Utente:Sofgal/Sandbox

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Le tre sorelle Baroncini, ossia Jole (nata il 13 agosto 1917 a Imola); Angelina ( nata il 20 luglio 1923 a Bologna) e Nella ( nata il 26 agosto 1925 a Bologna) erano le figlie di Adelchi e Teresa Benini.

Le origini familiari e il contesto sociale[modifica | modifica wikitesto]

Il padre (nato il 4 novembre 1889 a Conselice) lavorava in un'officina statale, era socialista e anticlericale ed era un collaboratore del movimento di liberazione. La madre ( nata il 19 Maggio 1893 a Imola) era una casalinga e anche essa collaboratrice del movimento di liberazione. La coppia non è sposata in chiesa e le figlie saranno battezzate solo molto tardi. La formazione delle ragazze è molto importante per i genitori e tutte e tre le figlie seguono un percorso scolastico più articolato rispetto alle donne di quei tempi. Jole frequenta le tre classi della scuola femminile Regina Margherita, Angelina i primi anni delle magistrali, Nella l'avviamento e tutte e tre trovano velocemente un lavoro come impiegate.

Lotta per la resistenza[modifica | modifica wikitesto]

Le ragazze si occupavano di lavori di propaganda: tiravano copie e copie di manifesti che successivamente distribuivano con le loro biciclette. Si occupavano di diverse zone come Imola e Casalecchio, anche nell'inverno del '44, ma il loro lavoro ebbe tempi molto brevi perché furono arrestate poco dopo, il 24 febbraio 1944.

Storia della deportazione[modifica | modifica wikitesto]

Il 24 febbraio 1944 una spiata, partita dall'officina dove lavorava il padre, portò i nazisti a casa Baroncini, quando stavano uscendo per andare in ufficio. Ebbero un primo interrogatorio presso la sede della Gestapo e in seguito Nella, Jole e la madre furono portati a San Giovanni in Monte, ovvero il carcere a Bologna. Mentre Lina e il padre, addossandosi tutte le responsabilità furono trattenuti al comando delle SS in via Risorgimento venendo torturati e interrogati per più di un mese. I primi di maggio la famiglia si ricongiunse e fu trasferita al campo di concentramento di Fossoli e da lì avvennero le divisioni: il padre lasciò Fossoli prima delle figlie e della moglie e fu portato via con un gruppo di uomini. Le donne partirono il 2 Agosto per Verona e arrivarono il 6 agosto a Ravensbruck. Il viaggio fu in un carro di bestiame, sigillate dentro e talmente scomodo da non poter dormire e sorpassarono il Po con un barcone. Arrivate a destinazione passarono svariati giorni all’interno delle docce, successivamente spogliate e immatricolate con numeri progressivi.

A Jole diedero il numero 49551, Angelina ricevette il numero 49552 e infine a Nella il 49553. La vita in campo fu molta dura e Lina e Nella videro morire in campo la madre, sfinita dalla dissenteria il 26 gennaio 1945, non fecero sapere della morte della madre a Jole per non darle dolore, in quanto era la sorella più sensibile. Verso gli inizi di febbraio furono separate, e in modi diversi scoprirono della morte di Jole, uccisa nelle camere a gas per una malattia il 4 marzo, già da qualche tempo in infermeria nella baracca n°10. Solo uscite dal campo e arrivate a Bologna scoprirono della morte del padre avvenuta il 3 gennaio 1945 a Hartheim, a causa di esperimenti fatti su di esso in quel castello. Lina e Nella riuscirono a sopravvivere al campo e tornarono a Bologna nella loro vecchia abitazione in via Rimesse. La liberazione avvenne il 30 aprile 1945.

La vita nel campo[modifica | modifica wikitesto]

La vita nel campo era molto dura: le donne e i bambini erano separati dagli uomini e portati in luoghi diversi del campo. La maggioranza erano ragazze polacche, francesi, russe e solo una piccola minoranza erano italiane. Per prima cosa diedero due stracci per vestirsi, già portati da altra gente arrivata prima, o forse già morta, tutti segnati da grandi croci sul petto e sul retro. La maggior parte delle ragazze furono rasate a zero. I letti erano in castelli a tre piani, c’erano tre piazze molto ridotte e molto vicine una all’altra e solitamente si stava in due per piazza. Il cibo era minimo: un mestolo di rape a mezzogiorno e un pezzo di pane e la sera quando si era fortunati si riceveva una mezza patata bollita. Il giorno del compleanno di Nella iniziarono a lavorare. Erano lavori molto duri che ti rendevano schiavo. La madre restò nel blocco a fare la maglia per le capo-blocco, mentre le sorelle fuori nei cantieri o nella foresta. Alcune andavano a lavorare nelle sartorie, altre nelle fabbriche e dormivano anche fuori dal campo.Le più “sfortunate” andavano nelle foreste a segare gli alberi, col badile in spalla a caricare carrelli di sabbia e altre volte scavavano trincee. L’unico momento in cui si stava bene era la notte, perché si sognava e soprattutto si sognava di essere a casa.

Vita dopo il campo[modifica | modifica wikitesto]

Per un po’ di tempo, subito dopo l’arrivo a Bologna, Lina e Nella conducono una vita nomade e si spostano da un sanatorio all’altro. I primi anni sono stati molto duri, ma in seguito si sono ambientate e ricominciarono a lavorare. Lina occupò il posto del padre nell’officina e Nella nell’azienda di prima e successivamente in comune. Nel 1948 Lina sposò Mario Roveri, conosciuto a Fossoli perché anch’esso un sopravissuto, andarono a vivere insieme nella loro casa in via Rimesse dove nacque Eligio. Anche la sorella si sposò nel 1953 con Enzo Poli. Insieme, per ricordare quei momenti nel campo, tornano a Mauthausen e Ravensbruck. Nel 1961 Nella fondò l’Aned di Bologna, un’associazione per il ricordo della deportazione, e da allora fu molto attiva al suo interno. Dopo aver ripreso in mano la loro vita e aver realizzato alcuni progetti Lina morì il 27 gennaio 2012 e Nella il 18 aprile 2015.