Vasco Ascolini

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Vasco Ascolini è un fotografo italiano, emiliano, nato a Reggio Emilia nel 1937.

Profilo biografico e artistico

Inizia a fotografare a metà degli anni Sessanta del 1900. Mette punto uno stile personale basato su alcuni punti di forza e da certe scelte stilistiche che, protratte nel tempo, potrebbero apparire forzate: saranno il suo tratto lineare distintivo.

Attraverso la frequentazione di scoperta della fotografia statunitense e all’apporto ricevuto dalle lezioni dell’università di Parma, si confronta con personaggi quali Mulas e altri.

L'avvio della collaborazione con il Teatro Municipale cittadino (1973 - 1990) gli dà modo di predisporre un suo linguaggio specifico utilizzandolo dapprima per la fotografia di teatro. Ascolini interpreta, trasformandolo, l’evento dello spettacolo e ricrea completamente la cornice scenica. Sue fotografie dello spettacolo di L. Kemp Lindsay_Kemp(1979) saranno definite “superbamente espressive”. Da quel punto in poi sarà un crescendo d’espressività e d’emozioni nella tensione della rappresentazione. In questo contesto e ambiente i momenti di spettacolo, in special modo la danza e il mimo, forniranno il materiale per fornire originali emozioni visive.

Il passo successivo sarà l’esaurirsi del rapporto con il teatro e l’inizio di un nuovo filone ricco di spunti e d’occasioni. I nuovi soggetti delle sue immagini saranno il “marmo”, i volumi architettonici parziali, colonne, trabeazioni, statue…Questo avviene verso la metà degli anni ’80

Il percorso e i riferimenti

L'attività d’espressione con il mezzo fotografico può dirsi iniziata intorno al 1965. Dal 1973 al 1990 fotografa per il l Teatro Municipale "Romolo Valli" (Reggio Emilia). Verso il 1980 avvia il periodo in cui s’interessa della fotografia di soggetti architettonici e di reperti museali

Nel 1983, a Chalon-sur-Saone (Francia), espone al Museo della Fotografia di N. Niépce. In Francia è molto apprezzato ed ha ottenuto vari incarichi da Enti ed Istituti del Ministero della Cultura Musée du Louvre, Musée Rodin, Tuileries, Versailles, Parc Royal, St. Cloud.

Nel 1985 esposizione presso il Lincoln Centre Public Library, New York

Mostra personale ad Arles (Francia) nel 1991.

Esposizione intitolata “ Metti il fotografo al Museo (1996), una presentazione per immagini dei Musei Civici di Reggio Emilia sviluppata da diversi fotografi, curata dal Prof. Massimo Mussini,

Il comune di Salon-de Provence (Francia) gli dedica una mostra retrospettiva “Noir lumiere” (1998).

L’idea metafisica (Reggio Emilia, 1992);

Partecipa all’esposizione "Une incertaine Folie" realizzata alla Sala del Conclave di Lille (Francia) con immagini dai luoghi di cura psichiatrica.

E’ presente ed espone alla mostra "D'Apres l'Antique" (anno 2000) al Louvre (Parigi). E’ la prima mostra fotografica organizzata al museo parigino.

La città di Mantova lo incarica (nel 2002-03) nel progetto "Il segreto della città" per una pubblicazione con testi di Jacques Le Goff e Pierre Sorlin.

Nell’anno 2004 espone al Cairo su invito del Ministero della Cultura Egiziano con una mostra antologica curata da A. Gioé. Altra mostra all'Université de Lyon, nello stesso anno.

A New York, presso il MOMA e al Metropolitan Museum, come al Guggenheim Musem, sono conservate ed esposte fotografie del periodo teatrale. Così pure presso altre importanti istituzioni internazionali quali il Lincoln Center Public Library, la Texas University di Austin, la Fondazione Italiana per la Fotografia, Torino, alla Biblioteque Nationale a Parigi, al Musée Carnevalet (Parigi); ecc.

Vasco Ascolini ha ricevuto molti riconoscimenti, tra i più importanti la nomina a “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres” conferitogli dal Ministero della Cultura Francese (nell’anno 2000) e la Grande Medaglia della Città di Arles

La linea critica

Segno distintivo dello stile di Vasco Ascolini è il tratto scuro, nero. E’ l’esaltazione del contrasto con il poco bianco presente in un’immagine che è rigorosamente in bianco e nero. Se si vogliono denominare le sue caratteristiche, sebbene ogni definizione sia limitante per sé stessa, si possono individuare i tratti dominati di tutte le sue opere nel contrasto di toni e nel rifiuto dell’uso del colore.

Nella fotografia di teatro, con forte predilezione per la danza e per la mimica, domina la figura umana che, attraverso la completa eliminazione delle gradazioni intermedie dei toni, è trasformata in corpo plasticamente fisso, quasi un oggetto, una statua.

Nel periodo “dei marmi” le linee precedenti sono adattate ad un’espressione (apparentemente) fredda e stilizzata. E’ stato ripetutamente evidenziato un possibile parallelo con la pittura metafisica (De Chirico). Non credo che sia, però, una citazione esplicita. Il taglio delle inquadrature è più personale, più innovativo e il mezzo fotografico ci mostra aspetti con un’inquietudine diversa.

Tratto distintivo del periodo “dei marmi” è l’assoluta assenza della figura umana (viva).

Se uniamo la forza cupa dei neri contrastati (periodo “del teatro”) e l’assenza umana (periodo “dei marmi”) una prima impressione superficiale potrebbe indurre l’osservatore ad una visione pessimistica del complesso delle immagini. Il contrasto bianco – nero, così evidente, richiama il simbolo dello Yin e Yang della cultura giapponese (e cinese). Alcune immagini di scena sembrano citazioni del teatro del NÔ. Il contatto di Ascolini con la cultura giapponese è avvenuta prima della sua dedizione alla fotografia. Lo studio della “VIA” lo ha condotto a diventare anche maestro d’arti marziali giapponesi e cintura nera di VI dan (Ju-do).

Se volessimo chiarire tali impressioni e concetti ponendo la domanda all’autore egli, abbandonata l’aria dottorale di “maestro”, ci elargirebbe un sorriso incorniciato dalla barba che ormai si fa bianca e ci direbbe che: “…l’opera d’arte, se arte è, non serve a dire delle cose, a fare delle affermazioni, ma trarre fuori da ognuno di noi quello che abbiamo dentro, bianco o nero che sia, cupo o gioioso…” e che: “…forse in un’immagine, e non solo in un’immagine, non è importante quello che c’è, quello che mostra. Spesso è più importante ciò che manca, lasciando a noi la possibilità di cercarlo, sfumatura o uomo che sia.”


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