Figlio naturale: differenze tra le versioni

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Versione delle 18:18, 17 mar 2015

In diritto si intendeva per figlio naturale il figlio procreato da genitori non uniti tra loro da vincolo matrimoniale (così come indicato dall'articolo 30 della Costituzione).

Nella versione originale del Codice Civile, il figlio naturale era identificato come figlio illegittimo, in contrapposizione al figlio legittimo (procreato cioè da persone unite tra loro in matrimonio) ma, a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975, tale definizione è stata abbandonata e la distinzione con i figli legittimi è venuta meno, salvo quanto previsto per quanto riguarda la costituzione legale del rapporto di filiazione [1].

In tal caso, infatti, un pieno rapporto giuridico di filiazione non si costituisce automaticamente, ma solo per effetto di un atto volontario del genitore (riconoscimento di figlio naturale) o di accertamento a opera del giudice (dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità). Ciò non significa che il solo fatto della procreazione non abbia rilevanza giacché essa è comunque fonte di responsabilità dei genitori (per quanto attiene il mantenimento per esempio).

La legge n. 219/2012 (che ora riconosce pienamente i rapporti di parentela tra i figli naturali e i parenti dei loro genitori) prevede l'unificazione dello stato giuridico di figlio, con totale eliminazione di ogni differenza tra figli legittimi, naturali e adottivi. Il completamento della riforma è affidato a decreti legislativi da adottare entro un anno.

Riconoscimento del figlio naturale

Ritratto del duca James Crofts, figlio illegittimo di re Carlo II d'Inghilterra.

Il riconoscimento del figlio naturale è una dichiarazione unilaterale di scienza con la quale una persona dichiara di essere padre o madre di un’altra persona. Sulla base di questo atto irrevocabile si forma l’atto di nascita. Nel caso in cui sia già presente un riconoscimento, occorrerà prima far cadere la legittimità, con un’azione di contestazione della legittimità e poi fare il riconoscimento. Il riconoscimento di figli incestuosi è ammesso sola previa autorizzazione del tribunale (per il riconoscimento dei figli incestuosi minorenni è competente il tribunale per i minorenni). Tuttavia il figlio incestuoso può agire in ogni caso per ottenere il mantenimento, l'istruzione o l'educazione e, se maggiorenne, e in stato di bisogno, gli alimenti. Per riconoscere un figlio naturale sono necessari 14 anni di età (Legge n. 219 del 10 dicembre 2012). Prima di allora il figlio sarà affidato ad altre persone. Nel caso in cui il riconoscimento non avvenga contestualmente alla nascita, ma tardivamente (ovvero con un testamento o una dichiarazione apposita ricevuta dall’ufficiale dello stato civile o dal giudice tutelare o dal notaio) e il figlio abbia più di 14 anni sarà necessario anche il suo consenso, se minore di 14 anni è necessario il consenso dell’altro genitore. La mancanza di consenso può essere superata da un provvedimento del giudice che autorizzi il riconoscimento se nell’interesse del minore. (Vid. il sistema di riconoscimento del figlio in Diritto comparato [1]).

Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità

Da quando la Corte Costituzionale con la sentenza n. 50/2006 ha ritenuto illegittimo l’articolo 274 del Codice Civile, il riconoscimento non è più un atto discrezionale del genitore naturale, ma è possibile costituire un rapporto giuridico di filiazione anche contro la volontà del genitore naturale che non riconosce il figlio. Il figlio ha cioè diritto di vedere costituito il proprio rapporto di filiazione portando la prova biologica in giudizio sulla paternità o maternità. L’articolo 274 prevedeva che fosse necessario valutare l’ammissibilità dell’azione in giudizio (fumus boni iuris) nonché valutare se il riconoscimento andasse a beneficio del figlio. Dopodiché la sentenza poteva essere impugnata fino all’ultimo grado di giudizio. Tutto ciò comportava una durata spasmodicamente lunga del caso, impedendo al figlio di vedere soddisfatto il suo diritto. Il genitore, che la dichiarazione giudiziale ha decretato come tale, sarà costretto a pagare ex tunc gli arretrati per mantenere il figlio.

Per la dichiarazione di paternità occorre la certezza della prova, restando l'onere della prova alla madre o figlio ricorrenti.
L'uomo può rifiutare, senza obbligo di motivazione o giusta causa, il test senza conseguenze legali (civili o penali) o nell'esito del procedimento di accertamento della paternità, anche nelle forme non invasive e prive di possibili effetti collaterali sulla salute.
Anche in presenza di un rifiuto del test che potrebbe essere valutata da alcuni come un'implicita ammissione della paternità, esistendo questo diritto al rifiuto, tecnicamente le dichiarazioni della donna sulla paternità del figlio hanno pari rilevanza processuale di quelle dell'uomo su possibili relazioni della donna con terzi, o che negano rapporti sessuali completi e quindi la possibilità del fatto contestato. Con dichiarazioni contrastanti, senza testimoni o altri riscontri probatori maggiori (come il test del DNA), non è possibile l'accertamento della paternità per insufficienza di prove.
Tenuto conto della oggettiva difficoltà a reperire prove per l'accertamento di paternità, la giurisprudenza valuta ai fini probatori anche la condotta delle parti durante il procedimento, non solamente quella relativa al periodo della relazione-concepimento. La Cassazione ha stabilito che il rifiuto non motivato del test del DNA (poco costoso, non invasivo e privo di conseguenze sulla salute) può essere valutata dal giudice come prova per la declaratoria di paternità [2].

Limiti e casi particolari

Il figlio naturale di persona unita in matrimonio (figlio adulterino) non può essere immesso nella casa familiare se non con autorizzazione del giudice che può concederla solo se sussiste il consenso del coniuge e dei figli legittimi con più di 16 anni e il consenso dell’altro genitore naturale (articolo 252). Per quanto attiene la potestà genitoriale, dopo la recente legge sull’affidamento condiviso, la potestà sarà esercitata da entrambi i genitori di comune accordo; in casi particolari, ovvero quando il giudice ritenga contrario all’interesse del figlio una situazione di questo tipo, il figlio verrà affidato a un solo genitore che eserciterà da solo la potestà. Nel caso di coppia non sposata, però, bisognerà tuttavia distinguere due casi (articolo 317 bis): quello del figlio che non ha mai convissuto con il genitore (e allora costui non eserciterà la potestà) o quello del figlio che ha convissuto ma oggi non convive più perché la coppia di fatto si è divisa. In tal caso il genitore eserciterà comunque la potestà salvo ci sia stato un affidamento individuale all’altro genitore. Quanto al cognome in caso di riconoscimento congiunto assume il cognome del padre; in caso di riconoscimento separato assume il cognome di chi l’ha riconosciuto per primo. Competente, al riguardo, resta il Tribunale per i Minorenni.

Le residue differenze di trattamento tra figli legittimi e figli naturali sono destinate a essere abolite attraverso l'adozione di uno o più decreti legislativi previsti dalla legge n. 219/2012.

Le impugnazioni

Il Legislatore prevede tre tipi d'impugnazione del riconoscimento, previsti dagli artt. 263, 265 e 266 Cod. Civ; nello specifico, si tratta di: impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, impugnazione per violenza e impugnazione del riconoscimento per effetto d'interdizione legale.

La Cassazione, tuttavia, ha affermato che, nell'interesse prevalente del minore, il disconoscimento non può avvenire dopo due anni dalla nascita [3].

L'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità

L'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art. 263 Cod. Civ., può essere proposta dall’autore del riconoscimento, oppure da colui che è stato riconosciuto, ovvero da chiunque vi abbia interesse. Essa è ammessa anche dopo la legittimazione ed è imprescrittibile; con essa, il proponente mira a far rilevare che il riconosciuto non è stato, in realtà, procreato dalla persona che, invece, ha dichiarato solennemente d'essere genitrice.

L'impugnazione da parte del riconosciuto, ex art. 264 Cod. Civ., non può essere proposta durante la minore età o durante lo stato d'interdizione per infermità di mente; compete, tuttavia, al Giudice, la nomina d'un curatore speciale, per l'esercizio dell'azione.

Esistono delle limitazioni alla possibilità di revocare il riconoscimento del figlio da parte di un genitore che afferma di essere quello biologico, senza esserlo [4].

L'impugnazione per violenza

L'articolo 265, poi, autorizza il genitore che abbia effettuato il riconoscimento in istato di soggezione causata da vis compulsiva; l'azione si prescrive in un anno dal giorno della cessazione della violenza ovvero in un anno dal conseguimento della maggiore età, se il genitore era minore.

L'impugnazione per effetto d'interdizione giudiziale

Infine, l'articolo 266 permette d'impugnare il riconoscimento effettuato dall'incapace, la cui incapacità derivi da interdizione giudiziale; legittimato attivo in questo caso è il rappresentante dell'interdetto, ovvero l'autore del riconoscimento stesso, se v'è stata revoca dell'interdizione. In quest'ultimo caso, l'azione si prescrive in un anno dalla revoca. Benché la legge non lo dica espressamente si ritiene che sia rilevante anche la capacità naturale di agire, perciò è invalido e impugnabile il riconoscimento compiuto da un soggetto incapace di intendere o di volere, al quale spetta chiedere l'annullamento dell'atto.

Accoglimento dell'azione

È importante notare che, affinché l'azione prevista dall'articolo 263 sia accolta, è necessario provare che il riconoscimento fosse mendace e, quindi, non sussiste rapporto di filiazione, mentre nel caso delle azioni previste dagli articoli 265 e 266, la richiesta è accolta anche qualora il riconoscimento fosse veritiero, perché il soggetto non è stato libero di scegliere se riconoscere o meno il figlio o perché il soggetto non era in grado di valutare le conseguenze del suo gesto.

Non rilevano in questa sede gli altri due casi di vizio del consenso, vale a dire l'errore e il dolo.

Trasmissibilità dell'azione e provvedimenti in pendenza di giudizio

Gli articoli 267 e 268 Cod. Civ., infine, si occupano di regolare la trasmissibilità dell'azione (prevedendo che, nei casi di cui agli articolo 265 e 266, gli ascendenti, i discendenti e gli eredi possono esperire le medesime azioni, entro il termine ivi previsto) e dei provvedimenti in pendenza di giudizio.

Critiche

Se in precedenza l'uso del termine "figlio illegittimo" era criticato perché denigratoria e avvilente, anche il termine "naturale" è stato criticato[5] perché mal si presta a differenziare dai figli legittimi.

Voci correlate

Note

  1. ^ Cf. la dicitura figlio di N.N.
  2. ^ Cassazione civile , sez. I, sentenza 17.07.2012 n° 12198
  3. ^ Cassazione Civile, sez. I, sentenza n. 11644 del 11.07.2012
  4. ^ Sezioni Unite, Cassazione Civile, sentenza n. del 15 ottobre 2012
  5. ^ critiche anche ironiche, come"Forse che quelli legittimi sono figli artificiali?"

Altri progetti

s:L. 10 dicembre 2012, n 219 - Riconoscimento dei figli naturali

Collegamenti esterni


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