Sorelle dei poveri di Santa Caterina da Siena

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Le Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena sono un istituto religioso femminile di diritto pontificio: le suore di questa congregazione pospongono al loro nome la sigla S.d.P.[1]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'istituto venne fondato a Siena da Savina Petrilli (1851-1923). Il 15 agosto 1873, con il permesso dell'arcivescovo Enrico Bindi, la Petrilli e tre sue compagne emisero la loro professione dei voti di povertà, obbedienza e castità. L'arcivescovo di Siena approvò la fraternità come congregazione di diritto diocesano e alle religiose venne consentito di iniziare a condurre vita comune.[2]

Sorte soprattutto per l'educazione delle fanciulle, le Sorelle dei Poveri si diffusero rapidamente e assunsero la direzione dei manicomi di Volterra, Roma e Ceccano. Presto estesero il loro apostolato all'assistenza ospedaliera, al servizio nei seminari e a varie opere caritatevoli.[2]

L'istituto ottenne il pontificio decreto di lode nel 1891: le sue costituzioni vennero provvisoriamente approvate dalla Santa Sede il 5 settembre 1899 e definitivamente il 17 giugno 1906.[2]

La fondatrice è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II nel 1988.[3]

Attività e diffusione[modifica | modifica wikitesto]

Le Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena si dedicano all'assistenza ospedaliera agli ammalati, al servizio nei seminari e ad altre opere di carità, soprattutto a favore dei più poveri.

Sono presenti in Argentina, Brasile, Ecuador, Filippine, India, Italia, Paraguay:[4] la sede generalizia è a Roma.[1]

Al 31 dicembre 2005 l'istituto contava 589 religiose in 87 case.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Ann. Pont. 2007, p. 1693.
  2. ^ a b c DIP, vol. VIII (1988), coll. 1919-1921, voce a cura di G. Rocca.
  3. ^ Tabella riassuntiva delle beatificazioni avvenute nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II, su vatican.va. URL consultato il 19-11-2009.
  4. ^ I luoghi di santa Caterina, su caterinati.org. URL consultato il 20-11-2009 (archiviato dall'url originale il 15 maggio 2008).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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