la maggiore diffusione del diserbo chimico ha portato ad una sensibile riduzione della profondità delle arature. Ormai non si scende più sotto i 30-40 cm. C'è da dire che alcune pratiche di non coltivazione, come l'inerbimento dei frutteti o l'inerbimento controllato richiedono frequenti passaggi di macchine per la sfalciatura o la trinciatura del cotico erboso e, quindi consumo di carburante, che piaccia o non. Se poi vogliamo fare un confronto economico dei costi fissi (richiesti dalla maggiore potenza installata per eseguire lavorazioni profonde o per azionare macchine operatrici che richiedono elevate potenze, quali le fresatrici, le zappatrici rotative e le trinciatrici) e relativi costi di esercizio, con quelli richiesti da una tecnica che si basi su lavorazioni leggere e diserbo chimico (eseguibili con trattori di piccola o media potenza a due ruote motrici) il divario è enorme. Queste informazioni si possono dedurre da un qualsiasi testo di agronomia e di meccanica agraria. --Furriadroxiu 21:38, 6 gen 2008 (CET)[rispondi]
  3. I fertilizzanti sono derivati del petrolio?! Di quali fertilizzanti stiamo parlando? Perché in questa categoria rientrano pure i fertilizzanti organici. Comunque gli elementi apportati con i concimi chimici sono l'azoto, il fosforo, il potassio. Non mi risulta che questi elementi rientrino nella composizione degli idrocarburi, contenenti esclusivamente carbonio e idrogeno (elementi che le piante traggono - a prescindere dalla tecnica agronomica - dall'aria e dall'acqua. Comunque, fosforo e potassio provengono principalmente dall'industria estrattiva e, secondariamente, dal riciclaggio di alcuni scarti della filiera della carne. L'azoto proviene da una fonte inesauribile: l'aria. L'unico ruolo del petrolio consiste nella spesa energetica richiesta dalla fissazione fotovoltaica dell'azoto elementare in ammoniaca, da cui si ottengono i vari concimi in forma ureica o ammoniacale. I fertilizzanti organici, al contrario, sono impiegati sfruttando in parte l'energia solare, ma il rendimento energetico della fotosintesi è alquanto basso, sicuramente più basso dei processi energetici impiegati nell'industria, che fondamentalmente si basano sulla combustione. In ogni modo, confrontati sulla base di questi soli criteri la concimazione organica è energeticamente meno dispendiosa della concimazione minerale. --Furriadroxiu 21:38, 6 gen 2008 (CET)[rispondi]
  4. Parliamo ora di spesa energetica per il trasporto e la distribuzione dei fertilizzanti. Anche qui si può scrivere un trattato, ma cerchiamo di limitarci agli aspetti più essenziali. I concimi chimici hanno un titolo molto più alto dei concimi organici (dati che si possono desumere da un qualsiasi testo di agronomia). Il letame maturo ha un titolo in azoto dell'ordine del 0,5%, l'urea del 46%. Ciò significa che il potere fertilizzante dell'urea (limitatamente all'azoto) è quasi 100 volte superiore. Se vogliamo fare una coltura apportando 100 kg di azoto in un ettaro (è una concimazione non abbondante, diciamo ecocompatibile), occorrono quattro sacchi da 50 kg di urea, che si possono trasportare tranquillamente con un'utilitaria; con il letame occorrono la bellezza circa 100 q di materiale, che tradotto in "pane", se non vado errando, equivalgono al carico di due camioncini. A parità di distanza mi sembra che il confronto non regga. Le cose poi si accentuano se mettiamo anche in ballo il costo della distribuzione: per distribuire 2 q di urea è sufficiente uno spandiconcime centrifugo portato da una trattrice leggera guidata con una marcia alta. Il lavoro si risolve si e no in 10 minuti. Per distribuire 100 q di letame occorre usare uno spandiletame trainato e un maggior tempo di funzionamento del trattore, che dovrà procedere ad una marcia più bassa e ad una minore velocità. Poi naturalmente è necessario eseguire una lavorazione per interrare il letame, altrimenti l'umificazione possiamo proprio scordarcela. Info deducibili e quantificabili usando un qualsiasi testo di agronomia e di meccanica agraria --Furriadroxiu 21:38, 6 gen 2008 (CET)[rispondi]
  5. Parliamo di approvvigionamento del fertilizzante. La catena di distribuzione dei fertilizzanti chimici è capillare e si basa su sistemi di trasporto che sfruttano il trasporto navale o navale-ferroviario sulla lunga distanza, quello ferroviario sulla media distanza, l'autotrasporto sulla breve distanza. In ogni modo è una rete distributiva che sfrutta le economie di scala derivanti dal trasporto navale. I concimi organici sono in minima parte basati sul trasporto navale e in buona parte sull'autotrasporto o su quello ferroviario, ma soprattutto se parliamo di compost o, comunque, di concimi organici prodotti dall'industria. Se parliamo di letame, liquami o altri reflui, o sottoprodotti dell'industria conserviera/agroalimentare quali i cascami o altro, allora il trasporto interessa esclusivamente la piccola e media distanza su strada, con tratti di percorrenza che difficilmente superano i 100 km a causa degli elevati costi. Forse le cose miglioreranno in futuro quando ci sarà una distribuzione più capillare degli impianti di compostaggio nel territorio, ma per ora siamo ben lungi da questa realtà. La realtà attuale è che l'agricoltura biologica richiede costi elevati per l'approvvigionamento dei fertilizzanti e in ogni modo adotta tecniche di concimazione che non sono assolutamente in grado di competere con la concimazione minerale in termini di rese quantitative. --Furriadroxiu 21:38, 6 gen 2008 (CET)[rispondi]
  6. Sulla base di questi elementi l'agricoltura biologica richiede - a parità di condizioni - un maggior impiego di capitale fondiario e capitale di esercizio, costi energetici più alti e contesti strutturali favorevoli. Se così non fosse i paesi in via di sviluppo avrebbero la meglio nel settore agricolo, invece così non è.
  7. In merito alla sostenibilità della fertilizzazione organica, sono perfettamente d'accordo. Il livello di fertilità complessiva di un terreno gestito con l'agricoltura biologica è sicuramente più alto di quello di un terreno gestito con l'agricoltura convenzionale, ma stiamo attenti: fare agricoltura biologica razionale richiede una preparazione elevata che può derivare da un know-out derivato dalla divulgazione e dalla ricerca oppure da un know-out maturato in secoli di tradizione. Quest'ultimo però è strettamente legato a contesti storici, politici e sociali. Il dissesto geologico e la desertificazione di vaste aree del mediterraneo sono il risultato di secoli di sfruttamento depauperante del territorio, in un periodo che fondamentalmente coincide con la caduta dell'Impero Romano e che si è aggravato soprattutto con il feudalesimo instaurato dalle grandi monarchie postmedievali. Nelle aree tropicali, l'agricoltura biologica praticata non ha nulla a che vedere con il concetto di agricoltura conservativa: è un'agricoltura a gravissimo impatto, altamente depauperante, che porta ad un drastico crollo della fertilità potenziale di un terreno nell'arco di 3-4 anni. --Furriadroxiu 21:38, 6 gen 2008 (CET)[rispondi]
Non sono in grado di rispondere a tutte queste osservazioni; o meglio, potrei rispondere, ma rimarremmo in un discorso meramente teorico. Sono necessari dei dati precisi e delle fonti per tali dati sui costi energetici dell'agricoltura intensiva "tradizionale" e quelli dell'agricoltura biologica. Mi limito a osservare che tutte le tue osservazioni partono dal presupposto che si mantengano sostanzialmente i stessi sistemi produttivi, cioè le stesse varietà (ad alta risposta, erroneamente definite ad alta resa, ovviamente solo delle piante "industriali") e gli stessi metodi di fertilizzazione del suolo (con materiale proveniente dall'esterno), tanto per cominciare. Insomma, non solo servirebbero dei dati precisi, ma bisognerebbe anche distinguere fra i vari tipi di agricoltura "tradizionale" (perché poi c'è anche l'agricultura integrata, ad esempio) e i vari tipi di biologico. Per il momento possiamo accontentarci del primo punto, che però è irrinunciabile. Nemo 22:55, 6 gen 2008 (CET) P.s.: Mi scuso per le banalità e imprecisioni che ho scritto prima, per citare problemi che certo conoscete, quali il consumo energetico e l'esaurimento dei suoli; non ho nessuna intenzione di fare il talebanambientalista, anzi trovo le vostre osservazioni interessanti, e proprio per questo voglio dei dati precisi, anche sulle conseguenze dell'uso dei fertilizzanti (che qualche problema lo provocano, in ogni caso). Altrimenti, sarebbe facile parlare d'altro.[rispondi]

[Vado a capo per opportunismo] Il termine di talibanambientalista l'ho coniato proprio per fare riferimento ad una realtà di fatto: le cose non sono così semplici come sembrano e il voler a tutti i costi proporre una panacea per risolvere tutti i mali è - a mio parere - foderarsi gli occhi con il prosciutto (scusa il termine ma visto che l'ho usato con Stemby mi sembra corretto non nascondersi dietro ipocrisie). Se l'agricoltura fosse una scienza esatta non ci sarebbero problemi, ma non lo è. Di sicuro ci sono molte illusioni sul tema e queste illusioni derivano da una premessa errata: voler applicare le leggi dell'ecologia in un ambito che è riduttivo. Le considerazioni che ha fatto Stemby sono del tutto congrue, non c'è bisogno di citare delle fonti perché si tratta di banalissimi 2+2. Cerchiamo di venirne a capo. Venirne a capo non significa avere la soluzione, ma semplicemente una visione più ampia della drammaticità del problema. Se la FAO esiste e assorbe risorse economiche enormi non è un caso.

Ti sei mai chiesto perché la maggior parte delle civiltà storiche si sono sviluppate entro un determinato range di latitudine? Quante civiltà si sono evolute in ambienti tropicali? E quante si sono evolute ad elevate latitudini? Penserai di avere a che fare con un matto, ma semplicemente l'input di questa domanda sta nel fatto che l'uomo, ad un certo punto, è diventato agricoltore dopo una lunghissima fase in cui - come organismo animale - era cacciatore-raccoglitore. Ogni ecosistema prevede dei rapporti di equilibrio che controllano la dinamica delle popolazioni delle singole specie. La densità di popolazione storicamente è aumentata proprio dove l'uomo è diventato agricoltore, cioè in un contesto in cui non era più sufficiente sfruttare le risorse naturali della terra per sostenere un determinato livello di popolazione. Questo ha significato il passaggio dall'ecosistema naturale all'agrosistema e il passaggio dell'uomo da specie animale integrata in una cenosi a entità in grado di uscire dagli schemi generali dell'ecologia.

Le condizioni ambientali più favorevoli affinché questo potesse avvenire si trovano nelle regioni temperate: il Mediterraneo, la Mesopotamia, la Cina, tanto per fare degli esempi. Se andiamo nel "Nuovo mondo", vedrai che il simbolo degli Indiani agricoltori erano le popolazioni stanziate nel sud ovest degli Stati Uniti e nel nord del Messico, guarda caso alle stesse latitudini della Mesopotamia o del Mediterraneo. Il motivo di fondo - a mio personale e opinabile parere - risiede nel perfetto incontro fra condizioni pedologiche e condizioni climatiche: a latitudini più alte la disponibilità energetica proveniente dalla radiazione solare è un fattore limitante, a latitudini più basse la disponibilità energetica è elevata ma l'energia della radiazione solare si riesce a sfruttare solo in modo dinamico. In altre parole, nelle zone fredde i suoli hanno un'elevata fertilità potenziale che non si può sfruttare perché le condizioni climatiche sono limitanti, nelle zone calde i suoli sono fondamentalmente sterili perché l'energia chimica è accumulata nella biocenosi. Per trasformare in deserto un suolo mediterraneo ricco di argille del tipo delle montmorilloniti e delle vermiculiti occorrono migliaia di anni, per trasformare in deserto un suolo tropicale sono sufficienti pochi anni. Questo ha fatto sì che i Pueblo e gli Aztechi coltivassero il mais, i cinesi coltivassero il riso, le popolazioni del mediterraneo coltivassero il farro. Più a sud, oltre la fascia del deserto tropicale si stanziavano popolazioni che vivevano perfettamente integrate nel loro ambiente naturale, con una densità bassissima, basando la loro vita sulla raccolta dei frutti naturali e sulla caccia. Più a nord si sviluppava invece l'allevamento nomade, la caccia, la pesca. I più grandi flussi migratori della storia si svolgevano soprattutto dal nord verso le latitudini medie: vedi le invasioni barbariche in Europa o quelle delle popolazioni di ramo Athabaska nell'ovest degli Stati Uniti. E a tali invasioni facevano seguito drastici cambiamenti del modello socioeconomico. Ti faccio due soli esempi, uno europeo e uno americano: scendendo più a sud, i Vichinghi divennero Normanni, la loro struttura sociale cambiò drasticamente diventando una civiltà integrata nel territorio e non più basata sulla razzia. Idem per i Navaho: un'etnia fondamentalmente guerriera e razziatrice che arrivata nel bacino del San Juan scalzò in parte gli antichi Pueblo, ma finì per integrarsi con le popolazioni della cultura Pueblo diventando un popolo di allevatori e agricoltori. Da sud non ci sono mai stati grandi flussi migratori, perché le popolazioni fondamentalmente mantenevano un loro equilibrio demografico nell'ambito di un contesto ecologico. Fra gli agricoltori più "meridionali" mi vengono in mente i Maya del Centroamerica. La loro economia, fondamentalmente agricola, era ecologicamente integrata con la dinamica del ciclo del carbonio nelle aree tropicali: per mettere a coltura un terreno si provvedeva al disboscamento di un'area molto limitata. La coltivazione di quell'area si protraeva per cicli di 1-2 anni, dopo di che si abbandonava il terreno per metterne a coltura un altro; in queste condizioni l'ecosistema della foresta pluviale tropicale è in grado di recuperare la materia mineralizzata prima che la lisciviazione degli elementi nutritivi ne provochino l'isterilimento; nell'arco di un decennio l'elevata intensità della radiazione solare è in grado di far ricostruire quel frammento di foresta che si è interrotto. Per secoli i Maya hanno convissuto con quelle condizioni ambientali in perfetto equilibrio demografico ed ecologico. Immagino che lo stesso si sia verificato nelle altre aree tropicali.

A questo punto penserai che sono i presupposti su cui si basa l'agricoltura sostenibile. Se è così ti do perfettamente ragione, ma nello stesso tempo ti faccio notare che questi presupposti hanno un loro senso finché la densità di popolazione è rapportata con la potenzialità produttiva di un agrosistema che mantiene molte delle prerogative degli ecosistemi naturali. Nel momento in cui la densità di popolazione aumenta, le leggi relative all'ecologia in senso stretto non sono più applicabili, perché viene a galla il limite delle risorse naturali. Ecco che salta fuori l'agricoltura di tipo intensivo che può essere fondata su due diverse linee conduttrici:

  1. sfruttare le risorse naturali fino al loro esaurimento
  2. reintegrare le risorse naturali mantenendo alta la produttività del sistema agricolo

Nel primo caso l'agrosistema si sfrutta fino a quando diventa improduttivo. E' ciò che accade nelle aree tropicali, dove la pressione demografica è eccessiva rispetto alle esigenze di un ecosistema in cui la sua elevata produttività si sostiene solo con equilibri dinamici. Questo è il motivo per cui la sottrazione dei suoli alle foreste tropicali produce terreni fertilissimi ma dove le alte temperature provocano un intenso turn over della sostanza organica, con una rapida mineralizzazione a cui fa seguito una rapida lisciviazione a causa dell'alta piovosità. In parole povere, il suolo disboscato diventa un terreno fertile e molto produttivo per pochi anni poi diventa steppa e infine deserto. Nel secondo caso le dinamiche sono più lente, i tempi di depauperamento sono molto più lunghi (secoli o migliaia di anni) soprattutto se si adottano tecniche di gestione conservativa del suolo che prevedano la restituzione. Questi criteri possono essere impostati sia con la fertilizzazione organica sia con la fertilizzazione minerale. Sono due differenti approcci allo stesso problema. Tuttavia, per i motivi che ho espresso prima (nel primo intervento per intenderci) la fertilizzazione organica è al momento applicabile solo in ambiti ristretti e con costi collettivi non trascurabili: per semplicità, 1 ha di terreno può garantire il sostentamento di una persona, se vogliamo però che quell'ettaro sostenga 10 persone occorre forzare la sua produttività. Qui entra in gioco l'agricoltura intensiva, l'unica che possa nel contempo garantire elevati livelli di produzione agricola ed elevate densità di popolazione: che piaccia o non, i miliardi di esseri umani che popolano la terra sono alimentati con l'investimento di mezzi tecnici nelle pianure del Canada meridionale del Middle West statunitense, nella fascia temperata calda che copre parte dell'Argentina e del Brasile, nelle fasce temperate dell'Australia e in tutte le zone temperate del vecchio continente, dove le temperature invernali non diventano proibitive, dal Giappone alla Spagna, dal Mediterraneo all'Ucraina alle pianure del centro Europa. Fuori da queste aree resta ben poco spazio: cereali in grado di garantire la stretta sussistenza (riso, sorgo, mais) e soprattutto piante C4, le uniche in grado di sfruttare, come colture industriali, gli alti livelli di radiazione solare (mais e canna da zucchero, oltre al cotone). Le scorte alimentari si producono con alte rese, con gli 80 q/ha di grano tenero prodotto nel centro europa o nelle pianure dell'Iowa, con i 100-150 q/ha di mais ibrido, non certo con i frumenti diploidi degli antichi Romani (il famoso farro, per intenderci) o con le vecchie varietà di mais. Specie o tipi genetici in grado di dare altissime risposte ma solo in condizioni ottimali pedoclimatiche ottimali. E dove non bastano le condizioni pedoclimatiche s'interviene investendo in capitale, apportando mezzi tecnici di natura prevalentemente chimica come in Giappone e in Europa o prevalentemente meccanica, come in Nordamerica. Le fonti? basta guardare le statistiche delle produzioni relative ai cereali, alle oleaginose e alle oleoproteaginose, le colture che maggiormente provvedono a sostentare l'alimentazione dell'intera umanità. --Furriadroxiu 02:05, 7 gen 2008 (CET)[rispondi]

Un'ultima cosa: hai citato l'agricoltura integrata, considerandola alla stregua delle varie forme di agricoltura biologica, ma forse dovresti documentarti meglio. Le produzioni integrate, come dice il nome, superano il dualismo concettuale fra forme di agricoltura organica e forme di agricoltura convenzionale, in quanto tendono a sfruttare i mezzi tecnici laddove le risorse naturali diventano limitanti in un'ottica di rispetto e conservazione di un'alta qualità dell'ambiente. L'agricoltura integrata è fondamentalmente incompatibile con dosi di 300 kg di azoto in una coltura di grano, ma di sicuro non impedisce l'impiego dell'urea o del nitrato ammonico. --Furriadroxiu 02:05, 7 gen 2008 (CET)[rispondi]

Per la verità ho compreso l'agricoltura integrata fra l'agricoltura "tradizionale" (fra virgolette), cioè appunto quella che prevede concimazioni chimiche. Mi scuso comunque per le carenze terminologiche.
Su tutte le altre tue osservazioni: sono molto interessanti, ma c'entrano poco con quello di cui stiamo parlando, senza contare che contengono tesi alquanto discutibili. Ad esempio, è davvero troppo riduttivo correlare lo sviluppo dell'agricoltura alla disponibilità energetica (e alla possibilità di sfruttare tale disponibilità), per quanto questo sia un motivo. Inoltre, è dimostrato che le popolazioni passando all'agricoltura persero in tenore di vita, e non ne guadagnarono, nell'immediato (fonte: Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie); ma non voglio approfondire.
Per il resto, forse non ci siamo capiti: è ovvio che se l'agricoltura biologica riduce notevolmente le rese agricole e aumenta notevolmente le necessità energetiche dobbiamo concluderne che è insostenibile, cioè questo potrebbe essere ammesso senza fonti, ma qui non stiamo parlando di simili affermazioni generiche, bensí di frasi in cui si afferma che l'agricoltura biologica riduce incontrovertibilmente le rese e aumenta incontrovertibilmente i consumi energetici. Ebbene, per questo serve una fonte, perché se può essere comprensibile astrattamente e teoricamente ciò non significa che sia vero.
Se invece vogliamo limitarci a osservazioni generiche, dobbiamo spostarci in un'altra voce generica sull'agricoltura, dove potremo magari parlare anche di distribuzione equa e razionale della produzione agricola ([ri]considerando anche la zootecnia), ad esempio, e della famosa frase di Sen su carestie e democrazia.
Ebbene, potrei anch'io spandere una sbrodolata di pagine e pagine su questi temi, ma non mi sembra il caso. Mi sembra piú opportuno che si inseriscano dati e affermazioni circostanziati nelle voci, sulle rese agricole, sui consumi energetici, sugli effetti dell'uso di fertilizzanti e fitofarmaci chimici (o organici) ecc. ecc. Sono dati inesistenti? Non credo. Dico una cosa tanto strana se dico che dobbiamo basarci sui numeri e non su considerazioni astratte? Capisco le necessarie dimostrazioni, ma adesso possiamo passare alle sensate esperienze? Nemo 00:01, 8 gen 2008 (CET)[rispondi]
Su questo non posso certo darti torto. Da parte mia avevo motivato - in questa sede (cioè nella pagina di discussione) - i presupposti alla base delle considerazioni di Stemby. Come dici tu però si tratta di motivazioni che vertono su un'analisi deduttiva generica. Il pezzo di Stemby fa invece delle considerazioni categoriche e giustamente possono destare perplessità perché andrebbero integrate in un'analisi contestuale più generale e più complessa. Infatti, come avrai notato, ho invitato Stemby a rivedere quelle affermazioni prima ancora che tu mettessi il "citation needed". In merito ai dati, non è facile: per quanto riguarda i costi espliciti si può fare ricorrendo a veri e propri bilanci parziali, ma è un lavoro enorme e richiede la disponibilità di dati aggregati e mesi di lavoro. Le statistiche non sono sufficienti in quanto andrebbero apportate le manipolazioni necessarie a depurare le analisi dai fattori d'interferenza, soprattutto quanto più ampio è il contesto all'interno del quale si effettua l'analisi comparativa. Spero di essermi spiegato.
In definitiva concordo con le considerazioni che fa Stemby, però non concordo nel modo in cui le "liquida" nella voce. --Furriadroxiu 02:31, 8 gen 2008 (CET)[rispondi]
Lo so che sto chiedendo dati complessissimi da elaborare: se non lo fossero, il problema non sussisterebbe. Ma ci sarà qualcuno nel mondo che ha fatto di questi studi! O ci sono milioni di persone e interi paesi che si gettano nel biologico o, piú comunemente, nelle coltivazioni OGM ecc. senza dati precisi? Nemo 08:42, 20 gen 2008 (CET)[rispondi]
Va bene se ne riparliamo verso fine febbraio / inizio marzo? Mi dovrei laureare e non ho tempo da dedicare a Wikipedia, salvo qualche minima correzione che faccio quando vedo un errorino nelle voci che consulto. Ovviamente se nel frattempo gian_d trovasse del materiale... meglio ;-) Scusate se ho buttato la palla e poi sono scappato: in effetti così com'è non va molto bene, bisognerebbe argomentare maggiormente, però quando mi sono accorto che nella voce mancava qualsiasi riferimento all'impatto ambientale non me la sono sentita di non citare almeno le problematiche che sono note a qualsiasi tecnico (in particolare il problema energetico e le produzioni più basse sono evidentissimi e conosciutissimi). Alla prossima--Stemby 01:07, 21 gen 2008 (CET)[rispondi]


Premetto che non sono affatto esperta del settore. Ma avrei qualche commento da fare riguardo al contributo di Stemby. Prima di tutto mi complimento con lui per aver inserito la voce dell'impatto ambientale, perché sicuramente esiste. Ma non sono del tutto d'accordo sul contenuto.

Intanto va specificato che il progetto di agricoltura biologica si inserice in un contesto più ampio di persone che credono nell'ecologia, in risposta alla necessità assoluta di porre fine all'attuale comportamento distruttivo del nostro pianeta (ma non intendo lanciare alcun dibattito su questo argomento in questa sede: c'è chi crede che così andiamo a finire male, e chi pensa ancora di poter continuare così senza gravi conseguenze per noi o per le generazioni future). Quindi, comne dicevo, l'agricoltura biologica si inserisce in un pensiero detto "ecologia", che include altri valori come ad esempio (ed è lì il punto) diminuire lo spreco delle risorse, diminuire il consumo di carne (e questo implica sottrarre gran parte delle terre attualmente coltivate esclusivamente allo scopo di nutrire il bestiame negli allevamenti intensivi, per utilizzarla per coltivare cereali e verdure per il nostro consumo diretto). Non mi spingo oltre perché, ripeto, non sono esperta del settore.

Un'altra cosa però la volevo aggiungere, riguardo l'impatto ambientale: siete mai andati a fare la spesa in un supermercato biologico? Con il fatto che ancora l'agricoltura biologica non è molto sviluppata, gran parte della merce esposta arriva da molto lontano (spesso dalla Germania, per quanto riguarda i prodotti trasformati, ma anche da altri continenti, come ad esempio le banane, ecc), il ché implica un trasporto considerevole. Secondo me, l'impatto ambientale più importante è quindi questo: il trasporto. Per essere veramente biologico, un cibo dovrebbe arrivare sulla tavola del consumatore con un chilometraggio limite che andrebbe fissato dagli organismi di controllo (ne avevo sentito parlare in Francia ma non so se poi lo hanno fatto).--Laurence 11:04, 26 feb 2008 (CET)[rispondi]

Su alcune cose sono d'accordo. Rimane il fatto che con "Agricoltura biologica" si intende (bisogna intendere) ciò che è normato in questo modo dalle normative comunitarie, e non "quello che ci piacerebbe che fosse l'agricoltura biologica". Ho visto che qui ci sono un po' di link. Purtroppo continuo a non aver tempo per controllare.--Stemby 12:35, 23 ago 2008 (CEST)[rispondi]

Organismi di controllo[modifica wikitesto]

Non è un po' ingombrante e inutile, questa lista? Si potrebbe almeno trasformare in collegamenti i nomi stessi degli organismi, e magari riconsiderare l'elenco puntato. Per quanto riguarda la sostanza, invece: avevo letto di una legge che li avrebbe sottoposti alla legge sulla salute alimentare (o qualcosa del genere), rendendo le norme piú restrittive. Nemo 10:06, 20 gen 2008 (CET)[rispondi]

Si potrebbe al limite spostarli in una voce separata. Per la normativa: non ne so niente, comunque... speriamo! E' abbastanza assurda la situazione attuale, in cui l'agricoltore paga un privato per farsi certificare... capite bene il conflitto d'interessi. Si può pensare il bene che si vuole però... siamo in Italia, non so se mi spiego ;-) Poi del "come" avvengano le ispezioni, circolano delle storielle che sembrano delle barzellette :-D--Stemby 01:09, 21 gen 2008 (CET)[rispondi]

Ho cassettato la lista. --Demostene119 03:30, 24 gen 2008 (CET)[rispondi]

biologica: che significa?[modifica wikitesto]

PS non riesco ha trovare chi ha deciso di usare il termine italiano agricoltura biologica per la prima volta. Sarebbe necessario per sostituire quella parte della voce che parla di traduzione sbagliata dall'inglese. Qualche suggerimento?--Demostene119 03:30, 24 gen 2008 (CET)[rispondi]

Dov'è che si parla di traduzione sbagliata? Comunque non so chi abbia iniziato a parlare di "agricoltura biologica" (che in effetti non ha molto senso), però credo che sia una cosa parecchio vecchia, direi almeno degli anni '80 (ma forse prima). Faccio presente che anche i francesi usano la nostra definizione, potrebbe anche essere che noi abbiamo copiato da loro--Stemby 19:38, 24 gen 2008 (CET)[rispondi]

Il termine corretto per definire queste tecniche di coltivazione sarebbe, come si trova nelle lingue anglosassoni, agricoltura organica --Demostene119 22:13, 24 gen 2008 (CET)[rispondi]

Appunto: sarebbe stata una buona idea tradurre dall'inglese, ma così non è stato fatto. Si è invece preferito adottare un neologismo oppure forse una traduzione dal francese, ma in entrambi i casi si tratta di una scelta poco felice in quanto la definizione di per sé non dice niente di esplicativo: è come inventare l'espressione "acqua liquida". Insomma, nella voce non si parla di alcuna traduzione sbagliata semplicemente perché (purtroppo) non c'è stata alcuna traduzione se non, forse, dal francese: ma comunque la traduzione in questo caso sarebbe corretta, in quanto anche in francese agriculture biologique non ha alcun senso, come in italiano.--Stemby 00:32, 25 gen 2008 (CET)[rispondi]
Beh, non è certo l'unico caso di strafalcione quando si introducono neologismi in italiano trasferendoli da altre lingue. A me viene sempre in mente la felice trovata della "semina su sodo" come traduzione di "sod seeding". Comunque il massimo è stato tempo fa in una rosticceria: ho chiesto un pollo e alla domanda "lo vuole biologico?" ho risposto "no, mi dia uno di quelli sintetici". --Furriadroxiu 00:43, 25 gen 2008 (CET)[rispondi]

Il problema è che, secondo me, la frase Il termine corretto per definire queste tecniche di coltivazione sarebbe, come si trova nelle lingue anglosassoni, agricoltura organica è chiaramente un' opinione (personale, non suffragata da fonti) e non un fatto. Quindi sarebbe meglio scrivere chi è stato (e quando) a chiamarla biologica. --Demostene119 05:19, 25 gen 2008 (CET)[rispondi]

Non mi sembra che Stemby volesse rinominare l'agricoltura biologica. Risalire alle fonti che hanno coniato il termine in molti casi non è facile, se non addirittura impossibile, anche perché si tratta di tecniche nate come agricoltura di nicchia fuori in ambiti piuttosto particolari. In ogni modo la precisazione che il termine biologico è inappropriato non è un'opinione personale e non ha bisogno di fonti, o meglio, la fonte è un qualsiasi dizionario della lingua italiana. Cito il De Mauro: relativo agli organismi viventi e ai loro processi vitali. L'adozione dell'aggettivo biologico per definire in generale una tecnica che contiene dei vincoli in direzione della sostenibilità è concettualmente errata: l'uso generico escluderebbe dal concetto di biologico tutti i processi biologici che si svolgono *anche* nell'agricoltura convenzionale. Una patata ottenuta con concime chimico è sempre una patata di origine biologica, non si può certo definire sintetica: l'azoto è assorbita sotto forma di ione nitrato, che questo provenga direttamente da un concime chimico, dalla nitrificazione biologica dell'azoto ureico o ammoniacale di un concime chimico o dalla nitrificazione biologica dell'azoto ammoniacale proveniente dalla mineralizzazione della sostanza organica alla pianta non gliene frega assolutamente nulla. Il processo è biologico, non è biologica l'origine del fertilizzante. Queste cose non me le sto inventando io, bensì si tratta di fenomeni di pubblico dominio verificabili ricorrendo ad un'ampia consultazione di testi Microbiologia agraria, Chimica del terreno e Fisiologia vegetale. In nessuno di questi testi nessun autore si azzarderebbe a fare queste considerazioni, dal momento che hanno una relazione di causa effetto.

Attenti con le citazioni: nessuno si azzarderebbe a chiedere la fonte per una deduzione del tipo: l'acqua bolle a 100°C perciò si trova normalmente allo stato liquido. E' un fatto di pubblico dominio perché è una deduzione derivata da un dato incontestabile. Così come è incontestabile che la maggior parte delle piante assorbano l'azoto in forma nitrica a prescindere dalla sua provenienza. Chi conosce la materia (nella sua complessità) è in grado di fare queste deduzioni e in ambito tecnico nessuno perde tempo a precisarlo.

Per concludere, non esiste un aggettivo appropriato per definire sinteticamente una tematica complessa. Sarebbe più corretto il termine agricoltura esercitata con l'impiego di materie prime di origine biologica che gli anglosassoni hanno semplificato applicando l'aggettivo organico. Ma anche questo è inappropriato: lo zolfo si può usare in agricoltura biologica eppure non è di origine biologica e o organica. Sarebbe più corretto il termine di agricoltura esercitata con l'impiego di materie prime naturali ma anche questo è inappropriato perché il gasolio utilizzato per alimentare un trattore in agricoltura biologica non mi risulta che sia di origine naturale e così pure il film plastico impiegato per effettuare una solarizzazione in alternativa all'uso di un geodisinfestante di origine sintetica. Queste considerazioni non sono opinioni personali ma dati di fatto: i trattori, lo zolfo e la solarizzazione sono ammessi in agricoltura biologica (rif. normativa vigente) e che siano o facciano ricorso a materie prime di origine non biologica è di pubblico dominio.

Quest'ultima, contrariamente alle considerazioni precedenti, è una mia opinione personale: chi ha coniato il termine biologico ha sparato una solenne cavolata perché è del tutto fuorviante. Comunque siamo al paradosso che una cosa è vera perché un pirla qualsiasi ha fatto un errore concettuale e l'ha scritto da qualche parte ufficializzandolo mentre una considerazione dedotta da un'ampia letteratura in materia ma non riassunta da nessuno non può essere vera. --Furriadroxiu 08:45, 25 gen 2008 (CET)[rispondi]

Ho cercato di chiarire un po' meglio: valutate se così può andare. Per quanto riguarda il termine "organica" credo che sia spiegato bene nella voce (riferendosi ad una particolare attenzione alla sostanza organica... anche se, in effetti, anche in agricoltura convenzionale non è molto diverso...); forse la definizione migliore, alla fine, sarebbe proprio agricoltura ecologica, perché effettivamente, almeno nelle intenzioni, sarebbe proprio questo, anche se, in realtà, molto ecologica non è ;-) Comunque ormai il nome è quello, così è presente in tutte le normative, dunque è impensabile e soprattutto inutile cercare una definizione migliore: sappiamo che con agricoltura biologica si intende un tipo di agricoltura vincolato a certe pratiche agricole definite dalla normativa. Credo che sia però importante segnalare l'incongruenza nei termini, altrimenti uno che conosce un po' i fenomeni ma non la terminologia specifica... non capisce più niente ;-)--Stemby 14:37, 25 gen 2008 (CET)[rispondi]

L'ultima modifica non mi convince moltissimo:

  1. gli input energetici sono spesso (quasi sempre) più alti in agricoltura biologica rispetto all'agricoltura convenzionale: per tornare all'esempio del riso, ci vuole molta molta molta molta meno energia a fare un diserbo (ovviamente considerando anche l'energia necessaria a produrre il diserbante) piuttosto che effettuare 12 false semine
  2. "agricoltura ecologica" non è una definizione generica: in tedesco (lingua anglosassone) è così, come anche in altre lingue anglosassoni, slave, alcune neolatine (spagnolo, catalano).

--Stemby 16:42, 2 ago 2008 (CEST)[rispondi]

Ho provato a sistemare il punto 2.--Stemby 17:06, 2 ago 2008 (CEST)[rispondi]
(conflittato senza leggere le modifiche) Sul primo punto posso concordare anche se il concetto di "energia ausiliaria" è molto più ampio di quello semplicemente relativo ai carburanti. Sulla definizione non ho voluto assolutamente indicare dove sono maggiori gli input energetici. Se parliamo di energia ausiliaria in ogni caso il discorso è molto più complesso. Un po' ho cercato di svilupparlo in agrosistema. Sul secondo punto: "agricoltura ecologica" è una denominazione generica come lo è "agricoltura biologica", anche se poi sono denominazioni che fanno riferimento a contesti specifici. Se vogliamo fare un'analisi dell'accezione stretta di una denominazione dobbiamo farla per tutte. Quella più mirata resta in effetti quella anglosassone. Comunque ho trovato una formula che togliesse il citazione necessaria, confesso che comincio a stancarmi di questa voce al punto che la toglierò dalla watchlist  ;-) --Furriadroxiu (msg) 17:15, 2 ago 2008 (CEST)[rispondi]
Vista la modifica, direi che va benissimo --Furriadroxiu (msg) 17:17, 2 ago 2008 (CEST)[rispondi]

Qualità... della voce[modifica wikitesto]

Volevo solo dire che la voce, attualmente, è assolutamente sbilanciata. In alcuni punti mancano solo i punti esclamativi. Le fonti spesso sono vaghe e autoreferenziali e soprattutto manca una sezione "critiche". Cosa dite se si comincia a rimetterci le mani sopra per renderla un po' più enciclopedica? Ciao --Asterix451 (msg) 15:25, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]

Naturalmente. Basta che metti le fonti.--Etrusko25 (msg) 15:38, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]

ok, appena ho un po' di tempo vedo di imbastire qualcosa. Non potete però cominciare voi? Tra i temi vedrei la disomogeneità della qualità, rese inferiori, problemi di localizzazione (un campo biologico vicino a un autostrada che senso ha?), uso inefficiente della risorsa terra (v. sotto), la scarsa scientificità di alcune sue pratiche, più filosofiche che altro, il ricorso frequente ai prodotti chimici "convenzionali" in deroga alla bisogna, l'impossibilità di fare agricoltura biologica con molte colture, specie le commodities, food security globale e boh vedete voi. Ciao --Asterix451 (msg) 16:00, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]
Fino a non molto tempo fa c'era un paragrafo che affrontava alcune di queste tematiche. È stato giustamente eliminato in quanto mancavano le fonti, che non ho avuto tempo di cercare. Se vuoi puoi ripristinarlo, se hai tra le mani un po' di letteratura--Stemby 16:26, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]

Se le fonti scientifiche sono articoli di giornalisti non specializzati, se ne può anche fare a meno. L'intenzione di screditare il biologico mettendone addirittura in questione la qualità e la salubrità dei prodotti, nonché la sostenibilità e l'impatto ambientale, è troppo malcelata per non risultare fastidiosa.

Effetti ecologici[modifica wikitesto]

Servirebbe una sezione sugli effetti ecologici dell'agricoltura biologica, intesa come maggiore biodiversità dei campi non trattati rispetto a quelli ad agricoltura tradizionale.--Etrusko25 (msg) 15:40, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]

Sì, e no. Se inserisci questo aspetto dovresti però contestualmente considerare "quanta terra" in più devi coltivare per produrre la stessa quantità di cibo. A riguardo ci sono diverse pubblicazioni che dibattono su quale approccio sia migliore: il wildlife friendly o il land sparing. Guarda qui ad esempio [1]. In generale però in un campo coltivato, anche non intensivamente c'è molta meno biodiversità che in un terreno vergine. Inoltre aumentare le aree coltivate vorrebbe dire mettere a coltura terre marginali ricche di biodiversità. Qui c'è un bel post a riguardo [2]. Ciao --Asterix451 (msg) 15:53, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]

Non mi sono spiegato: intendo dire che in un campo non trattato ci sono farfalle, lucciole, formiche, libellule, cavallette, vespe, ecc, e grano mentre in un campo trattato c'è solo grano. In ecologia si intende questo per diversità biologica, la diversità delle specie presenti. Ora come ora non ho nulla da portare come fonte, le cercherò e farò la parte della voce appena ho tempo e se prima (come spero...) non lo farà qualcuno più capace.--Etrusko25 (msg) 17:07, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]

Forse mi sono spiegato male io. Certo, facendo ag bio c'è più biodiversità in termini locali, ma meno in termini globali. A meno che non si parli di sola agrobiodiversità. --Asterix451 (msg) 18:13, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]
Chiedo scusa se mi intrometto, ma vi riferite ad aspetti che richiedono trattazioni di differente approccio. La biodiversità come la intende Etrusko è di facile approccio, reperire le fonti non è difficile in quanto questa tematica è stata largamente studiata. Va tuttavia messo in evidenza che la salvaguardia della biodiversità non è una prerogativa esclusiva dell'agricoltura biologica ma, più in generale, di qualsiasi forma di agricoltura sostenibile. Non credo che esista una letteratura sulla comparazione, ad esempio, fra agricoltura biologica e agricoltura integrata e in ogni modo qualsiasi confronto, se non operato su larga scala, non sarebbe statisticamente attendibile e in ogni modo risente delle condizioni ambientali. Intuitivamente il grado di biodiversità sarebbe più elevato in un regime di agricoltura biologica che in un regime di agricoltura integrata, tuttavia, in un comprensorio in cui si attua l'agricoltura integrata su un largo spettro di comparti agricoli, il grado di biodiversità è sicuramente più alto che in un comprensorio che comprende un singolo comparto (es. la sola viticoltura) a conduzione biologica. L'elemento determinante è IMHO lo svincolo dalla specializzazione produttiva e l'espansione territoriale. In ogni modo si tratta di concetti che possono essere già inseriti nella voce, se ci sono difficoltà a trovare fonti fatemi sapere, posso citare qualcosa di cartaceo. Ripeto però che la documentazione di cui dispongo fa riferimento a contesti più generali (agricoltura ecocompatibile) o a tecnologie specifiche (es. difesa biologica oppure difesa integrata dei vegetali)
Per quanto riguarda la considerazione di Asterix451, alquanto interessante, il discorso si fa più complesso e andrei cauto nell'affrontarlo in questa voce. Finché l'agricoltura biologica resta un comparto di nicchia il problema non si pone in quanto a questa forma di conduzione vengono destinati per lo più aree a forte vocazione agronomica. A mio parere l'espansione degli investimenti nel biologico non sottrae aree naturali, bensì sottrae agricole con la conversione dal convenzionale al biologico. Entro un certo margine, perciò, il problema citato da Asterix451 non si presenterebbe, o si presenterebbe per lo più a livello locale in certi ambiti geografici, mentre sarebbe sicuramente di una certa entità se l'agricoltura biologica dovesse estendersi su una larga percentuale delle aree coltivabili di un continente. In questo caso sorgerebbero problemi comparabili a quelli che attualmente si stanno presentando con la destinazione delle aree agricole alla produzione di biocarburanti, che di fatto stanno sottraendo risorse alimentari a livello mondiale. Questo aspetto è però marginale nel contesto agricoltura biologica e solo teorico. A mio parere sarebbe meglio non affrontarlo nella voce perché rischia di generare - inutilmente - guerre di POV. --Furriadroxiu (msg) 20:05, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]

@Etrusko: una piccola precisazione su una leggenda metropolitana in merito alla ecosostenibilità della lotta eseguita con insetticidi di origine biologica che non va assolutamente confusa con la lotta biologica. L'agricoltura biologica contempla l'uso di insetticidi biologici conosciutissimi quali il piretro, il quassio, il rotenone (quest'ultimo, meno lo si nomina meglio è!). Cito alcuni link presi a caso fra i primi che mi restituisce Google [3][4][5]. Non oso immaginare l'effetto deleterio di uno o due trattamenti a rotenone su un attacco di afidi in una coltura biologica in primavera avanzata mentre un trattamento con un aficida sistemico ad azione selettiva avrebbe un impatto minimo sull'artropodofauna utile. Concordo pienamente sul discorso fatto in merito alla biodiversità, però dobbiamo anche fare i conti con il target di Wikipedia: il profano non è in grado di discernere fra il grado di rischio connesso ad alcune sostanze naturali ed altre di sintesi, intuitivamente si è portati a ritenere che una sostanza naturale come l'estratto di piretro o il rotenone sia più innocua di un insetticida di sintesi e così è in linea generale, ma l'impatto sulla salute umana non va assolutamente confuso con l'impatto ambientale. Tant'è che diversi regolamenti disciplinari di lotta integrata vietano l'uso ordinario del rotenone (permesso in deroga dietro parere degli osservatori fitopatologici) mentre non offrono vincoli all'uso - ad esempio - dei chitinoinibitori e dei regolatori di crescita che, pur essendo di sintesi, hanno un impatto sanitario e ambientale molto più basso. Certi argomenti vanno perciò estesi in modo critico e neutrale, evitando frasi ad effetto che possono essere fuorvianti nei confronti di un lettore spinto da un interesse emotivo e non in grado di interpretare adeguatamente la complessità di un'informazione. --Furriadroxiu (msg) 20:47, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]

Mah, secondo me è importante non come "trattato" ma come cenno. In particolare inserirei una nota introduttiva a questo aspetto del tipo: Tra le varie scuole di pensiero agricolo l'AB fa riferimento a quella della wildlife friendly che si contrappone alla land sparing privilegiando la biodiversità presente in campo rispetto che al risparmio di terra vergine garantito dall'agricoltura intensiva che consente rese maggiori su terre minori. E un altro riferimento nelle critiche in cui si dice che chi fa riferimento al modello land sparing imputa all'AB di consumare più terra del necessario per produrre derrate agricole sottraendola alla biodiversità naturale. Più o meno una cosa del genere. --Asterix451 (msg) 21:07, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]
Messa in questi termini sono pienamente d'accordo: integra l'informazione offrendo uno spunto di approfondimento che rimanda ad altra sede. Avevo capito male. --Furriadroxiu (msg) 21:15, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]
Non sono un talebano. :P :) Mi piace solo contestualizzare per far emergere tutte le implicazioni delle varie scelte colturali e culturali. --Asterix451 (msg) 22:08, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]
Se ho dato questa impressione non intendevo affatto darti del talebano, anche perché la penso come te, per quanto ritengo che il rischio prospettato sia solo teorico allo stato attuale. La mia perplessità era sul modo in cui si poteva esporre nella voce senza dare spunto ad eventuali edit war: questa voce è facilmente soggetta a interventi più o meno POV, a spam e a edit condizionati da luoghi comuni e spinte emotive, perciò un'analisi non sufficientemente sviluppata di questa tematica rischia di generare inevitabili perplessità. Vedi il citazione necessaria relativo alla considerazione fatta da Stemby sull'impatto ambientale delle lavorazioni meccaniche laddove l'intervento meccanico surroga l'intervento chimico. Chiunque abbia fatto un minimo di agronomia o di meccanica agraria sa benissimo che il consumo energetico di un'irrorazione è ben più basso di quello di una qualsiasi lavorazione. Se si riesce a tenersi nell'ambito di affermazioni inconfutabili o referenziate è tanto di guadagnato per tutti --Furriadroxiu (msg) 23:03, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]
PS: bellina la locuzione "colturali e culturali"  ;) --Furriadroxiu (msg) 23:03, 7 feb 2009 (CET)[rispondi]
Da queste parti (scrivo da Parigi) viene ancora meglio, visto che culture significa sia "cultura" che "coltura" (il sostantivo, non l'aggettivo, che anche in francese differisce nei due casi) :-) È un gioco di parole abbastanza noto nel nostro settore, nei paesi francofoni--Stemby 02:00, 8 feb 2009 (CET)[rispondi]

Ciao lungi da me la volontà di interventi POV o di edit war, solo che mi rendo benissimo conto che si tratta di una voce che può facilmente diventare ricetto di interventi POV tanto di fan del malathion come di biologicisti talebani...vedo che i presenti sembrano sapere cosa scrivono per cui...quando ho tempo cercherò di intervenire in qualche modo dato che ho un po' di materiale qui a casa. Buon lavoro!--Etrusko25 (msg) 14:30, 8 feb 2009 (CET)[rispondi]

Paragrafo "Critiche"[modifica wikitesto]

Ora reinserirei il paragrafo critiche "vecchio" predisposto da Stemby. Poi, un po' alla volta ci lavorerei. Vi chiederei la cortesia di inserire il tag di abbozzo e di lasciarla in piedi qualche giorno per lavorarla. Ovvio che se qualcun altro vuole metterci le mani è liberissimo di farlo. Ciao --Asterix451 (msg) 15:19, 9 feb 2009 (CET)[rispondi]

Così come è ora il paragrafo è, oltre che senza fonti, decisamente POV--Etrusko25 (msg) 16:35, 9 feb 2009 (CET)[rispondi]

Avevo solo rimesso quello vecchio. Ora l'ho modificato, prova a dare un'occhio. --Asterix451 (msg) 17:51, 9 feb 2009 (CET)[rispondi]
a me sembra buono --Ignlig (ignis) Fammi un fischio 17:59, 9 feb 2009 (CET)[rispondi]

(conflittato) Molto meglio ma questa parte è secondo me da rivedere, le parti tra parentesi sono mie:

Questi ed altri (quali altri?) motivi rendono difficile la coltivazione biologica per molte specie agrarie (mi risulta che tutte le colture vengano effettuate anche in biologico), specialmente le commodities (che sono? L'utente medio di wiki probabilmente non lo sa), e relegano l'agricoltura biologica a specie di più facile gestione come alcune arboree (non mi risulta, al mercato si trova di tutto biologico, non userei il verbo "relegare") ed i pascoli e foraggi, che da soli costituiscono circa il 50% della superficie italiana a biologico. --Etrusko25 (msg) 18:06, 9 feb 2009 (CET)[rispondi]

Mentre stavate scrivendo queste critiche, ho fatto qualche modifica, niente di che, comunque controllate. Premettendo che secondo me è stato fatto un ottimo lavoro, ne aggiungo un paio:
  • cos'è il "solfato di vinaccia" =-O Non ne ho mai sentito parlare;
  • bisognerebbe evitare di citare un blog come fonte.
Aggiungerei un'altra critica sull'impatto ambientale in zootecnia bio: le vacche bio sono meno efficienti di quelle convenzionali (fa ridere la cosa ma è così), in quanto producendo meno, rilasciano nell'ambiente una quantità di azoto (→ problema dei nitrati in falda) per litro di latte prodotto superiore che in convenzionale. Se trovo un articolo, l'aggiungo.
@Etrusko: tutto tutto non ci giurerei, ad esempio hai mai visto una papaya bio? Io no, ed il semplice motivo è che è impossibile da produrre senza usare prodotti fitosanitari, e prodotti bio efficaci in quel caso non ce ne sono. Per le colture italiane, invece, più o meno si riesce a far tutto (per mais e soja però è dura, le produzioni sono insufficienti e di pessima qualità). In ogni caso il prodotto di punta è l'olio d'oliva, in quanto tutti coloro che facevano dell'oliaccio senza trattare contro la mosca e senza curare troppo la pianta (tanti!), si sono convertiti al bio per intascare i contributi. Con questo non voglio assolutamente dire che tutto l'olio bio faccia schifo, tutt'altro: uno dei migliori oli che abbia mai assaggiato era prodotto da un serio agricoltore biologico ligure. Resta il fatto che naturale=buono funziona davvero di rado, e il prodotto di qualità salta fuori dalla qualità del lavoro, poco importa se certificato bio o meno.--Stemby 18:55, 9 feb 2009 (CET)[rispondi]

Scusa, ma le papaie selvatiche (esistono, controlla pure) come fanno a sopravvivere senza trattamenti? L'"oliaccio senza trattare contro la mosca" lo faccio anche io, se vuoi venire ad assaggiare una bruschetta ti accorgerai che tanto "-accio" non è...semplicemente in alcuni anni è poco perchè c'è una forte cascola causa mosca. Esattamente come è successo per tutta la storia dell'umanità in ambiente mediterraneo eppure vedi che l'olivo non si è estinto nè che la gente ha smesso di consumare olio d'oliva. Il fatto che ci siano i contributi e che il prezzo alla fine sia più alto permette di ammortizzare le annatacce. Secondo me questa voce è troppo "universalista" si parla, ad esempio, del crollo di biodiversità che si avrebbe per l'incremento dei terreni coltivati se tutto il mondo fosse bio, sarebbe forse meglio "scendere con i piedi per terra" e considerare alcune cose:

-la produzione bio nei paesi in via di sviluppo praticamente non esiste e in quei paesi è gran parte dei terreni coltivati - semmai le colture da biopcarburanti mettono una seria ipoteca sulle produzioni alimentari e la persistenza delle aree naturali, dare la colpa all'agricoltura biologica, anche in prospettiva...bè non sembra ragionevolissimo
-in Europa la coltivazione bio è di nicchia, produzioni minori ma prodotto che spunta un prezzo più alto, questa è la filosofia, se, paradossalmente, l'agricoltura non-bio scomparisse potrebbero essere messi a coltura i terreni che sono stati abbandonati dal dopoguerra con l'abbandono dei terreni che non consentivano produzioni abbondanti o la meccanizzazione, e l'autosuffcienza alimentare (che già non c'è) sarebbe salva
-il fatto che l'agricoltura bio sia di nicchia (in un contesto nazionale ed ancora di più planetario) svuota totalmente l'obiezione che "faccia diminuire la biodiversità" la biodiversità aumenta perchè molte specie (soprattutto insetti) non vengono uccise dai trattamenti e si possono riprodurre, in assenza di prelievo (di qualunque tipo) il numero di individui di una popolazione aumenta fino alla capacità portante dell'ambiente, è il fondamento dell'ecologia, no? Questo discorso è valido finchè l'agricoltura bio resta un fenomeno di nicchia a livello mondiale, ovvero, dati i presupposti, per ancora luuuuungo tempo!--Etrusko25 (msg) 19:22, 9 feb 2009 (CET)[rispondi]

Segnalo questo passo: Vi è inoltre la credenza che le pratiche di gestione biologiche consentano di ridurre la percolazione in falda di azoto o che aiutino alla sviluppo delle comunità microbiche del suolo; essa però non è del tutto accurata esistendo a riguardo dati controversi. Personalmente lo rimuoverei per questi motivi: assumendo quanto detto da Stemby dobbiamo comunque tenere in considerazione un aspetto: la zootecnica convenzionale fa ricorso ad una quota (talora non trascurabile) di concentrati di origine extraziendale e di foraggi e concentrati aziendali prodotti con tecniche convenzionali. Questo fa sì che il carico bestiame per unità di SAU (Superficie Agricola Utilizzabile) sia più elevato. La zootecnica biologica implica inevitabilmente un carico bestiame più basso, perciò in definitiva il quantitativo di azoto apportato in termini assoluti sarebbe comunque più basso. A prescindere da questa considerazione ricordiamo che l'azoto apportato al terreno è prevalentemente in forma organica e a meno che non si abbia una forte mineralizzazione (cosa che si avrebbe solo distribuendo liquami e non letame) il grado di immobilizzazione dell'azoto è elevato. Insomma, per quanto possa essere da dimostrare, mi sembra del tutto naturale e ragionevole aspettarsi che il dilavamento dell'azoto nei terreni a conduzione biologica sia decisamente più basso che nei terreni a conduzione convenzionale.

Essendo il capitolo delle critiche, io mi sono limitato unicamente a riportato quanto scritto nel documento in ref. Alpiù su può aggiungere: Tizio e caio poi sottolineano che... --Asterix451 (msg) 09:03, 10 feb 2009 (CET)[rispondi]
Ma il passo in questione è tratto da una fonte? se è tratto da una fonte citala come nota specifica. La mia perplessità è dovuta all'assenza di una fonte specifica --Furriadroxiu (msg) 09:15, 10 feb 2009 (CET)[rispondi]
No Gian, ragionando così non si arriva da nessuna parte. Il metodo biologico non differisce da quello convenzionale per "meriti ecologici" (non viene effettuata alcuna analisi di impatto ambientale per certificare il prodotto come bio), bensì per non avere utilizzato nella produzione alcune molecole. Punto. Non possiamo allontanarci da ciò (da ciò che è dettato dal Regolamento), altrimenti si può parlare all'infinito senza concludere niente. Come in convenzionale si possono importare (e si importano) massicce quote di proteine da fuori, allo stesso modo si può fare in bio (basta che siano etichettate "bio"). Come in convenzionale non si produce più letame, così non lo si produce neppure in bio (purtroppo): non mi riferisco alle aziendine con 10 bestie, ma a quelle che fanno numero. Per assurdo, uno potrebbe fare tutti gli abomini immaginabili dal punto di vista delle buone pratiche agricole, e ottenere la certificazione bio per il semplice fatto di non aver usato sostanze di sintesi. Questa è proprio la principale critica che faccio al movimento. Tornando a bomba: che le vacche siano più o meno concentrate non c'entra niente col discorso che facevo, in quanto può valere tanto in bio quanto in convenzionale, ed in ogni caso ciò che cambia è l'impatto locale, e non globale. Una vacca bio, per ogni litro di latte prodotto (e ancor peggio per ogni kg di carne prodotto, visto che l'efficienza di conversione a carne è inferiore alla conversione a latte) rilascia nell'ambiente più azoto di una vacca convenzionale. Ovviamente questo azoto potrà essere più o meno potenzialmente pericoloso per l'ambiente a seconda delle infinite realtà esistenti, ma non c'è modo di fare un confronto bio/convenzionale partendo da questi presupposti, visto che ogni azienda (bio e convenzionale) ha storia a sé.--Stemby 15:18, 10 feb 2009 (CET)[rispondi]
Beh, la fonte è citata, se ti leggi il documento in ref ci trovi anche tutta la bibliografia. Ora comunque in nota ho inserito anche la frase specifica. --Asterix451 (msg) 16:25, 10 feb 2009 (CET)[rispondi]

Sull'"oliaccio" c'è poco da tergiversare: l'olio biologico di ottima qualità si può produrre, basta una buona dose di fortuna e un'annata calda. Nell'oliveto della mia scuola non faccio eseguire trattamenti dacicidi. Questo per motivi di operatività troppo lunghi da spiegare ma che esulano da questioni relative al biologico/non biologico, tant'è che nei settori condotti con l'inerbimento faccio eseguire il diserbo sulla fila con glifosate. La lotta biologica con le Ecotrap non la eseguo a causa del costo esorbitante, potrei praticare un mass trapping "fatto in casa" usando trappole rudimentali con legname di recupero, ma a causa della difficoltà di organizzare il lavoro nella nostra azienda non ho i tempi necessari per preparare migliaia di trappole. Il risultato è che mi affido alla fortuna: l'anno scorso il clima torrido che si è protratto fino ad ottobre ha decimato le generazioni estive perciò non si è presentato il picco generazionale di fine settembre. Quest'anno è andata un po' meno bene, ma in ogni caso le infestazioni si sono mantenute entro livelli accettabili, ai limiti della soglia di intervento. L'anno scorso abbiamo prodotto un ottimo olio senza fare alcun trattamento, quest'anno un olio di discreta qualità. Ma è tutta questione di fortuna e di contesti ambientali. A mio parere si può fare un ottimo olio anche (e soprattutto) con la lotta biologica, ma occorre una buona conoscenza della mosca e - in ogni modo - è necessario mettere mano al portafoglio perché l'uso di trappole e di attrattivi (che devono essere almeno due) è molto più costoso di uno o due trattamenti con il rogor.

@Etrusko: il mistero delle papaye selvatiche è semplice: si trovano nel loro ambiente naturale e l'artropofauna utile può contare su una maggiore biodiversità rispetto alla papaya introdotta in ambiente mediterraneo. Nella maggior parte dei casi il controllo biologico di un fitofago non si basa su una relazione stretta fra due specie, il fitofago e l'antagonista, ma da una complessa rete di interazioni che coinvolgono più antagonisti. E' questo il motivo per cui certi successi indiscutibili ottenuti con il metodo propagativo nella generalità dei casi non sono portabili, Su questo aspetto ci sono stati in passato parecchi scannamenti fra gli esperti di lotta biologica. Del resto, dopo i grandi successi ottenuti a cavallo fra il XIX e il XX secolo, la lotta biologica con il metodo propagativo è passata in sordina per decenni proprio a causa dei vari fallimenti che si sono riscontrati caso per caso. --Furriadroxiu (msg) 22:35, 9 feb 2009 (CET)[rispondi]

Non sapevo assolutamente che la papaia fosse coltivabile in ambiente mediterraneo, devo essere rimasto un po' indietro dato che da quando, nell'ormai lontano '95, mi sono diplomato all'istituto tecnico agrario ho tralasciato l'agricoltura per occuparmi quasi esclusivamente di pesci...Mi interesserebbe assai parlare del trappolamento per il Dacus (che non si chiama più così) ma qui non è la sede opportuna, se ti interessa parlarne contattami in privato ( lo puoi fare dalla mia pagina utente). Ciao--Etrusko25 (msg) 12:33, 10 feb 2009 (CET)[rispondi]

Riguardo alla papaya: sono tutt'altro che un esperto di frutticoltura tropicale; anzi, in quel settore mi considero ignorante come pochi (del resto non ho mai seguito un solo corso a riguardo...). Mi è stato però riferito da ricercatori che se ne occupano, che senza trattamenti si riesce a malapena a produrre il 10% di una produzione "standard" convenzionale. Ora, non so di che tipi di danni si tratti e dunque non mi pronuncio oltre. Solo due considerazioni che mi vengono in mente:
  • quel 10% potrebbe essere sufficiente per mantenere in natura la papaya
  • non è detto che il 90% dei frutti persi non possano originare delle piante: se l'attacco avviene solo in fase di maturazione, potrebbe trattarsi di un danno unicamente commerciale, e non "biologico"--Stemby 14:01, 10 feb 2009 (CET)[rispondi]
indubbiamente, anche una mela divorata dalla carpocapsa o un oliva verminosa è sempre ottima per la riproduzione e per nutrire qualunque cinghiale o storno...secondo me non ha granchè senso coltivare papaie in Italia dove devono essere curate come bimbi in fasce quando nella fascia climatica appropriata sono probabilmente infestanti...ma sto andando nettamente OT...

E comunque ho scoperto che la papaia Carica papaya non esiste come pianta selvatica ma è probabilmente una forma ibrida stabilizzata da millenni di coltura per cui la mia obiezione cade.--Etrusko25 (msg) 14:23, 10 feb 2009 (CET)[rispondi]

Papaya. Diciamo che in molte zone è già difficile fare quella convenzionale, figurarsi la biologica! [6]. Molte piante (soprattutto in versione non coltivata, riescono a trovare nicchie ecologiche in cui sopravvivere grazie al fatto che sono fisicamente separate dai loro patogeni o predatori. In un sistema agricolo, per di più globale, questo effetto nicchia ecologica ha poco senso, soprattutto in pianura. Magari può funzionare ancora nelle agricolture marginali chiuse di montagna... --Asterix451 (msg) 14:25, 10 feb 2009 (CET)[rispondi]