Utente:Daniele Diprè/Sandbox
«La guerra di montagna, che fu guerra barocca, dovette, per forza di cose essere famelica, pantagruelica, insaziabile. Divorò in continuazione, e in misura crescente, uomini, animali, piante, edifici, macchine, attrezzi, suppellettili, materie prime, risorse naturali, suolo. E dovette costruire per distruggere. E lo poté fare, militarizzando l'economia e la società, dentro la quale si era annidata.»
Con l'entrata in guerra dell'Italia si aprì un nuovo fronte: quello alpino, che si estendeva dal passo dello Stelvio fino all'attuale Slovenia e separava le due potenze nemiche, cioè Impero austro-ungarico e Regno d'Italia. Ciò portò ad un nuovo tipo di guerra mai sperimentato prima; infatti le operazioni belliche si svolsero anche in condizioni estreme, arrivando a combattere su vette che superano i 3000 metri di quota. Per mantenere una linea del fronte solida ed efficiente sulle vette più alte lo sforzo fu enorme e necessitò di un vasto impiego di mezzi, animali ma soprattutto uomini.
Per questo motivo il comando austriaco decise di "militarizzare", cioè sfruttare a scopi bellici la manodopera della popolazione che rimase nelle valli adiacenti al fronte (anche donne e bambini), ma nella maggior parte dei casi si dovette ricorrere allo sfruttamento dei prigionieri catturati sul fronte orientale. Questi uomini erano impiegati nei lavori più duri e rischiosi, come la costruzione di teleferiche e sentieri che servivano a far giungere in prima linea truppe e armamenti (non rispettando la Convenzione dell'Aia del 1907, che vietava l'impiego dei prigionieri a scopi bellici[2]), ma in realtà si trovavano anche nelle retrovie e addirittura nelle valli a svolgere lavori agricoli e di manovalanza, prendendo il posto di coloro che dovettero partire per il fronte. Nel 1915 in tutto il Tirolo si trovavano circa 27.000 prigionieri[3], dopodiché si perse presto il conto sia dei vivi che dei morti. Questi uomini presero parte in gran numero a importanti opere in fondovalle, ma anche sul fronte di montagna, come la realizzazione del sistema di teleferiche lungo il Sella, il fronte dell'Adamello e più in generale lungo tutta la linea del fronte. Russi e serbi erano impiegati tutto l'anno anche in prima linea, tuttavia non senza critiche; infatti il giovane sottotenente austriaco Felix Hecht, che morì nel 1917 sul Corno di Cavento (nei pressi di cima Carè Alto), sottolineò l'assurdità dell'utilizzo dei prigionieri in posizioni così impervie e strategiche, infatti, colpiti dalla fame e dal freddo cercavano quotidianamente di scappare, arrivando talvolta a fornire indicazioni agli alpini italiani che si trovavano a poche centinaia di metri in linea d'aria. Proprio nella zona dove combattè Felix Hecht, presso l'attuale rifugio Carè Alto, i prigionieri russi costruirono una chiesetta ortodossa presente tutt'ora.[4][5]
- ^ Diego Leoni, La guerra verticale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2015, p. 324.
- ^ Diego Leoni, La guerra verticale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2015, p. 337.
- ^ Diego Leoni, La guerra verticale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2015, p. 337.
- ^ Diego Leoni, La guerra verticale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2015, pp. 337-342.
- ^ Marco Abram, Gli ultimi: prigionieri serbi e russi sul fronte alpino, in Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, 2 novembre 2018.