Del principe e delle lettere

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Del principe e delle lettere
incisione ritraente Alfieri
AutoreVittorio Alfieri
1ª ed. originale1786
GenereTrattato
Lingua originaleitaliano

Del principe e delle lettere è un trattato scritto da Vittorio Alfieri. Fu iniziato a Firenze nel 1778, e concluso a Martinsbourg in Alsazia nel 1786.

L'opera è suddivisa in tre libri: Il “Libro primo” è rivolto ai principi che non proteggono le lettere.

«La forza governa il mondo, (pur troppo!) e non il sapere: perciò chi lo regge, può e suole essere ignorante»

Si rivolge alle autorità del periodo, i principi, che non devono rendere conto a nessuno del loro operato, ragionando sull'influenza e sulla necessità di dare o meno protezione a letterati e scrittori...

«Costui, che in mezzo agli uomini sta come starebbe un leone fra un branco di pecore, non ha legami con la società, se non quelli di padrone a schiavo»

...precisando che, a parer suo, il principe si avvale sempre di uomini mediocri, che non possano offendere il suo ideale di superiorità, ottenendone gloria.

Il “Libro secondo” è rivolto ai letterati che non si lasciano proteggere

Testa di Omero conservata a Roma presso i Musei capitolini

In questa parte dell'opera fa riferimento a numerosi scrittori, antichi e moderni, Omero, Sofocle, Rousseau, Machiavelli, e collocandoli nel loro tempo, analizza se siano stati protetti dai regnanti e quale influenza ne abbiano avuto.

«..Ed a ciò dimostrare, parlino per me i fatti. Socrate, Platone, e l'immensa turba di Greci filosofi; Omero, Eschilo, Demostene, Sofocle, Euripide, e tanti altri ottimi antichi scrittori; non cercarono costoro di piacere a principe nessuno; e quindi il loro divino ingegno se n'andò esente ed illeso dalla terribile protezion principesca. Così, fra i moderni che hanno veramente illuminato il mondo, sviscerando le facoltà e i diritti dell'uomo, Locke, Bayle, Rousseau, Machiavelli; e fra quelli che l'hanno dilettato con utile, Dante, Petrarca, Milton, e pochi altri; non ebbero costoro nulla che fare con principi.»

E ben precisa che un'opera meditata ed accurata non può che crescere fra i posteri, mentre un'opera profluvio di parole e armonica, muore con lo scrittore

«..Io non saprei dar principio migliore a questo capitolo, che citando alcune parole di Tacito. Meditatio et labor in posterum valescit; canorum et profluens, cum ipso scriptore simul extinctum est.»

Seppur lesse molto di Virgilio, lo colloca tra i protetti e asserisce che scrisse al di sotto delle sue capacità

«ha fatto il suo libro assai minore di quello che avrebbe pur potuto e dovuto essere e perciò egli ha fatto se stesso minor del suo libro»

Con il “Libro terzo” si rivolge alle ombre degli antichi liberi scrittori

Alfieri, dopo aver trattato delle varie forme di oppressione che può avere il principe nel confronti degli scritti, vuole analizzare e capire se le lettere possano perfezionarsi senza protezione, quale ruolo abbia avuto lo sviluppo della scienza e quale ruolo abbiano giocato gli scritti nelle poche “libere”.

«Le scienze dunque, che io così definirei; Gli arcani e le leggi della natura dei corpi, investigate e spiegate, per quanto il possa l'intelletto dell'uomo; le scienze dico, mi pajono una provincia di letteratura affatto da se, e interamente diversa dalle belle lettere, che io per contrapposto definirei: Gli arcani, le leggi, e le passioni del cuore umano, sviluppate, commosse, e alla più alta utile e vera via indirizzate»

E conclude nel capitolo duodecimo che il principe riporrà sempre in silenzio le vere lettere, poiché da esse nasce l'idea della fine del principato.

«...Che le vere lettere fiorire non possono se non se all'aura di libertà...»

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