Brucolaco

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Il Brucolaco, dal greco βρυκόλακας [vriˈkolakas] e chiamato anche vorvolakas o varkolak [varkuak], è una figura vampiresca tipica del folklore greco e salentino.

Simile al vampiro dei vicini paesi slavi, il Brucolaco preferisce nutrirsi di carne, in particolare di fegati, piuttosto che bere il sangue. Questo fattore, combinato ad alcune sue caratteristiche fisiche, lo rendono più simile a un moderno zombi.

Etimologia

Il termine vrykolakas deriva dalla parola slava vǎrkolak e lo ritroviamo in lingue quali il serbo (vukodlak), il polacco (wikolak), il lituano (vilkolakis) e il romeno (vârcolac).

L’unione del termine bulgaro vâlk (вълк)/serbo vuk (вук), che significano "lupo" e dlaka, che sta per "(ciocca di) capelli" danno origine alla parola composta "lupo mannaro". In uno degli scritti del botanico francese Pitton de Tournefort, questi parla del brucolaco come un loup-garou, lupo mannaro, appunto.

Tuttavia, nel folklore croato e montenegrino, così come in Bosnia-Erzegovina, Serbia e Bulgaria, il termine è più spesso associato al concetto di vampiro.

Caratteristiche fisiche

Seconda la tradizione greca, una volta morti ci si poteva trasformare in brucolachi se si era vissuta una vita sacrilega, se si era stati scomunicati o sepolti in terra sconsacrata, se si era mangiata carne di pecora uccisa da un lupo o un licantropo.

Alcuni credevano che il licantropo stesso potesse trasformarsi in un potente vampiro dopo essere stato ucciso, pur conservando zanne, pelo e occhi rossi.

Il varkolak ha le stesse caratteristiche del vampiro del folklore balcanico: il suo corpo non va in decomposizione, ma anzi si gonfia; è alto, pallido e bramoso di sangue. Da alcune testimonianze in Serbia, inoltre, sappiamo che in passato chi aveva capelli rossi e occhi grigi veniva spesso creduto un vampiro.

Le sue gesta sono quasi sempre terribili: dall'aggirarsi nella comunità dopo aver lasciato la sua tomba, al diffondere epidemie. Si pensa che bussi una sola volta alle porte delle case, facendo i nomi dei residenti: se non riceve risposta, continua il suo viaggio indisturbato, ma, in caso contrario, una maledizione trasformerebbe chi vi abita in brucolaco. È per questo che in alcuni paesi greci c’è l’usanza di non rispondere alla porta se non al secondo colpo.

Si narra che la creatura si sieda sugli esseri umani, mentre questi stanno dormendo, per soffocarli (qualcosa di simile alla paralisi del sonno). Contrariamente ai vampiri del folklore greco, i brucolachi vengono visti più come cannibali che succhiasangue, con una predilezione per i fegati umani.

Secondo la leggenda, il vampiro può essere ucciso solo se fatto a pezzi, impresa realizzabile esclusivamente di sabato, unico giorno in cui la creatura rimane nella sua tomba a riposare. Lo smembramento del corpo avviene tramite esorcismo, impalamento, decapitazione e cremazione: solo così la sua anima salirebbe al cielo e quella delle vittime liberate dalla maledizione.

Specialmente nelle zone più rurali, il mito del brucolaco è attestato in Grecia fino alla Seconda Guerra Mondiale. Tra il 1941 e il 1942, a causa di una forte carestia che uccise più di 300.000 persone, molte famiglie furono costrette a seppellire i propri cari in fosse comuni al di fuori dei cimiteri. Al tempo, si pensava che i sepolti in terra sconsacrata potessero trasformarsi in vampiri; ecco, quindi, che si prese la decisione di decapitare i parenti per salvarli dalla dannazione.

Testimonianze archeologiche

Antica Grecia

Gli antichi grechi credevano che i morti potessero risorgere e vivere in una specie di limbo. A testimonianza di ciò, esistono delle tombe sospette. Nel sito di Choirokoitia, ce n'è una risalente al Neolitico (ca. 4500–3900/3800 BCE), in cui i corpi furono ritrovati con dei massi sulla testa e sul petto, così da immobilizzarli nei sepolcri. A Camarina, nel sud della Sicilia, vengono notate due tombe molto diverse dalle altre: in una, c'è un corpo di cui non si riesce a determinare né il sesso né la statura, con piedi e testa ricoperti dei frammenti di due vecchie anfore, poste lì impedire loro di alzarsi e vedere, probabilmente; nell'altra, vi è il corpo di un bambino, la cui età va dagli otto ai tredici anni, anch'esso di sesso e statura indefinita e con cinque grandi pietre sul petto, ad immobilizzarlo.

Grecia bizantina

Ad Attica, venne trovata una fornace che fungeva da luogo di sepoltura per due corpi smembrati: il primo apparteneva a una donna, le cui due metà del corpo erano state collocate parallelamente in posizione prona. Accanto a lei, un piccolo vaso contenete una moneta in uso durante il regno dell'imperatore Costantino e un pezzo di gamba appartenuto a un uomo adulto.

Dopo la deposizione dei corpi, la fornace venne chiusa ermeticamente con grandi blocchi di pietra.

Grecia ottomana

A Mitilene, alcuni scavi archeologici hanno portato alla luce due tombe: la prima conteneva un essere umano adulto, il cui collo, bacino e piedi erano stati immobilizzati con chiodi di 20 cm; all'interno della seconda, una cista più precisamente, venne ritrovato un uomo di oltre sessant'anni con accanto chiodi di oltre 16 cm.

Oggetti apotropaici

Sono definiti “apotropaici” gli oggetti o le pratiche finalizzati alla salvezza dei propri cari dalla dannazione eterna. Seppellire il corpo a testa in giù e mettere oggetti di uso quotidiano nella tomba, come delle falci (per placare il demone che se ne sarebbe impossessato o per appesantire il corpo e scoraggiarlo ad alzarsi), erano le usanze più comuni.

È risalente all'antica Grecia la pratica di mettere nella bocca del morto un obolo, che avrebbe pagato il passaggio sul fiume Stige per arrivare al mondo dei morti. Un'altra versione, quella secondo cui la moneta sarebbe servita ad allontanare gli spiriti maligni, potrebbe avere influenzato le leggende sul vampiro.

Questa tradizione persiste nel folklore greco moderno, secondo cui andrebbero messe una croce fatta di cera e delle ceramiche con la scritta “vincitori per Gesù Cristo” sul petto del morto, per evitare che possa diventare un vǎrkolak.

Altri metodi includono la recensione dei tendini delle ginocchia o il disporre semi di papavero, miglio o sabbia sul pavimento della tomba: in questo modo, il vampiro avrebbe rallentato il suo proposito, perché ogni granello corrispondeva agli anni impiegati per riuscire nel suo intento.

Analogamente, delle storie cinesi raccontano che se un vampiro si fosse imbattuto in una sacca di riso, avrebbe dovuto contarne ogni singolo chicco. La leggenda ricorre anche nel subcontinente indiano e nelle storie stregonesche dell'America del sud.

Il brucolaco in Occidente

La prima testimonianza occidentale risale alla metà del XII secolo, negli scritti di Leo Allatius, bibliotecario greco del Vaticano (“De quorundam Graecorum Opinationibus”, 1645) e di padre François Richard (“Relation de l'Isle de Sant-erini”, 1657).

A questi, si aggiunge il viandante francese Joseph Pitton de Tournefort, testimone dell'esumazione e dello smembramento di quello che si pensava essere un vamprio sull'isola di Mykonos nel 1701. Il vampiro greco era visto come l'equivalente della creatura slava del XIII secolo, come dichiara Johann Heinrich Zedler in Zedlersches Lexicon (1732–1754).

Nel 2016, il letterato spagnolo Álvaro García Marín scrive: “Per l'Europa occidentale del 1730 o del 1820, Dracula avrebbe avuto nazionalità greca. […] All'inizio del XIII secolo, infatti, la figura del vampiro slavo era ancora sconosciuta in quelle zone, mentre il brucolaco greco era apparso nei trattati teologici, nei racconti di viaggio e nei libri dell'occulto già dal XVI secolo.

Oggi, invece, anche nella Grecia moderna è naturale associare al termine “vampiro” la figura di Dracula e non quella del brucolaco, soprattutto grazie ai film di Hollywood.

Il film Isle of the Dead, diretto da Mark Robson e uscito nel 1945, è uno dei pochi film in cui figura il vǎrkolak. Il film ruota intorno a un gruppo di amici su una piccola isola, minacciati da una forza oscura che alcuni ritengono essere la peste, altri la maledizione di un brucolaco.

Opere e romanzi

A parlare di queste creature, sono Adventures in Death and Romance: Vrykolakas Tales, dello storico Monette Bebow-Reinhard, Superposition, di David Walton (Pyr Books, 2015) e l'opera teatrale postmoderna di Dimitris Lyacos, With the People from the Bridge, che parla dei brucolachi nel contesto della tradizione e del folklore greco.

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