Teoria perturbativa di Møller-Plesset

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La teoria perturbativa di Møller-Plesset (MPn) è un metodo ab initio post-Hartree-Fock utilizzato nel calcolo computazionale di chimica quantistica. Rappresenta un perfezionamento del metodo Hartree-Fock ottenuto tenendo conto della correlazione elettronica sfruttando la teoria perturbativa, solitamente del secondo (MP2), terzo (MP3) o quarto ordine (MP4).

La teoria perturbativa rappresenta una trattazione quantomeccanica che esprime matematicamente l'effetto generato da una perturbazione esterna sul sistema oggetto di studio, nel caso chimico quantistico ciò è particolarmente utile considerando che in una reazione chimica spesso si trovano a interagire dipoli molecolari o specie ioniche alle quali è associato un certo valore di campo elettrico. Il classico operatore hamiltoniano non perturbato assume una forma estesa addizionandogli un fattore perturbativo :

,

dove λ è un parametro che descrive l'entità della perturbazione. La funzione d'onda di Hartree-Fock è un'autofunzione approssimata dell'hamiltoniano corretto ma diviene un'autofunzione esatta considerando la somma dei singoli operatori di Fock . La perturbazione rappresenta matematicamente la differenza tra l'hamiltoniano effettivo e l'hamiltoniano di Hartree-Fock originario (sistema non perturbato), cioè un contributo energetico dovuto all'interazione delle cariche elettriche che l'Hartree-Fock classico considera solamente come effetto medio (questo è uno degli assunti fondamentali del metodo Hartree-Fock). Se l'entità della perturbazione è sufficientemente piccola, la risultante funzione d'onda ed energia può essere espressa in serie di potenze in λ:

,
.

Introducendo queste serie di potenze nell'equazione di Schrödinger tempo-indipendente si ottiene

.

Il coefficiente λi relativo all'orbitale è genericamente espresso come

.

La soluzione dell'equazione di Schrödinger per l'ordine 0 fornisce un valore di energia che rappresenta la somma delle energie degli orbitali elettronici. Nel caso dell'ordine 1 si ottiene una energia corretta di Hartree-Fock e la funzione d'onda. Per ottenere risultati diversi dal metodo Hartree-Fock è necessario superare il primo ordine. Il secondo (MP2),)[1] il terzo (MP3)[2][3] e il quarto ordine (MP4)[4] sono i livelli standard applicati per la teoria di Møller-Plesset per il calcolo relativo a sistemi piccoli. Calcoli di ordini superiori sono possibili, ma vengono di rado utilizzati in pratica.

Studi sistematici sulla teoria MPn hanno dimostrato che il metodo non è necessariamente convergente a ordini superiori. Il tipo di convergenza tende ad essere variabile in relazione alla complessità del sistema studiato e all'insieme di funzioni d'onda di base utilizzate.[5]

La teoria NEVPT è una applicazione della teoria di Møller-Plesset di secondo ordine per funzioni d'onda utilizzate nel metodo complete active space.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Martin Head-Gordon, John A. Pople e Michael J. Frisch, MP2 energy evaluation by direct methods, in Chemical Physics Letters, vol. 153, n. 6, 1988, pp. 503–506, DOI:10.1016/0009-2614(88)85250-3.
  2. ^ J. A. Pople, R. Seeger e R. Krishnan, Variational configuration interaction methods and comparison with perturbation theory (abstract), in International Journal of Quantum Chemistry, vol. 12, S11, 1977, pp. 149–163. URL consultato il 23 giugno 2010 (archiviato dall'url originale il 5 gennaio 2013).
  3. ^ John A. Pople, J. Stephen Binkley e Rolf Seeger, Theoretical models incorporating electron correlation (abstract), in International Journal of Quantum Chemistry, vol. 10, S10, 1976, pp. 1–19. URL consultato il 23 giugno 2010 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2012).
  4. ^ Raghavachari Krishnan e John A. Pople, Approximate fourth-order perturbation theory of the electron correlation energy, in International Journal of Quantum Chemistry, vol. 14, n. 1, 1978, pp. 91–100, DOI:10.1002/qua.560140109.
  5. ^ Matthew L. Leininger, Wesley D. Allen, Henry F. Schaeferd e C. David Sherrill, Is Moller–Plesset perturbation theory a convergent ab initio method?, in J. Chem. Phys., vol. 112, n. 21, 2000, pp. 9213–9222, DOI:10.1063/1.481764.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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