Utente:Giurista/Oscar Mammì

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Isaiah Berlin (19095 novembre 1997) è stato un filosofo, politologo e diplomatico britannico, teorico di un liberalismo inteso soprattutto come limitazione dell'ingerenza statale nella vita sociale, economica e culturale dei singoli e delle comunità.

Lo scorso , nel silenzio di tanti media italiani, è caduto il decimo anniversario della scomparsa di Sir Isaiah Berlin (-), intellettuale e diplomatico, pensatore liberale tra i più influenti del ventesimo secolo e protagonista di rilievo della scena internazionale. Dalla fuga dalla Russia rivoluzionaria al sostegno all'ingresso degli Usa nel secondo conflitto mondiale, dalla fondazione di Israele alla Guerra fredda, Berlin fu coinvolto nelle principali vicissitudini che segnarono il «Secolo breve» senza mai cedere, come recentemente gli ha riconosciuto Ralf Dahrendorf, alle lusinghe dei totalitarismi. Potrebbe farne un profilo?

Tommaso Milani, tommasomilani@hotmail.com


Isaiah Berlin raccontò un giorno di avere visto la rivoluzione bolscevica, nel 1917, dalla finestra della casa di Pietrogrado in cui la sua famiglia si era trasferita dopo avere lasciato la Lettonia qualche anno prima. Non sappiamo quali pensieri quello spettacolo abbia suscitato nella mente di un ragazzo, ma sappiamo che il comunismo e la libertà divennero, dopo gli studi in Gran Bretagna, il tema centrale delle sue riflessioni e dei suoi saggi. Tutto cominciò, quasi casualmente, quando un editore, desideroso di pubblicare una biografia di Karl Marx, gli chiese se avrebbe accettato di sobbarcarsi a quella fatica. La proposta gli sembrò una sfida. Aveva assistito alla nascita del primo Stato socialista del mondo (come disse Lenin quando annunciò il successo del colpo di Stato di Pietrogrado), ma non aveva mai letto le opere del suo profeta. Poiché l'edizione tedesca del Capitale, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, era diventata introvabile, Berlin lesse Marx in russo, la lingua della sua infanzia. La biografia del filosofo di Treviri divenne così un'occasione per immergersi nuovamente nella storia e nella cultura del Paese da cui i suoi genitori erano partiti. Ma era ormai un giovane studioso inglese, attratto dal liberalismo di Locke e dall'evoluzione del pensiero politico europeo nei due secoli seguenti. Questa combinazione di Marx, Russia, comunismo, liberalismo e socialismo divenne il fulcro dei suoi studi. Dopo avere terminato il saggio su Marx ed essere divenuto, grazie a quel libro, uno dei più promettenti giovani filosofi di Oxford, cominciò a sviluppare un liberalismo critico, allergico alle seduzioni della democrazia giacobina e agli eccessivi interventi dello Stato nella cosa pubblica. Alla libertà positiva dei democratici e dei giacobini contrappose una libertà che definì «negativa», concepita come assenza di costrizioni e limitazione del potere statale. Questo liberalismo radicale e coraggioso lo rese poco simpatico alla cultura d'ispirazione marxista e progressista dei Paesi dell'Europa continentale. In Italia, sino alle edizioni Adelphi, i suoi libri ebbero la sorte di quelli di altri pensatori liberali come Popper e von Hayek, e apparvero presso un editore intelligente ma «minore» (Armando). Fu scoperto, letto e apprezzato soltanto quando terminò, nella seconda metà degli anni Ottanta, il lungo inverno delle ideologie messianiche. Lei ricorda nella sua lettera, caro Milani, che Berlin fu anche diplomatico. Per la verità fu soltanto un diplomatico di complemento, inviato a Mosca dal governo laburista dopo la fine della Seconda guerra mondiale per sondare gli umori e gli orientamenti della intellighenzia sovietica. La pagina più affascinante di quella esperienza fu una lunga conversazione notturna con Anna Achmatova nel suo piccolo appartamento di Leningrado. Nelle pagine in cui descrisse quell'incontro Berlin disse che parlarono di Pasternak, di Gumiliov (il primo marito di Achmatova, fucilato dai bolscevichi), delle grandi purghe, della Guerra fredda e di Modigliani che Anna aveva conosciuto e amato a Parigi. Ancora mi chiedo, rileggendo quelle pagine, se Berlin non abbia omesso dal racconto, con la discrezione di un gentiluomo, l'amore che forse unì per una notte un grande filosofo e una grande poetessa.