Utente:MNepi/Sandbox

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 Ricerche logiche: significato, riempimento intuitivo e intenzionalità[modifica | modifica wikitesto]

Per Husserl la logica deve poter essere fondata e sviluppata come disciplina teorica generale dei sistemi di inferenza, cioè deve essere pensata in modo da farne la struttura formale di ogni teoria, e in special modo di quelle scientifiche. Analizzando le relazioni tra sistemi di proposizioni connessi tra loro, il logico deve rintracciare le legalità ideali che permettono a quelle stesse connessioni di verificarsi, e di essere comprese come tali nell'esperienza. Per fare questo la logica non può limitarsi a costruire deduzioni a partire da un certo numero di assiomi, ma deve innanzitutto poter giustificare la necessità delle leggi che essa rende manifeste, in altre parole deve rendere conto innanzitutto della possibilità della sensatezza, e in seguito della conoscenza in generale, e diventare in questo modo il fondamento di ogni scienza (inclusa la matematica). Questa logica è detta "pura" poichè la sua validità è totalmente a priori, nel senso che in essa emergono le forme necessarie della nostra esperienza del significato. Anche se queste forme sono per Husserl talmente originarie da essere precedenti al linguaggio, è solamente in esso che queste si risolvono per noi e possono essere studiate; per questo nelle Ricerche logiche egli argomenta che il modo migliore per studiare la natura dei significati è descrivere prima la loro manifestazione linguistica, cioè le espressioni e i giudizi.[1]

Segno e significato[modifica | modifica wikitesto]

La nostra esperienza del significato si realizza nei cosiddetti "vissuti espressivi”, in cui un segno o un suono si "animano", per così dire, e ci rimandano a qualcosa di diverso, che in quei segni non era materialmente né deduttivamente contenuto. Per Husserl, però, molto di quanto avviene nella comunicazione, che è il tipo di attività in cui più spesso sperimentiamo i vissuti espressivi, non riguarda direttamente il significato, ma semplicemente la prassi concreta del linguaggio e della comunicazione.[2] Quello che interessa al logico è però solo l’atto del significare nudo e crudo. Di conseguenza possiamo immaginare di sottrarre al concetto di espressione tutto ciò che vi appartiene per il solo fatto di essere indicato da segnali, o da “indizi”, cioè tutte quelle informazioni di cui supponiamo l’esistenza per il mero fatto che qualcuno sta esprimendo qualcosa. Dobbiamo escludere quindi tutto ciò che fenomenologicamente ci si presenta insieme all’atto espressivo durante la comunicazione, ma che non appartiene direttamente a ciò che nella comunicazione viene espresso, quanto piuttosto al fatto che vi è qualcuno che si esprime. Queste funzioni non hanno a che vedere con la funzione significante in sé. Se infatti immaginiamo di sottrarre al segno tutto ciò che gli appartiene per il mero fatto che esso interviene nella comunicazione, e ad esempio pensiamo al discorso "tra sé e sé", possiamo osservare che le parole, così pensate, non smettono per questo di avere un significato e noi abbiamo comunque l'impressione di comprenderle[3]. Husserl quindi attua nella Prima Ricerca una distinzione tra la funzione pragmatica del significato, che può essere oggetto di studio per le discipline naturalistiche come la psicologia, e quella propriamente logica, che non può e non deve essere ridotta alla prima.

Interi di significato e contenuto intenzionale[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Intenzionalità.

Ciò che caratterizza il significato è il fatto che viene compreso in modo unitario, esso cioè si presenta come qualcosa di compatto, anche se composto di parti. Vale a dire che una proposizione, per quanto possa essere formata da elementi più semplici con significati anche autonomi, è compresa secondo un solo significato. Husserl propone di soffermarci proprio su quella comprensione che siamo intuitivamente certi di possedere, facendo emergere e poi descrivendo le legalità a priori che la rendono possibile. Una prima osservazione è che non tutte le molteplicità formano per noi un intero, ma solo quelle che rispettano certe regole, o leggi delle dipendenze; se queste non sono rispettate abbiamo soltanto un insieme di oggetti, un’accozzaglia eterogenea che non ci è possibile ricondurre a unità. Una molteplicità di note musicali può formare una melodia solo se vengono rispettati certi criteri armonici e ritmici, cioè certe “aspettative” che la coscienza deve vedere soddisfatte prima di riconoscere dei suoni come “connessi” in una musica. Nel caso delle proposizioni e dei giudizi, il mancato rispetto delle norme di connessione fra le parti (parole e connettivi) si risolve in un'insensatezza mentre la loro osservanza dà luogo ad un "intero di significato". La caratteristica principale di un intero di significato è di essere compreso come atto intenzionale, vale a dire un vissuto che esibisce quel rapporto di correlazione che Brentano chiamava intenzionalità. L'intenzionalità è il riferimento di un atto ad un contenuto, di un "pensiero" a un "pensato": nel giudizio qualcosa è giudicato, nel vissuto percettivo qualcosa è percepito nel ricordo, ricordato.[4][5] La relazione che ogni vissuto instaura con un oggetto è parte della struttura dell'esperienza stessa e di conseguenza anche dell'esperienza del significato. In ogni atto espressivo vi è un qualcosa che viene espresso, e per questo è lecito parlare di un atto (o vissuto) intenzionale a cui corrisponde un "contenuto intenzionale". [6]

Significato e oggetto[modifica | modifica wikitesto]

Che un vissuto sia intenzionale, e cioè che possieda un riferimento a un oggetto, non dipende dall'esistenza di quest'ultimo.[7] Se ad esempio pensiamo ad un cavallo alato, il nostro atto è a tutti gli effetti dotato di un contenuto (si riferisce cioè, appunto, al cavallo alato) ed è per questo intenzionale nonostante l'oggetto corrispondente non sia dato. Di conseguenza il significato di un'espressione non può dipendere dal fatto che l'oggetto a cui ci si rivolge esista oppure no. Husserl però mette in guardia dal cadere in interpretazioni "rappresentazionaliste" dell'intenzionalità, come la teoria delle immagini mentali, secondo la quale le esperienze intenzionali di oggetti si riferiscono ad un'immagine mentale mentre le esperienze di immagini in quanto immagini possono presentarsi senza la mediazione di una rappresentazione oggettuale.[8] Questa visione dà luogo a una "duplicazione" degli oggetti (nel caso di un riferimento veridico) che è fallace in quanto la capacità di riconoscere un'immagine come rappresentazione di un oggetto dipende dalla possibilità di confrontare l'immagine dell'oggetto con l'oggetto rappresentato dall'immagine, presupponendo in questo modo la conoscenza dell'oggetto "come è in sé". Perchè qualcosa sia una rappresentazione è necessario che qualcos'altro non lo sia. Nel caso di vissuti intenzionali veridici l'oggetto intenzionale è quindi proprio l'oggetto reale, e non una sua copia intra-mentale come invece sostenuto da Brentano.[9]

Significato dei nomi propri[modifica | modifica wikitesto]

Nel caso degli atti espressivi, e quindi propriamente linguistici, la coscienza del senso si rivela solo nelle proposizioni che rispettano certe regole di completezza. In un'espressione ben formata il contenuto intenzionale dell'atto (ciò a cui ci si riferisce) è il significato di quell'espressione. Anche se il vissuto espressivo non è un giudizio, ma più semplicemente un singolo nome proprio, il contenuto intenzionale è rappresentato dal significato di quel nome. Contrariamente alla posizione di Mill,[10] per il quale il nome proprio, senza alcuna aggiunta, sarebbe un mero segno senza alcun significato, un segnale al quale associare in modo meccanico una qualche rappresentazione, Husserl argomenta che sono invece dotate di senso anche le espressioni non-connotative (che cioè non attribuiscono alcuna proprietà al soggetto della proposizione), poichè intuitivamente viene compreso il carattere intenzionale dell'atto espressivo. I nomi propri sono perciò espressioni significanti non-connotative, mentre la connotatività diviene precisamente un sottoinsieme della significatività. Il senso di un'atto espressivo non dipende quindi in nessun modo da aspetti "contenutistici" ma unicamente dalla sua possibilità di essere compreso in quanto tale. Un nome proprio, per esempio "Socrate" è comprensibile anche se manca qualsiasi esplicitazione di caratteri attributivi. La datità del significato dipende solamente dalla comprensibilità di una formulazione segnica, e cioè nel suo riconoscimento come atto intenzionale.[11]

Riempimento intuitivo[modifica | modifica wikitesto]

Sia i significati nominali (semplici) che quelli proposizionali (composti) sono oggetto di studio della "logica pura" (o "logica in senso ampio") che permette di distinguere il senso dall'insensatezza (per Husserl senso e significato sono da intendersi come sinonimi). Essa si occupa cioè di far emergere le leggi a priori della grammatica pura che consentono la formazione del senso: tutto ciò che vìola queste necessità ideali non può venire compreso e si qualifica quindi come non-senso, le espressioni che invece vi si conformano possono essere oggetto di studio per la "logica in senso stretto" che ne mette alla prova la consistenza logica. Quest'ultima disciplina, che comprende le norme della logica tradizionale (ad esempio il principio di non-contraddizione) non è di secondaria importanza, infatti per Husserl essa consente di individuare le condizioni di possibilità affinché una proposizione "produca" conoscenza. Ogni giudizio o proposizione logicamente validi possono in teoria pervenire ad un "riempimento intuitivo", vale a dire trovare in un atto percettivo l'oggetto intenzionale corrispondente al significato dell'atto espressivo, che prima però vi si rivolgeva in modo "vuoto". Tale riempimento può essere più o meno adeguato, a seconda che l'intuizione sia data in modo pieno oppure solo in modo approssimativo o indiretto. La percezione di un albero da breve distanza è più adeguata della percezione dello stesso albero da lontano oppure visto su una fotografia, ed è cioè tanto più adeguata quanto più l'oggetto è esperito con evidenza e messo al riparo da equivoci ed errori. Se non si distingue chiaramente il significato dalla possibilità di un riempimento si rischiano esiti palesemente assurdi, come l'affermare che l'espressione "chiliagono" (poligono di mille lati) non ha senso solo perchè non si riesce a formarsi una rappresentazione adeguata di esso. Nel significato si costituisce solo il riferimento all’oggetto, e non ha alcuna importanza che questo esista, sia fittizio o persino impossibile.[12]

Espressioni che violano le leggi della logica in senso stretto[modifica | modifica wikitesto]

Le proposizioni che presentano qualche tipo di incompatibilità logica non possono trovare alcun riempimento: espressioni come "cerchio quadrato" o "superficie contemporaneamente verde e non verde" possono essere solamente studiate riflettendo sul tipo di conflitto intuitivo che presentano, ma l'impossibilità di percepire un contenuto corrispondente è un'impossibilità a priori. Alcuni significati manifestano incompatibilità di tipo formale, come ad esempio tutte le proposizioni analitiche false, (secondo la definizione husserliana di analiticità, cioè validità per "oggetti in generale") e sono cioè in conflitto anche se ai termini della proposizione vengono sostituite delle variabili qualsiasi (es. "A e non-A") mentre altre espressioni presentano incompatibilità di tipo materiale, che sono invece in conflitto con qualche verità a priori che però non è possibile ricondurre al primo genere.[13] L'incompatibilità materiale è la violazione di una legge "eidetica", che riguarda cioè le proprietà essenziali di precise specie di oggetti. Un esempio è la proposizione "corpo non esteso", poiché il conflitto dipende dall'ontologia regionale del contenuto e non dalla forma del giudizio.[14]

Idealità del significato[modifica | modifica wikitesto]

Le leggi del significato e quelle della logica non sono quindi regole psicologiche, ad esse si deve dare il valore di idee in senso platonico, cioè di invarianti che permangono nel variabile (senza che per questo entri in gioco alcuna ipotesi metafisica sull'esistenza reale di queste in un mondo iperuranio).[15] Questo equivoco è importante da evitare poichè il rischio è di cadere nei problemi dello psicologismo che è sin dal principio il vero obiettivo polemico di Husserl. Se si pensa molte volte al teorema di Pitagora, questo resta lo stesso anche se i vissuti in cui viene intenzionato sono diversi, e a questa identità non si può attribuire un valore psicologico, essa non è contingente e non dipende dal fatto che ci si rivolga effettivamente alla tale legge. Le proposizioni vere quindi, non sono inventate, ma "scoperte", e il loro significato ha una natura astratta, ideale e a-temporale. Per spiegare come queste leggi possano essere il contenuto di un atto intenzionale pur restando qualcosa di distinto da esso, Husserl introduce il concetto di specie ideale, combinando in parte alcune teorie di Bolzano e Lotze. Una specie si presenta come un'unità intenzionale che può essere composta da molteplici caratteristiche, alcune di queste non sono separabili dal concetto stesso, e si dicono per questo "parti non-indipendenti" dell'atto intenzionale. Le parti che si presentano in una relazione di non-indipendenza con un'oggetto sono dette "momenti" di quell'oggetto, tutte le altre sono chiamate semplicemente "frazioni". I momenti di un'oggetto di natura ideale possono essere rintracciate e portate ad evidenza attraverso un metodo di analisi filosofica chiamato "descrizione fenomenologica".

Descrizione fenomenologica[modifica | modifica wikitesto]

Il metodo descrittivo elaborato da Husserl consente di individuare delle strutture essenziali ideali, ed è chiamato per questo anche "variazione eidetica". Essa consiste, a partire da esperienze di oggetti qualsiasi, nel rintracciare attraverso una libera variazione immaginativa di caratteri, ciò che in essi vi è di essenziale e a priori affinché possano essere riconosciuti come tali.[16] Con l’aiuto della fantasia il fenomenologo deve cercare di figurarsi gli oggetti in modo diverso da come si presentano effettivamente, fino a rintracciare quelle proprietà che non possono più essere variate senza che gli oggetti cessino di essere oggetti della loro specie. Queste proprietà così isolate, fondano l’oggettualità che le contiene e sono quindi parti non-indipendenti dell’oggetto. L’essenza, dunque, altro non è che la specie ideale di appartenenza di un certo oggetto, determinata grazie ad alcune sue caratteristiche invarianti.[17]

La descrizione riguarda anche le cosiddette relazioni di "fondazione", vale a dire i rapporti di dipendenza che sussistono tra un'esperienza ed altre esperienze, oppure tra un vissuto intenzionale e le parti di cui è composto.[18] Un'esperienza può essere la condizione di possibilità affinché altre diverse si diano, e a sua volta può dipendere da esperienze precedenti in modo necessario. Per esempio un'esperienza di piacere legata ad un particolare evento è fondata in modo necessario sull'esperienza della credenza che quell'evento si è realmente verificato. In questo caso un vissuto psicologico di piacere è fondato unilateralmente da un atto giudicativo (il giudizio cioè che l'evento piacevole è accaduto). In senso più generale le relazioni di fondazione fanno sempre emergere una legge essenziale, cioè una legge che rende evidenti le connessioni necessarie a priori affinché oggetti di diversa specie possano giungere a datità per una coscienza.

La descrizione fenomenologica può inoltre rintracciare quei "momenti" del vissuto intenzionale che lo caratterizzano come un atto di una certa specie (per es. desiderativo, memorativo, deliberativo, ecc.) e far emergere quindi ciò che Husserl chiama "qualità d'atto", cioè il modo in cui l'oggetto è intenzionato. Nel caso di vissuti linguistici ciò è riscontrabile nel tipo di espressione con cui ci si rivolge al significato, che può essere interrogativa, desiderativa o anche dispregiativa pur mantenendo lo stesso oggetto intenzionale. Quest'ultimo, considerato di per sè, rappresenta invece quella parte del contenuto intenzionale chiamata "materia d'atto".[19][20]

VISSUTO INTENZIONALE

(Es. Il mio percepire un albero)

OGGETTO INTENZIONATO

(Es. L'albero percepito)

CONTENUTO EFFETTIVO CONTENUTO INTENZIONALE
Sensazioni e contenuti psichici
(A) Qualità d'atto (B) Materia d'atto
(A) Oggetto nel modo in cui è intenzionato (B) Oggetto che è intenzionato

Idee: la svolta trascendentale[modifica | modifica wikitesto]

La Crisi: il mondo della vita[modifica | modifica wikitesto]

Dopo aver compreso che la Soggettività non è solo uno tra i dati dell'esperienza ma ne costituisce il fondamento stesso ed è la condizione di possibilità per un conferimento di senso alla realtà, Husserl si impegna in un'analisi più approfondita del processo di costituzione. Alcuni temi, pur essendo già varie volte emersi durante i suoi primi lavori, vengono approfonditi con maggior precisione e metodo nelle sue ultime opere. Riducendo l'esperienza ai suoi termini essenziali, Husserl rintraccia quattro elementi principali costitutivi della realtà: essi sono la Temporalità, il Corpo Proprio, l'Intersoggettività e il Mondo della Vita (LebensWelt).

Temporalità[modifica | modifica wikitesto]

L'analisi della coscienza temporale è importante per comprendere sia la relazione tra percezione e ricordo sia le sintesi di identificazione, cioè quei processi mentali che ci permettono di identificare un oggetto nonostante l'esperienza sia costantemente mutevole nel tempo e che perciò forniscono la condizione formale di possibilità del linguaggio stesso. Tale indagine tuttavia non si limita al darsi temporale degli oggetti, ma si estende a tutto ciò che concerne la coscienza interna del tempo e mira quindi ad una chiarificazione dell'autodatità della coscienza stessa. Si comprende dunque perché Husserl considerasse la coscienza del tempo come uno dei fondamenti dell'intera fenomenologia.

Questa analisi non prende in considerazione il tempo oggettivo, cioè quello databile e misurabile con cui abbiamo a che fare nella quotidianità, in parte perché non è filosoficamente accettabile limitarsi ad assumere che il tempo abbia questo statuto che appartiene al senso comune, e in parte perché la questione rilevante è interrogarsi sul perché il tempo si manifesti con una simile evidenza e immediatezza ad ognuno senza però che sia possibile indicarne l'essenza. A questo proposito è emblematico che Husserl cominci le sue Lezioni sula coscienza interna del tempo citando Agostino: "Che cos'è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so. Se qualcuno me lo chiede, non lo so".[21] Per andare oltre questa difficoltà è necessario nuovamente fare ricorso all'epoché e mettere tra parentesi le nostre convinzioni circa la natura e la struttura del tempo oggettivo. L'indagine deve partire dalla datità immediata dell'esperienza e per cominciare Husserl sceglie degli "oggetti" il cui senso può emergere solo attraverso l'estensione temporale, oggetti che hanno cioè una "durata" intrinseca: gli oggetti temporali. Un esempio di ciò sono le melodie, che non potrebbero darsi se si fosse coscienti solo di ciò che viene esperito in un "ora" istantaneo e irriducibilmente presente. Se la coscienza del tempo non fosse altro che un susseguirsi di istanti puntuali isolati come perle di una collana non saremmo in grado di avere nessuna esperienza di oggetti temporalmente estesi e durevoli. Poiché però oggetti simili sì danno alla coscienza, Husserl ritiene che il darsi del tempo vada piuttosto pensato come un flusso che trattiene l'immediato passato ed è proteso verso l'immediato futuro. La coscienza non è cioè rinchiusa nell'istante, non è puntuale ma è aperta verso entrambi gli orizzonti. L'ascolto di una sequenza di note può essere percepita come una melodia solo perchè all'ascolto di una nota ancora "risuonano" ancora alla coscienza le note precedenti mentre ci si protende nell'attesa della nota successiva. Se improvvisamente la melodia cambiasse tono o una canzone stonasse, noi ci troveremmo per un attimo disorientati perché eravamo già in attesa di un certo suono, saremmo come chi salendo le scale compisse un passo in più senza trovare il gradino. Un ulteriore esempio può essere quello dato dal lancio di una palla, se rimbalzando sul terreno questa prendesse una direzione anomala noi resteremmo sorpresi sul momento perché la nostra coscienza attendeva un certo movimento che non si è verificato e verso il quale ci eravamo disposti. Ciò testimonia il fatto che una tensione verso l'immediato futuro e la ritenzione dell'immediato passato sono una componente eidetica della coscienza stessa. E' opportuno sottolineare che tanto la protenzione quanto la ritenzione fanno parte del presente, ed anzi lo costituiscono in quanto tale, ma poiché noi abbiamo anche una coscienza della "fase-ora" dell'oggetto, Husserl ritiene di denominare questa coscienza come impressione originaria, che non è la "fase-ora" stessa, la quale come abbiamo detto non si dà, ma ne è appunto la percezione che abbiamo di questa fase come concetto, come struttura invariante del nostro pensare il tempo.[22]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Edmund Husserl, Ricerche logiche, Milano, il Saggiatore, 2015, p. 212, ISBN 9788842821519.
  2. ^ Husserl 2015, Prima, § 7
  3. ^ Husserl 2015, Prima, § 8
  4. ^ Husserl 2015, Quinta, § 13
  5. ^ Costa, Franzini, Spinicci, 2002, pp. 94-104
  6. ^ Nelle Ricerche logiche sono ancora ammessi anche vissuti non intenzionali, come ad esempio il dolore, ma in seguito l'intenzionalità sarà qualificata come caratteristica essenziale dell'esperienza.
  7. ^ Husserl 2015, Prima, § 15
  8. ^ Husserl, 2015, Prima, § 17
  9. ^ Franz Brentano, La psicologia da un punto di vista empirico, Roma, Laterza, 1997, p. 154, ISBN 9788842051862.
  10. ^ John Stuart Mill, 2, in Logica, Libro I.
  11. ^ Husserl 2015, Prima, § 16
  12. ^ Husserl 2015, Prima, § 15
  13. ^ Husserl 2015, Terza, § 11
  14. ^ Vincenzo Costa, Elio Franzini e Paolo Spinicci, La fenomenologia, Torino, Einaudi, 2002, pp. 72-81, ISBN 9788806161231.
  15. ^ Costa, Franzini, Spinicci, 2002, pp. 86-87
  16. ^ Edmund Husserl, 87, in Esperienza e Giudizio, Milano, Bompiani, 2007, pp. 831-851, ISBN 9788845259326.
  17. ^ Dan Zahavi, La fenomenologia di Husserl, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011, p. 52, ISBN 9788849829532.
  18. ^ Husserl 2015, Quinta, § 18
  19. ^ Husserl 2015, Quinta, § 20
  20. ^ Christian Beyer, Edmund Husserl, su plato.stanford.edu, Stanford Encyclopedia of Philosophy, 7 Aprile 2015.
  21. ^ Agostino, Confessioni - libro 11 capitolo 14
  22. ^ Dan Zahavi, La Fenomenologia Di Husserl, Rubbettino Editore(2011)-pag 115