Wikipedia:Scherzi e STUBidaggini/Mazaka

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Mazaka, secondo Strabone, storico e geografo del I secolo era la capitale del governatorato della Cilicia. Veniva anche chiamata "Eusebia presso l'Argaios".

Sorgeva infatti ai piedi del monte Argaios, il più alto della zona, tanto che

«Dicono quelli che vi sono saliti (e sono pochi) che di l', nei giorni di bel tempo si vedono tutti due i mari, quello del Ponto e quello di Isso»

Ovvero il Mar Nero e il Mar Egeo dove la costa meridionale della Turchia si incurva verso il sud, verso il Libano.

Dalla descrizione che ne fa Strabone, non si capisce come questa città sia potuta non solo diventare la "metropoli" dei Cilici ma addirittura come sia potuta sorgere una città in condizioni disperate come quelle riportate dal geografo greco; egli stesso descrive il luogo come "inadatto a una concentrazione urbana" (XII, 7).

La città è "senza acqua" e già questo appare strano visto che ogni nucleo umano ha estrema necessità di questo liquido. Ma l'abitato sorge anche in un luogo sprovvisto di difese naturali (quindi niente alte rocche rocciose o altre astuzie nell'uso della natura dei luoghi). Inoltre i vari governanti avevano trascurato di innalzare delle mura. Forse, dice Strabone, lo avevo fatto per non infondere una falsa sicurezza nei sudditi, visto che la città, in mezzo la pianura e non lontana da colline, era facilmente attaccabile con catapulte e armi da lancio.

Per fortuna il territorio circostante è piatto e non erto e faticosamente percorribile. Però.

Però il fondo era sabbioso e sassoso. Coltivare qualcosa di commestibile era impossibile e quindi i fondi "non sono coltivati e sono improduttivi" (Ibid. XII, 7).

Non lontano si incontravano

«pianure vulcaniche e piene di pozzi di fuoco per molti stadi»

Ma pare che oggigiorno, fortunatamente per gli abitanti, queste manifestazioni vulcaniche siano cessate.

Data la difficoltà di coltivare, i rifornimenti alla città venivano dall'esterno, rendendo estremamente debole la difesa in tempi calamitosi come quelli dell'Anatolia di quei secoli.

Per fortuna le pendici dell'Argaios erano piene di ampie foreste e quindi era possibile la raccolta e la lavorazione del legno, esportabile e ricercato nella vicina e spoglia Cappadocia.

Malauguratamente anche i luoghi forestati erano infestati da questi pozzi di fuoco. E dove non c'era il fuoco abbondava l'acqua fredda. Ma nessuno dei due elementi primigeni usciva dal sottosuolo

«in modo che la maggior parte del terreno è erboso; talvolta il terreno è paludoso e di notte da esso si sprigionano fiamme.»

Per questo motivo i boscaioli, che conoscevanola zona e i suoi pericoli stavano ben attenti e se la cavavano. Ma per chi non conosceva i pericoli il rischio era grande. E soprattutto

«per il bestiame che, non vedendo i pozzi di fuoco, vi cade dentro.»

In effetti non è che manchi, quindi, l'acqua; solo è difficile da gestire. Per esempio a soli quaranta stadi dalla città (uno stadio corrisponde a 170-190 metri), quindi poco meno di otto miserabili chilometri, scorre il fiume "Nero". Peccato che le sorgenti siano ad un livello più basso rispetto alla città quindi scorra in direzione opposta formando laghetti e paludi che d'estate "rovinano" l'aria come solo le paludi sanno fare.

Tutta quest'acqua che sfugge la città, lo fa d'altra parte rendendo difficile l'unica lavorazione di pregio possibile per gli sfortunati Cilici.

«Vi sono infatti delle rocce piatte da cui gli abitanti di Mazaka ricavano in quantità pietra da costruzione, ma coperte dall'acqua sono difficili da estrarre.»

Neanche a farlo apposta anche in queste paludi si sprigionavano fuochi.

L'opera dell'uomo[modifica wikitesto]

Alle disgrazie della natura si aggiungevano quelle portate dall'uomo. Il re Arianthes interruppe il corso del fiume Nero, il generatore della palude, con una diga.

La pianura fu invasa dalle acque da cui sporgevano alcune isolette che servivano al sovrano per giocare e trastullarsi. Magari poteva diventare un'attrazione turistica se la diga non fosse crollata.

L'acqua fuoriuscì in masse spaventose dirigendosi di nuovo verso l'Eufrate di cui il Nero era tributario. Il disatro si spostò in Cappadocia con distruzioni e vittime arrivando anche a danneggiare qualche lembo del territorio del Galli della Frigia. Tutti i danneggiati richiesero un risarcimento di trecento talenti d'argento. E i Romani furono incaricati di mediare.

La sfortunata città ebbe, infine un trattamento spregevole da parte di Tigrane re d'Armenia: costui, quando invase la Cappadocia, catturò anche Mazaka, ne deportò gli abitanti per popolare la sua nuova capitale Tigranocerta.

Ma i Cilici erano fedeli e quando Tigranocerta cadde per opera dei Romani ne fuggirono; chissà perché fecero ritorno a Mazaka.