Utente:Laura.piaia/brefotrofioTreviso

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VICENZA, Istituto Infanti Abbandonati – Gabinetto di elioterapia artificiale (primi anni ’20).

Storia del brefotrofio di Treviso[modifica | modifica wikitesto]

Sartor, I. (2010) pagg. 17-31


La confraternita di Santa Maria dei Battuti di Treviso nasce probabilmente nel 1261 con il sostegno del vescovo di Treviso Alberto da Vicenza. Nel primo Trecento contava già 200 membri e aveva ottenuto il pubblico riconoscimento dall’autorità ecclesiastica e civile per il sostegno del suo operato che consisteva nell’aiutare i bisognosi. Inoltre, statuti confraternali del 1400, riprendendo le precedenti edizioni, affermavano chiaramente che l’associazione era soggetta alla giurisdizione e alla protezione del comune di Treviso[1] Affinché la confraternita riuscisse a portare a termine il suo proposito, ricevette delle donazioni che, incentivate dall’operato dei confratelli, aiutarono i Battuti ad istituire un Ospedale in città. L’ubicazione e lo sviluppo del complesso ospedaliero sono strettamente legati alla storia politica della città. Nel 1329 quando gli Scaligeri occuparono Treviso decisero di costruire una nuova fortificazione nel centro della città e obbligarono i battuti a demolire la primitiva sede dell’ospedale per realizzare il progetto. L’imponente complesso ospedaliero sorse alcuni anni più tardi in un famigerato quartiere di Treviso. Alla fine della costruzione l’ospedale ospitava ammalati, anziani e bambini abbandonati. In questo periodo la Chiesa cominciò a manifestare la sua approvazione: incoraggiava i fedeli a sostenere imprese caritatevoli e lei stessa contribuiva concedendo indulgenze. Nei secoli successivi, il supporto della chiesa nei confronti della confraternita non si manifestò solamente attraverso i numerosi legati ma soprattutto attraverso la redazione di Bolle pontificie che confermavano i privilegi e le prerogative della confraternita fino ad arrivare alla scomunica delle persone coinvolte in truffe a danno dell’ospedale. Nei decenni a venire la struttura ospedaliera si trovò in difficoltà con l’autorità veneziana, poiché l’ospedale voleva preservare una propria autonomia ma l’amministrazione fu sottoposta al controllo di Venezia che attuò una serie di riforme provocando numerosi disordini gestionali fino al 1497 quando un procedimento legale, che consisteva in due lettere ducali, negò al podestà di Venezia di intromettersi nelle questioni amministrative dell’ospedale. Successivamente nel 1607 l’ospedale fu colpito da un incendio, che provocò numerosi danni, e venne ricostruito. Nel corso del IX secolo, con l’età napoleonica, l’organizzazione dell’ospedale assume un nuovo aspetto. Napoleone statalizzò tutte le strutture italiane rendendole pubbliche. La direzione dell’ospedale passò quindi dalla confraternita alla congregazione di carità di Treviso. Nel corso dei secoli i compiti e le funzionalità dell’ospedale rimasero molti e poco definiti: ospitava tutti coloro che avevano bisogno, adattandosi alle esigenze causate dal momento storico. Nel Novecento infatti, durante le due guerre mondiali, all’interno dell’ospedale venne aperta un’ala di accoglienza per i soldati feriti.

Complesso Ospedaliero[modifica | modifica wikitesto]

L'ospedale in età moderna p. 190 - 193

L'ubicazione e lo sviluppo del complesso ospedaliero del brefotrofio di Treviso sono strettamente legati alla storia politica della città: per esempio nel 1329 gli Scaligeri costrinsero i Battuti a demolire la prima sede dell'Ospedale.

Nel corso degli anni, si vide un progressivo ingrandirsi del complesso che ora includeva reparti per uomini e donne ammalati,uno per gli ospiti più anziani, un'ala per i bambini abbandonati, una stanza per le serve, una cancelleria, la stanza del priore, le cucine le lavanderie, le botteghe del calzolaio e del fabbro, aree verdi, stalle mulini e pozzi

La struttura più importante più importante del complesso era l'edificio di culto, ovvero la chiesa situata all'interno del quartiere ospedaliero, che rappresentava il centro della religiosità confraternale, aperto anche a chi era ricoverato all'interno della cittadella ospedaliera.

Il quartiere occupato dagli edifici ospedalieri era un'isola delimitata dai fiumi Sile e Cagnan, con strade e mura che segnavano il confine tra l'interno del complesso e il mondo esterno. Al di sopra della porta principale, come simbolo di autonomia, si ergeva la torre dell'orologio.

Sfruttando la posizione strategica dell'ospedale nel tessuto urbano, i Battuti costruirono un molo per le proprie esigenze, rendendolo disponibile ai mercanti locali in cambio di una tariffa da pagare. Questo molo venne rifatto in pietra, in seguito all'approvazione del progetto da parte delle autorità veneziane, indispensabile per qualunque progetto di modifica o fabbricazione riguardante le vie d'acqua.

Confraternite[modifica | modifica wikitesto]

BIANCHI F. "custode di mio fratello"

SARTOR I. "la famiglia confraternale" Cosa sono e a cosa servono in breve, rimando alla pagina principale
Collegamento con i brefotrofi

Le confraternite erano associazioni non sovvenzionate dallo Stato, che riunivano membri sulla base di vincoli di tipo religioso e caritativo. Lo scopo di tutti i confratelli e consorelle era estendere all'intera comunità di appartenenza la concordia cristiana, in modo che la vita associativa seguisse un modello di famiglia spirituale che imitava quello della famiglia carnale. (Confraternita:chiesa cattolica)





Battuti[modifica | modifica wikitesto]

Presentare i Battuti ed il collegamento con il brefotrofio di Treviso


Il movimento dei battuti nacque verso il 1260 a Perugia, guidati dal frater Raniero Fasani (che pare non facesse parte di nessun ordine religioso) si diffuse celermente in tutta l'Italia e in alcune aree europee, coinvolgendo un grande numero di persone. Il loro nome deriva dalla loro usanza di flagellarsi a sangue con la frusta durante le processioni, allo scopo di espiare i peccati propri e dell'umanità intera.

Percorso dell'esposto[modifica | modifica wikitesto]

L'Ospedale in età moderna "I trovatelli" p. 203 - 207

PELLEGRINI-GORNI (CAPITOLO 1 e pp.32-33-34-35-36-37)

CORSINI, C.A: (1996) Infanzia e famiglia nel XIX sec. ecc. -> pagine 265-270


I bambini abbandonati, venivano depositati in un dispositivo girevole di forma cilindrica (la cosiddetta Ruota degli esposti o “cunetta”). Erano inviati a Treviso da altri ospedali o dalle filiali di Conegliano, Serravalle, Belluno, Feltre, Oderzo e Castelfranco, accompagnati da un minimo di documentazione redatta dai parroci o dai comuni. Una volta accolti si forniva loro una immediata assistenza, gestita dalla responsabile dell’accoglimento del neonato, chiamata Madre delle Nene (Bruttocao p.72). Ella doveva registrare l’esposto e battezzare coloro che non si pensava avessero ricevuto il sacramento (in effetti i brefotrofi erano anche una istituzione che contribuiva a salvaguardare la salvezza dello spirito dei bambini abbandonati prima del battesimo). Solitamente ad ogni trovatello in genere descritto così: “Filius ignoti, filius sclave, filius meretricis, cuius pater ignoratur, Deus solus scit ”, veniva affiancato un padrino scelto fra il personale dell’ospedale. Successivamente l’incaricata aveva il compito di marchiare le femmine con un bollo in piombo e i maschi con un segno sulla spalla raffigurante lo stemma della Confraternita (come esposto nell’art.6 della costituzione della confraternita). Inoltre ad ogni bambino veniva appesa al collo una medaglia inamovibile con inciso da un lato il numero d’entrata nel brefotrofio, compreso l’anno di accettazione, dall’altro l’iscrizione Brefotrofio di Treviso. Nei primi cinque anni di vita dell’esposto vengono, inoltre, conservati gli indumenti e gli effetti personali, marchiandoli con lo stesso numero presente nella medaglia in modo tale che, nel caso in cui i genitori intendano riprendersi il figlio, possano farlo senza eccessive difficoltà di riconoscimento.

(Bruttocao Tosi p 51) Per quanto riguarda l’educazione, i bambini maschi e femmine, dai 5 ai 7 anni, ricoverati all’interno dell’ospedale, erano affidati alle cure delle balie, nutrici e bambinaie. Gli esposti erano impegnati dapprima in lavori di tessitura e, nonostante non sia ‘possibile stabilire il livello d’istruzione garantito ai trovatelli, forse si trattava solo di nozioni di base per leggere e far di conto, ma è comunque importante considerare che questi insegnamenti avvenivano fuori dagli ambienti scolastici ed erano rivolti ai bambini poveri. Inoltre l’acquisto dei libri d’abaco da parte dei Battuti rivela che alcuni fanciulli accedevano anche ad un’ istruzione commerciale, quantunque non sia chiaro dove fosse impartita.’ (Sartor pp206-207) Per quanto riguarda le nozioni di matematica potevano essere insegnate a partire dall’apprendistato professionale, infatti i maschi avevano la possibilità di fare un tirocinio lavorativo a Treviso in una delle molte sedi di attività produttive che erano presenti nella città; mentre le donne invece ricevevano un’educazione per formare le future mogli e madri. Le ragazze risiedevano nel secondo piano dell’istituto dove, sorvegliate dalla leadership maschile della confraternita, erano tenute, addirittura, sotto chiave, per controllare la loro sessualità. Le giovani donne inoltre potevano uscire dell’ospedale solo dopo il compimento del decimo anno d’età, dovendo comunque richiedere un permesso. Venivano inoltre usate dalla confraternita durante le cerimonie religiose per rappresentare i valori di castità, virtù e devozione nei confronti della comunità; queste infatti seguivano sani principi morali ed obbligate a vestire una veste rossa con un velo bianco sul capo. Gli esposti risiedevano nel brefotrofio fino ai 18 anni per quanto riguarda i maschi, coincidente con l’età adatta per il servizio militare, mentre le fanciulle, fino ai 21 anni con il raggiungimento di una sistemazione lavorativa e il conseguimento del matrimonio, per il quale venivano attribuite di dote. ‘molto spesso chi non veniva rilevato da qualcuno oppure veniva restituito all’istituto, se donna, si occupava nella stessa istituzione con mansioni amministrative: segreteria, contabilità; oppure di servizio, cucina, manutenzione, custodia, guardaroba. Se uomo: sorveglianza, riparazione, trasporto, facchinaggio, artigianato. Anche per Treviso, come per Venezia, valevano le stesse norme che prevedevano la possibilità, per gli esposti dodicenni che volessero avviare una propria attività artigianale, di essere esentati dalle spese.’(Bruttocao pp51-52) Per coloro invece che soffrivano di difetti fisici o infermità e dunque erano incapaci di condurre una vita autonoma, in seguito al compimento del 12esimo anno di età, venivano collocati presso famiglie affidatarie.

Condizioni di vita[modifica | modifica wikitesto]

Visconti, P. Pag. 158; 161-166

Contrassegni e segnali[modifica | modifica wikitesto]

BRUTTOCAO L. da pag.37 a 47


nell'Ospedale di Santa Maria dei Battuti era solito contrassegnare i bambini accolti con "ferro fuocato in carne" per la identificazione, chiamato nella parlata veneziana "segno dei bastardi". Un altro sistema prevedeva nel legare al polso o al collo del neonato un medaglione di piombo con sopra incisi i dati personali. Qualora il nome non fosse stato segnalato, cosa diffusa soprattutto tra i non battezzati, veniva dato dall'istituto insieme al cognome, evitando quelli ridicoli o quelli appartenenti a famiglie conosciute per non far sospettare l'origine.

Condizioni sanitarie[modifica | modifica wikitesto]

PELLEGRINI-GORNI(CAPITOLO 2)soprattutto assistenza alle madri e agli esposti CORSINI, C.A. (1996) Infanzia e famiglia nel XIX secolo ecc. pagine 257-265 -> Si parla di mortalità infantile, cause della stessa (condizioni igieniche precarie, baliatico "mercenario" ecc.)

Norme sugli esposti/condizione infantile/donne lavoratrici[modifica | modifica wikitesto]

Capitolo IV "Legislazione e giurisprudenza in materia di esposti"

Capitolo VI "Infanzia abbandonata e Parlamento"

CORSINI, C.A. (1996) Infanzia e famiglia nel XIX sec. ecc. -> pagine 280-281 -> norme donne lavoratrici

Capitolo V "Aspetti Amministrativi" (Si parla di spese comunali e dei brefotrofi, non di leggi)

PELLEGRINI-GORNI (CAPITOLO 3) si parla di dati e statistiche degli esposti

Figure di riferimento per gli esposti[modifica | modifica wikitesto]

Parroco[modifica | modifica wikitesto]

BRUTTOCAO L. da pag.47 a 53

Balie e baliatico[modifica | modifica wikitesto]

Fonti: BRUTTOCAO-TOSI da pag.103 a 130

Interessante ma da analizzare con attenzione http://www.massimolizzi.it/2014/01/beatriz-preciado-prostituzione-baliatico.html

Tesi sul baliatico della soc inglese -> http://www.cologna.eu/fabio/doc/TVO21325.pdf

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Con il termine baliatico si indicano il ricorso ad una balia per lo svezzamento della prole, oltre al tempo impiegato ed il compenso pattuito. La balia era una figura prettamente femminile, di bassa estrazione sociale, preferibilmente di origini rurali, che, dietro un certo compenso, allattava i figli di altre famiglie o i bambini dei brefotrofi. Per la scelta della balia le famiglie borghesi utilizzavano alcuni criteri fisici e caratteriali: erano preferite donne contadine, perché più robuste, more e mai rosse, poiché si credeva che il loro latte fosse acido, sposate e con figli, di costumi sobri e sani, di carattere mite e paziente. Per quanto riguarda le modalità, invece del baliatico, la nutrice, in prossimità del parto o immediatamente dopo, quando cioè aveva la possibilità di allattare, poteva recarsi in città presso la famiglia o il brefotrofio richiedente o accogliere nella propria abitazione il bambino da allevare. Se la balia si recava nei brefotrofi per un certo numero di ore al giorno, si trattava di baliatico "esterno" o "mercenario" mentre se risiedeva stabilmente nella struttura era definito "interno". I richiedenti pagavano alle nutrici la cosiddetta mesata, cioè un salario mensile e poichè nella Casa degli Esposti di Treviso era prevalentemente ricercato il baliatico interno esso era maggiore: per esso la mesata corrispondeva a 24 lire mentre per quello esterno si scendeva vertiginosamente a 8,64 lire[2]. Tra fine 800' e inizi del 900' si generò una vasta discussione nella società del tempo riguardo l'assunzione di una balia: essa venne vista come una deresponsabilizzazione dei genitori richiedenti, inoltre la balia stessa era costretta a trascurare la sua stessa prole per un periodo variabile dai 12 ai 14 mesi, salvo inconvenienti, per esempio la morte prematura del bambino allattato o la perdita improvvisa del latte.

--- (da sistemare e inserire)

Secondo la storica Yvonne Knibiehler, la causa della scomparsa del baliatico non va cercata tra le critiche illuministe, che consideravano il ricorso a delle balie come una pratica innaturale, ma piuttosto nella diffusione del biberon.

La diminuzione del baliatico la si può attribuire anche alla progressiva diminuzione della richiesta da parte delle famiglie aristocratiche e borghesi, influenzate dalle convinzioni illuministe, di nutrici ed il diventare balie veniva preso in considerazione dalle donne povere, che ricorrevano al baliatico a causa della mancanza di fonti di sostentamento. Sfortunatamente queste donne non rispondevano ai criteri di ricerca delle famiglie benestanti, che cercavano contadine sane e robuste.

Nel suo saggio Fra norma e cura. Madri e padri nel secolo dei lumi, Carmela Covatto fa risalire il declino del baliatico al’ elevato tasso di mortalità infantile. Infatti, fin dal Quattrocento medici e predicatori avevano criticato il ricorso alle balie, critiche che vennero riprese dai Philosophes (per esempio Jean-Jacques Rousseau e Pietro Verri) che suggerirono delle prescrizioni da imporre alle donne, viste unicamente come madri, come il dovere di allattare i propri figli per un corretto sviluppo e, di conseguenza, limitare il tasso di mortalità infantile, che all’epoca era molto elevato.

Questo alto tasso di mortalità era dovuto principalmente alle pessime condizioni igieniche che portarono a malattie incurabili. 

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ SARTOR, I. S. Maria dei Battuti di Treviso. L’ospedal grando. Secc. XIII-XX, vol. I, Terra ferma, Crocetta del Montello (TV) (2010)
  2. ^ Cfr. L. Pellegrini - M. Gorni (1974) L'infanzia abbandonata del secolo XIX, La nuova Italia, Firenze, p. 20.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]