Utente:Daniele Diprè/Sandbox

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

«La guerra di montagna, che fu guerra barocca, dovette, per forza di cose essere famelica, pantagruelica, insaziabile. Divorò in continuazione, e in misura crescente, uomini, animali, piante, edifici, macchine, attrezzi, suppellettili, materie prime, risorse naturali, suolo. E dovette costruire per distruggere. E lo poté fare, militarizzando l'economia e la società, dentro la quale si era annidata.»

Con l'entrata in guerra dell'Italia si aprì un nuovo fronte: quello alpino, che si estendeva dal passo dello Stelvio fino all'attuale Slovenia e separava le due potenze nemiche, cioè Impero austro-ungarico e Regno d'Italia. Ciò portò ad un nuovo tipo di guerra mai sperimentato prima; infatti le operazioni belliche si svolsero anche in condizioni estreme, arrivando a combattere su vette che superano i 3000 metri di quota. Per mantenere una linea del fronte solida ed efficiente sulle vette più alte lo sforzo fu enorme e necessitò di un vasto impiego di mezzi, animali ma soprattutto uomini.

Per questo motivo il comando austriaco decise di "militarizzare", cioè sfruttare a scopi bellici la manodopera della popolazione che rimase nelle valli adiacenti al fronte (anche donne e bambini), ma nella maggior parte dei casi si dovette ricorrere allo sfruttamento dei prigionieri catturati sul fronte orientale. Questi uomini erano impiegati nei lavori più duri e rischiosi, come la costruzione di teleferiche e sentieri che servivano a far giungere in prima linea truppe e armamenti (non rispettando la Convenzione dell'Aia del 1907, che vietava l'impiego dei prigionieri a scopi bellici[2]), ma in realtà si trovavano anche nelle retrovie e addirittura nelle valli a svolgere lavori agricoli e di manovalanza, prendendo il posto di coloro che dovettero partire per il fronte. Nel 1915 in tutto il Tirolo si trovavano circa 27.000 prigionieri[3], dopodiché si perse presto il conto sia dei vivi che dei morti. Questi uomini presero parte in gran numero a importanti opere in fondovalle, ma anche sul fronte di montagna, come la realizzazione del sistema di teleferiche lungo il Sella, il fronte dell'Adamello e più in generale lungo tutta la linea del fronte. Russi e serbi erano impiegati tutto l'anno anche in prima linea, tuttavia non senza critiche; infatti il giovane sottotenente austriaco Felix Hecht, che morì nel 1917 sul Corno di Cavento (nei pressi di cima Carè Alto), sottolineò l'assurdità dell'utilizzo dei prigionieri in posizioni così impervie e strategiche, infatti, colpiti dalla fame e dal freddo cercavano quotidianamente di scappare, arrivando talvolta a fornire indicazioni agli alpini italiani che si trovavano a poche centinaia di metri in linea d'aria. Proprio nella zona dove combattè Felix Hecht, presso l'attuale rifugio Carè Alto, i prigionieri russi costruirono una chiesetta ortodossa presente tutt'ora.[4][5]

  1. ^ Diego Leoni, La guerra verticale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2015, p. 324.
  2. ^ Diego Leoni, La guerra verticale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2015, p. 337.
  3. ^ Diego Leoni, La guerra verticale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2015, p. 337.
  4. ^ Diego Leoni, La guerra verticale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2015, pp. 337-342.
  5. ^ Marco Abram, Gli ultimi: prigionieri serbi e russi sul fronte alpino, in Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, 2 novembre 2018.