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Giampaolo Casarotto[modifica | modifica wikitesto]

Giampolo Casarotto è un alpinista italiano nato a Caldogno, Vicenza, l' 11 ottobre 1956, secondogenito di 3 fratelli. La mamma Rosina Basso è casalinga e il papà Giovanni era il norcino del paese.

Al cospetto del Chogolisa

Giampaolo vive la sua infanzia, degli anni del boom economico che l'Italia sta vivendo, nella campagna vicentina, lontano dalle città industriali del nord. Affronta le "normalità" di quel tempo per chi non vive in una grande città: lui e il fratello maggiore, insieme ad un paio di coetanei della zona, tutte le mattine percorrono i due chilometri che separano il paese dalla scuola materna. Da soli, a piedi in tutte le stagioni. Con le elementari e poi le medie sarà più fortunato: saranno meno lontane!

A quindici anni inizia a lavorare come apprendista tipografo, si procura una bicicletta e la usa per recarsi al lavoro in un'azienda di Vicenza. A sedici anni frequenta un corso con il CAI di Vicenza, la sua passione per la montagna trova una ragion d'essere. Le Piccole Dolomiti Vicentine diventano la sua prima palestra di esperienza. L'arrampicata su roccia in estate, e i Vaji, con il loro ghiaccio, in primavera.

Da lì inizia la sua esperienza alpinistica prima in Dolomiti: gli esordi lo vedono in cordata con Piergiorgio Franzina e Piero Fina, due accademici del Cai di Vicenza. Quest’ultimo diventa per Giampaolo il suo mentore e punto di riferimento nei primi anni di montagna. Più tardi l’incontro con il suo omonimo Renato (con il quale non ha nessuna parentela) segna un’altra tappa significativa nella carriera di Giampaolo. Condivide con Renato Casarotto alcune salite estremamente formative, anche se Giampaolo usa dire di essersi “… limitato a fargli da portatore di materiale per le sue salite alla Busazza (Civetta)”[1]. Si lega in cordata anche con altri alpinisti di riferimento della scena Vicentina, come Diego Campi, Franco Perlotto, Antonio Casagrande e Piero Radin. Sarà proprio Piero Radin nel 1980 ad invitarlo in una spedizione sull’Everest. In quell'occasione Giampaolo raggiungerà solo quota 7300 metri, ma quei tre mesi saranno la scintilla che accenderà la sua passione e la sua esperienza Hymalyana. Occorreranno però 19 anni anni prima che Giampaolo ritorni in alta quota, ma in questo tempo amplia la sua passione, le sue esperienze e le sue amicizie. Si specializza diventando istruttore CAI roccia e Sci alpinismo, cresce la sua esperienza collezionando nel suo curriculum tutte le grandi classiche di roccia dell'arco alpino come:

ROCCIA
  • Torre Venezia (diverse vie)
  • Bernina (Biancograt)
  • Tofana di Rozes (diverse vie)
  • Presanella (Sperone Nord)
  • Badile (Spigolo nord e Cassin)
  • Marmolada parete sud (diverse vie)
  • Civetta nord-ovest (diverse vie)
  • Ortles (parete nord)

SCIALPINISMO

  • Trofeo Mezzalama
  • Sellaronda
  • Trofeo Cima d'Asta
  • Trofeo Cima Marmotta
  • Trofeo Transcavallo
Ortles - Parete Nord

La sua avventura con l'alta montagna ricomincia nel 1999 con una spedizione in Perù, dove Giampaolo conquisterà le vette dell' Urus (5450 m.), Ishinca (5530 m.), (Huascaran sur 6768 m.), Pisco (5800 m.), Alpamayo (5950 m.). Nel 2000 è di nuovo in Hymalaya e sale il suo primo ottomila il MANASLU (8163 m.), nel 2001 tenta senza successo il Gasherbrun II. In una recente intervista alla domanda se non raggiungere un ottomila fosse un fallimento Giampaolo ha risposto "No. Una delusione perché non sei riuscito a raggiungere l’obbiettivo, ma non un fallimento. Io sono sempre partito sapendo che c’era il cinquanta per cento di possibilità di andare in cima. Ho fatto dieci viaggi agli ottomila con sei vette raggiunte, per cui mi ritengo fortunato. In ogni caso mi sono sempre portato a casa una grande esperienza per quello che ho vissuto in mezzo ai ghiacci e alle persone."[2]

Bernina - Biancograt

Nel 2002 conquisterà il suo secondo ottomila il CHO OYU (8201 m.), in una spedizione scientifica insieme a Marco Peruffo, conosciuto nel 1989 e con il quale ha condiviso molte salite. Questa conquista segnerà un tappa importante per la ricerca medica portando Marco, primo italiano diabetico in vetta ad un ottomila.

Ed è proprio questo l'alpinismo che emerge dal carattere di Giampaolo: un alpinismo non fine a se stesso, ma parte di un processo di crescita intimo e personale. L’esperienza totalizzante del viaggio. Conoscere un altro paese. Immergersi in altri mondi e culture, assorbire modi, usi e costumi del vivere diverso dal proprio quotidiano. La montagna Costituisce per Giampaolo "la scusa" del suo andare, l'obiettivo finale sì, ma di un viaggio più complesso e appagante. Dirà: "Le persone sono portate a pensare che il momento più bello di una scalata sia l’arrivo in vetta. Sì, anche, a volte ti viene da piangere quando arrivi lì, ti senti appagato sei contento, ma paradossalmente i momenti più belli dei miei viaggi in alta quota li ho vissuti in basso, nei villaggi. Ho un ricordo indelebile di quella volta in Karakorum; stavamo scendendo dal campo base e alla vista di uno spiazzo d’erba abbiamo steso un telo per terra e siamo rimasti lì tutta la notte a guardare le stelle. Dopo giorni e giorni di bianco, assaporare il colore e il profumo dell’erba è stato meraviglioso." Anche se poi "... giungere in vetta a una montagna di ottomila metri e vedere la terra curva è un’emozione che ti toglie il fiato."[3]

Questo suo modo di approcciarsi alla montagna gli farà guadagnare il soprannome di "GANDALF". A darglielo sarà Cristina Castagna "El Grio" (il Grillo) che conosce nel 2003 durante il tentativo sull'Everest versante Nord. Con Cristina condividerà molte scalate tra cui il MAKALU (8481 m.) che vedrà Cristina come prima donna italiana su quella vetta. L'ultima volta che scalano insieme lo fanno sul Broad Peak (8047 m.) conquistando la vetta, ma sulla via del ritorno Cristina precipita da un camino e perde la vita. Giampaolo ricorda quel tragico fatto così: "Nonostante fosse stata una salita difficile dal punto di vista fisico, aveva nevicato e nella neve fresca abbiamo dovuto battere traccia, fino alla vetta era andato tutto bene. Avevamo fatto tardi, era ormai sera, quando stavamo scendendo con una corda fissa lungo un breve camino roccioso, a circa 7900 metri. C’era poca luce, io ero davanti, lei subito dietro. La corda fissa finiva in un ripido lenzuolo di neve. Ad un certo punto mi accorsi di essere sceso qualche metro di troppo rispetto le tracce di salita, così sono tornato sui miei passi e ho ripreso la traccia giusta. Cristina fece il mio stesso sbaglio ma invece di risalire decise di attraversare questo lenzuolo di neve per raggiungermi. Poi la vidi scivolare via. Forse uno zoccolo di neve sui ramponi, una lastra di ghiaccio… «Pianta la piccozza» le urlai. Lei ha cercato di girarsi, fare qualcosa, ma c’era subito il salto ed è volata nel vuoto. Sono sceso per cercarla, ho visto le tracce di sangue, ho incontrato una guida che era nei pressi del suo corpo e mi disse che non c’era più niente da fare."[4]

Il suo curriculum di alta quota conta, oltre alle cime peruviane del '99 già citate anche:

1988 Nimaling Peak 6100 m.
Giampaolo al campo base del Broad Peak
1993 punta Neliot (Monte KENIA) 5189 m.
2000 Manaslu 8163 m.
2002 Cho Oyu 8201 m.
2005 Mc Kinley 6194 m.
Piz Lenin 7134 m.
2006 Lhotse 8501 m.
2007 Dhaulagiri 8172 m.
2008 Makalu 8481 m.
2009 Aconcagua 6962 m.
Broad Peak 8047 m.
2010 Monte Elbrus 5642 m.
2014 Kilimangiaro 5895 m.
2017 Khan Tengri 7010 m.

Giampaolo vive a Vicenza con sua moglie Silvia, sua compagna di molte salite: insieme hanno conquistato tra gli altri il Khan Tengri nel 2017 , e ai loro figli Marco e Chiara.

Continua a vivere circondato dagli amici di sempre e a scalare la sua montagna con l'approccio che lo ha sempre contraddistinto. "I sogni sono sempre tanti e qualcuno riesco ancora a realizzarlo. Il fascino dell’alta quota è sempre presente nei miei pensieri e se non sarà un ottomila, comunque continuerò a salire sui monti fino a che il fisico me lo permetterà. I momenti vissuti in montagna hanno qualche cosa di affascinante:  il corpo e la mente si riappacificano con il mondo e quindi donano energia per continuare a guardare ciò che mi circonda con serenità e ottimismo."[5]