Rāmāyaṇa VI: ''Yuddhakāṇḍa''

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Voce principale: Rāmāyaṇa.
L'armata dei vānara costruisce il ponte tra il Subcontinente indiano e Laṅkā, alla conquista dell'isola (primi del XX secolo).
La battaglia tra i vānara e i rākṣasa (XVII secolo).
La morte di Kumbakarṇa (XVII secolo).
Rāma e Lakṣmaṇa feriti da Indrajit cadono a terra svenuti, circondati dai serpenti velenosi (XVIII secolo).
Hanumat trasporta l'Himālaya sul campo di battaglia a Laṅkā (Raja Ravi Varma, 1848-1906).
Lakṣmaṇa uccide Indrajit (primi XX secolo).
Sūrya, il dio Sole, assiso sul suo carro (XIX secolo). Qui Sūrya è accompagnato dai suoi due guardiani: Daṇḍī e Piṅgala. I sette cavalli che trainano il carro rappresentano i sette giorni della settimana.


Yuddhakāṇḍa è il sesto libro del poema epico Rāmāyaṇa.

Contenuti[modifica | modifica wikitesto]

Rāma è rincuorato dal racconto di Hanumat ma al contempo preoccupato di liberare la moglie Sītā. Sugrīva lo rincuora sostenendo di essere certo della riuscita dell'impresa.

L'esercito dei vānara muove in un giorno astrologicamente propizio verso le coste indiane poste di fronte all'isola di Laṅkā.

Al contempo, impressionato dalle imprese di Hanumat, Rāvaṇa riunisce il governo dei demoni dell'isola.

I suoi consiglieri e ministri rammentano al loro re il successo delle sue imprese passate e, quindi, anche questa volta Rāvaṇa non potrà fallire.

Diversamente Vibhīṣaṇa, il fratello minore, avverte Rāvaṇa che il rapimento di Sītā viola apertamente sia le norme religiose (Dharma) sia le norme di condotta morale (nītiśāstra). Mentre un altro fratello di Rāvaṇa, Kumbhakarṇa, pur rimproverando al re l'illegittimità del rapimento della principessa, gli conferma il proprio appoggio nella guerra contro Rāma e l'esercito delle divine scimmie.

Il demone Mahāpārśva suggerisce nel frattempo a Rāvaṇa di compiere violenza nei confronti di Sītā, punendo in questo modo i suoi sprezzanti rifiuti. Ma il re dei demoni confida all'amico l'antica maledizione pronunciata da Brāhma contro di lui, che lo condanna alla morte immediata qualora provasse a violentare una donna, questa la vera ragione che conduce Rāvaṇa a uccidere Rāma di modo che, priva della protezione del marito, la principessa gli si conceda volontariamente.

Urtato dai rimproveri del fratello minore, Rāvaṇa minaccia di morte Vibhīṣaṇa il quale, spaventato, si decide per la fuga dall'isola e, raggiunta in volo la costa indiana, prega Rāma di accoglierlo.

Convinto anche da Hanumat, il dio risponde:

(SA)

«sakṛd eva prapannāya tavāsmīti ca yācate
abhayam sarvabhūtebhyo dadāmy etad vrataṃ mama»

(IT)

«A colui che anche una sola volta ha cercato la [mia] protezione e [mi] prega [dicendo]: "Sono tuo!", io concedo la sicurezza da tutte le creature. Questa è la mia osservanza religiosa.»

Giunto di fronte all'oceano che separa il Subcontinente indiano da Laṅkā, Rāmā invoca il dio Oceano, Sagara, affinché consenta il suo attraversamento, il dio tuttavia non risponde, Rāmā allora lo minaccia. A questo punto Sagara appare nella sua magnificenza e spiega a Rāmā che la sua natura non gli consente di essere attraversato come se fosse una superficie solida, suggerendogli quindi di costruire un ponte.

Così sotto la guida della divina scimmia e architetto Nala, l'esercito dei vānara sia avvia a costruire un ponte di pietre e tronchi d'albero.

Hanumat e Aṅgada trasportano sulle proprie spalle rispettivamente Rāma e Lakṣmaṇa.

Attraversando per mezzo del ponte la distanza di cento yojana che separa il Subcontinente dall'isola, l'esercito delle divine scimmie sbarca su Laṅkā cingendo d'assedio la sua splendida capitale al cui interno sono asserragliati i rākṣasa.

Rāvaṇa tenta ancora di sedurre Sītā, facendogli credere che il suo sposo è perito in uno scontro, ottenendo l'ennesimo sprezzante rifiuto dalla principessa.

L'anziano demone Mālyavat suggerisce a Rāvaṇa di restituire la sposa a Rāmā, ma qui si inseriscono due śloka che la critica moderna[1] ritiene interpolati. Così nel 35° sarga del VI kāṇḍa, precisamente nel 36 (37) śloka, Mālyavat spiega il suo consiglio:

(SA)

«viṣṇuṃ manyāmahe rāmaṃ mānuṣaṃ rūpam āsthitam
na hi mānuṣamātro asau rāghavo dṛḍhavikramaḥ»

(IT)

«Reputo l'impresa coraggiosa di Rāmā come quella di Viṣṇu in forma umana (viṣṇum āsthitam rūpam mānuṣaṃ ). Questo Rāghava[2] non è solo un essere umano (na hi mānuṣa mātro).»

Ma Rāvaṇa rimane fermo nell'intenzione di combattere l'esercito delle divine scimmie convinto di poterlo annientare.

Sugrīva tenta quindi una sortita che il re dei demoni respinge per mezzo della magia, quindi Rāmā invia Aṅgada da Rāvaṇa in qualità di messo per una sfida a duello.

La battaglia tra i vānara e i rākṣasa assume dei contorni drammatici quando Rāvaṇa guida una sortita dei demoni fuori dalla capitale. In quella circostanza il potente demone Indrajit riesce a scagliare una pioggia di frecce contro Rāma e Lakṣmaṇa, le quali, magicamente, si trasformano in mortali serpenti. I fratelli rimangono gravemente feriti e stanno per avere la peggio quando appare il divino avvoltoio Garuḍa che fa scomparire immediatamente i serpenti e che, toccando gli eroi, ne ristabilisce le forze.

Nel frattempo Rāvaṇa fa credere nuovamente a Sītā che il proprio divino marito sia morto, la principessa si dispera, confortata dall'ancella demone Trijaṭā.

Lo scontro infuria sempre più violento, molti sono i demoni che cadono per mano delle divine scimmie, fatto che impone a Rāvaṇa di scendere nuovamente sul campo, questa volta assiso sul suo temibile carro aereo assumendo l'aspetto terribile simile a quello di Rudra devastatore. Rāvaṇa incede feroce e anche Lakṣmaṇa non gli resiste, si teme il peggio per il divino fratello di Rāma che tuttavia viene messo in salvo da Hanumat.

Hanumat prende sulle spalle Rāma e lo conduce alla sfida contro Rāvaṇa. Il re dei demoni viene gravemente ferito dal dio, che pure lo risparmia non potendo finire un avversario ferito. Rientrato nella capitale assediata, il re dei demoni fa risvegliare il feroce suo fratello Kumbakarṇa, condannato da una maledizione di Brahmā a dormire per sei mesi di seguito, potendosi svegliare per un solo giorno. Kumbakarṇa rimprovera duramente Rāvaṇa per il rapimento della principessa, ma si decide a seguirlo convinto anche lui di poter sconfiggere il dio e il suo seguito di divine scimmie.

Sceso sul campo della battaglia, Kumbakarṇa incede furiosamente uccidendo e divorando centinaia di vānara, finché non viene affrontato da Rāma che lo mutila delle braccia, staccandogli la testa che fa precipitare all'interno della città assediata.

Ancora demoni cadono sul campo vittime delle furiose scimmie, quando nuovamente Indrajit, il più terribile tra i rākṣasa, si rende invisibile e con potenti mantra mette in fuga l'esercito dei vānara, immobilizzando, con il suo brahmāstra, i divini fratelli Rāma e Lakṣmaṇa che cadono a terra svenuti.

Indrajit orgoglioso del successo della sua iniziativa corre da Rāvaṇa per raccontargli l'accaduto, mentre la saggia scimmia Jāmbavat suggerisce ad Hanumat di recarsi immediatamente sull'Himālaya e lì procurarsi delle erbe miracolose per curare i due eroi. Hanumat compie rapidamente il viaggio, ma le erbe si nascondono alla sua vista, allora la divina scimmia sradica l'intero immenso monte che trasporta fino a Laṅkā, restituendo in questo modo salute e vigore ai due eroi e all'intero esercito dei vānara.

L'armata delle scimmie divine incendia, su ordine del loro re Sugrīva, la capitale Laṅkā. Altri eroi rākṣasa cadono per mano dei vānara, quando interviene ancora una volta il potente demone Indrajit che con le arti magiche crea una copia illusoria della principessa Sītā, che trafigge con la spada.

I fratelli divini e i vānara, inconsapevoli del carattere illusorio della messinscena, sono gettati nel profondo sconforto. Indrajit si rende nel frattempo invisibile e gettatosi nelle schiere nemiche vi compie stragi.

Il demone Vibhīṣaṇa, il fratello esule di Rāvaṇa, accolto da Rāma, avverte quest'ultimo del carattere illusorio della messinscena invitandolo a inviare Lakṣmaṇa a interrompere la magia. Lakṣmaṇa portato sulle spalle da Hanumat affronta Indrajit e dopo un duro scontro in cui viene ferito, riesce a uccidere il demone con il suo potente indrāstra e il relativo mantra.

Rāvaṇa apprende la morte del potente fratello e colto dall'ira medita di uccidere la principessa Sītā, ma viene fermato dai suoi consiglieri.

Rāma intanto compie strage dei nemici, alti si alzano i lamenti funebri delle rākṣasi nei confronti di figli e mariti.

Il re dei demoni si decide quindi a scendere nuovamente sul campo di battaglia con nuove armi magiche simile questa volta a Yama, il signore dei morti, il padrone degli inferi. Altri comandanti dei demoni cadono sul campo, mentre Lakṣmaṇa, che tenta inutilmente di fermare Rāvaṇa, viene da questi gravemente ferito.

Rāma, salito sul carro divino di Indra, consegnatogli da Mātali (auriga dello stesso Indra) raggiunge il re dei demoni.

Il dio apprende da Agastya, il "veggente" (Ṛṣi), il celebre stotra[3], lo Ādityahṛdaya ("Il cuore/segreto del Sole") in onore del dio Sole (Sūrya; qui appellato come Āditya, ovvero figlio di Aditi), che consente a chiunque si trovi in pericolo la salvezza e la vittoria:

(SA)

«raśmimantaṃ samudyantaṃ devāsuranamaskṛtam
pūjayasva vivasvantaṃ bhāskaraṃ bhuvaneśvaram
sarvadevātmako hyeṣa tejasvī raśmibhāvanaḥ
eṣa devāsuragaṇān lokān pāti gabhastibhiḥ
eṣa brahmā ca viṣṇuśca śḥ skandaḥ prajāpatiḥ
mahendro dhanadaḥ kālo yamaḥ somo hyapāṃpatiḥ
pitaro vasavaḥ sādhyā aśvinau maruto manuḥ
vāyurvahniḥ prajāḥ prāṇa ṛtukartā prabhākaraḥ
ādityaḥ savitā sūryaḥ khagaḥ pūṣā gabhastimān
suvarṇasadṛśo bhānurhiraṇyaretā divākaraḥ
haridaśvaḥ sahasrārciḥ saptasaptirmarīcimān
timironmadhanaḥ śambhustvaṣṭā mārtaṇḍako.aṃśumān
hiraṇyagarbhaḥ śiśirastapano'ahaskaro raviḥ
agnigarbho.aditeḥ putraḥ śaṅkhaḥ śiśiranāśanaḥ
vyomanāthastamobhedī ṛgyajussāmapāragaḥ
ghanavṛṣṭirapāṃ mitro vindhyavīthīplavaṃgamaḥ
ātapī maṇḍalī mṛtyuḥ piṅgalaḥ sarvatāpanaḥ
kavirviśvo mahātejā raktaḥ sarvabhavodbhavaḥ
nakṣatragrahatārāṇāmadhipo viśvabhāvanaḥ
tejasāmapi tejasvī dvādaśātmannamo'stu te
namaḥ pūrvāya giraye paścimāyādraye namaḥ
jyotirgaṇānāṃ pataye dinādhipataye namaḥ
jayāya jayabhadrāya haryāśvāya namo namaḥ
namo namaḥ sahasrāṃśo ādityāya namo namaḥ
nama ugrāya vīrāya sāraṅgāya namo namaḥ
namaḥ padmaprabodhāya pracaṇḍāya namo'astu te
brahmeśānācyuteśāya sūryāyādityavarcase
bhāsvate sarvabhakṣāya raudrāya vapuṣe namaḥ
tamoghnāya himagnāya śatrughnāyāmitātmane
kṛtaghnaghnāya devāya jyotiṣāṃ pataye namaḥ
taptacāmīkarābhāya vahnaye viśvakarmaṇe
namastamobhinighnāya rucaye lokasākṣiṇe
nāśayatyeṣa vai bhūtaṃ tadeva sṛjati prabhuḥ
pāyatyeṣa tapatyeṣa varṣatyeṣa gabhastibhiḥ
eṣa supteṣu jāgarti bhūteṣu pariniṣṭhitaḥ
eṣa caivāgnihotraṃ ca phalaṃ caivāgnihotriṇām
vedāśca kratavaścaiva kratūnāṃ phalameva ca
yāni kṛtyāni lokeṣu sarveṣu raviḥprabhuḥ»

(IT)

«Adora (pūjayasva) [il Sole], Sovrano dei mondi (bhuvaneśvaram), coronato dai raggi (raśmimantaṃ), che appare all'orizzonte (samudyantaṃ) salutato allo stesso modo dagli dèi e dai dèmoni (devāsuranamaskṛtam). Egli risplende (vivasvantaṁ), portando la luce (bhāskaraṃ). Egli è (eṣa) la manifestazione di tutti gli Dei (sarvadevātmako), ricolmo di gloria (tejasvī) emana i raggi (raśmibhāvanaḥ) proteggendo la moltitudine di dei e demoni (devāsuragaṇān), e i loro mondi (lokān). Egli è Brahmā, Viṣṇu, Śiva, Skanda, Prajāpati, Mahendra[4], Dhanada[5], Kāla, Yama, Soma, Apāṃpati[6], gli Antenati (Pitṛ), i Vasu, i Sādhya, gli Aśvin, i Marut, Manu, Vāyu, Vahni[7], le creature (prajā), il soffio della vita (prāṇa), il fondamento delle stagioni (ṛtukartā ) e l'origine della luce (prabhākaraḥ). La progenie di Aditi (āditya), il Vivificatore (Savitar, Savitṛ), il dio Sole (Sūrya), colui che si muove nel Cielo (khaga), il Pūṣan[8], colui che brilla (gabhastimān), colui che è splendente d'oro (suvarṇasadṛśo bhānu), che possiede il seme d'oro (hiraṇyaretā), il creatore del giorno (divākaraḥ). Egli possiede sette cavalli vigorosi (haridaśvaḥ saptasapti), ricolmo di luce (marīcimān), sconfigge l'oscurità (timironmadhanaḥ), Fonte di ogni felicità (śambhu)[9], Tvaṣṭā, Mārtaṇḍa[10], radiante (aṃśumān). Egli è l'originario uovo d'oro cosmico (hiraṇyagarbhaḥ ), generatore della freschezza e del calore (śiśirastapano), portatore della luce del giorno (ahaskaro), Ravi, pregno di fuoco (agnigarbho), figlio di Aditi (aditeḥ putraḥ), Śaṅkha, Distruttore (śiśiranāśanaḥ). Signore del comso (vyomanātha), distruttore dell'oscurità (tamobhedī), maestro del "ṛg-yajus-sāma" Veda (ṛgyajussāmapāragaḥ), distributore delle piogge (ghanavṛṣṭi), amico della acque ( apāṁ mitraḥ), colui che salta attraverso i monti Vindhya[11] (vindhyavīthīplavaṃgamaḥ), irraggiatore del calore (ātapī), dall'aureola [raggiante] (maṇḍala), Morte (mṛtyu), dal colore d'oro (piṅgalaḥ), luce-calore di ogni cosa (sarvatāpanaḥ), cantore ispirato (kavi), universale (viśvaḥ), estremamente splendente (mahātejaḥ), del colore della porpora (raktaḥ), creatore di tutto (sarvabhavodbhavaḥ), Re delle costellazioni (nakṣatra-graha-tārāṇām-adhipaḥ), Mente/Volontà del Creato (viśvabhāvanaḥ), Signore della luce tra le luci (tejasāmapi tejasvi), i Dodici Forme/Āditya (dvādaśatman), Salute a Te! (namostute). Salute a Te! (namaḥ), Oriente! (pūrvāya), Occidente (paścima), Montagne [di nubi] (ādraye). Salute a Te! (namaḥ), Re dei corpi celesti (jyotirgaṇānāṁ pataye), Signore del giorno (dinādhi pataye), Salute a Te! (namaḥ). Colui che concede la vittoria (jayāya), colui che offre la gioia derivata dalla vittoria (jayabhadrāya), cavalli bai (haryāśvāya nome dei cavalli di Indra, da qui anche l'epiteto di Indra), Salute a Te! (namaḥ). Salute salute ancora! (namo namaḥ ), raggi infiniti (sahasrāṃśo ), figlio di Aditi (ādityāya ), salute salute ancora! (namo namaḥ ). Salute (nama) all'impetuoso (ugrāya ), al forte (vīrāya), all'invincibile (sāraṅgāya), salute salute ancora! (namo namaḥ ). Salute (namaḥ), fioritura del loto (padmaprabodhāya), bruciante (pracaṇḍāya), salute salute ancora! (namo namaḥ). Brahmā, Śiva, Viṣṇu (brahmeśānācyuteśāya: Brahmā, īśāna/Śiva, acyutā/Viṣṇu), splendore del Sole e degli Āditya (sūryāyādityavarcase), luce solare (bhāsvate), divoratore (sarvabhakṣāya), come Rudra (raudrāya), meraviglia da mirare (vapuṣe), Salute e Te! (namaḥ). Distruttore dell'oscurità (tamoghnāya ), scioglitore della neve (himagnāya), annientatore dei nemici (śatrughnāyā), privo di limiti (amitātmane), distruttore del passato e dei nemici (kṛtaghnaghnāya ), dio (devāya), Signore della luce (jyotiṣāṃ pataye), Salute a Te! (namaḥ). Che emergi come una montagna d'oro (taptacāmīkarābhāya), dio del fuoco (vahnaye), divino architetto (viśvakarmaṇe ), Salute a Te! Distruttore delle tenebre e dell'oscurità (namastamobhinighnāya), splendente testimone dei mondi (rucaye lokasākṣiṇe ). Colui che distrugge gli esseri (nāśatyeṣa vai bhūtaṁ ), colui che li crea (tadeva sṛjati ), il Signore (prabhuḥ), beve l'acqua (pāyatyeṣa), con i raggi solari (gabhastibhiḥ), producendo calore (tapatyeṣa ), procura la pioggia (varṣatyeṣa ). Lui (eṣa) durante il sonno (supteṣu), durante la veglia (jāgarti ) è l'interno (pariniṣṭhitaḥ), degli esseri viventi (bhūteṣu); lui (eṣa) è il fuoco sacrificale e il frutto raggiunto da coloro che sacrificano (caivāgnihotraṃ ca phalaṃ caivāgnihotriṇām ). Anche il Veda (vedāśca ), anche gli altri sacrifici (kratavaścaiva), anche il frutto di questi altri sacrifici (kratūnāṃ phalameva), essendo la causa della azioni (yāni kṛtyāni), il Sole è signore (raviḥprabhuḥ ), di tutti (sarveṣu ) in tutti i mondi (lokeṣu ).»

Ricolmo di gioia per la recitazione dello stotra, Rāma affronta in duello Rāvaṇa e, seguendo il consiglio del suo auriga Mātali, uccide il re dei demoni con quel brahmāstra ricevuto in dono da Agastya (cfr. lo Āraṇyakāṇḍa).

Rāma e Sītā assisi sul trono con Hanumat (a sinistra) e Lakṣmaṇa (a destra) in atteggiamento devozionale (XVI secolo).

Vibhīṣaṇa piange la morte del fratello Rāvaṇa, ma Rāma gli ricorda che è morto da guerriero, quindi in modo coerente con i doveri della casta kṣatriya a cui apparteneva.

Le sue spose e Mandodarī, la madre di Indrajit, piangono la morte di Rāvaṇa. Vibhīṣaṇa celebra il rito funebre per il re dei demoni e viene incoronato nuovo re di Laṅkā.

Hanumat, inviato da Rāma, giunge da Sītā che, perdonate le proprie carceriere, compie le dovute abluzioni purificatorie adornandosi da principessa, quindi si presenta al dio ma, sopraffatta dall'emozione, pronuncia le sole parole āryaputra ("O nobile principe!").

Tra la sorpresa generale Rāma spiega alla sposa che le sue eroiche imprese hanno riguardato solo i suoi doveri di kṣatra quindi, non potendo accogliere la propria donna che è stata in casa di un altro uomo, la lascia libera di andare via.

Sītā protesta la propria innocenza, quindi invita Lakṣmaṇa a predisporre una pira dove ella si getterà nel fuoco.

Giungono schiere di dei i quali appellano Rāma in qualità di Dio, Persona suprema, ma egli contesta questo, dichiarandosi un semplice uomo e chiamando Brahmā come testimone di questo fatto. Ma Brahmā gli si rivolge con profondo rispetto, indicandolo come Viṣṇu-Nārāyaṇa, come Brahman e Signore dell'universo. Giunge anche il dio del fuoco sacrificale, Agni, che restituisce a Rāma Sītā confermandone l'innocenza e la purezza. A questo punto Rāma dichiara di essere sempre stato convinto della purezza della sposa, ma di aver richiesto tale prova per convincere il suo seguito e il popolo.

Indra, su richiesta di Rāma, riporta in vita i vānara morti in battaglia.

Vibhīṣaṇa dona al dio il carro Puṣpaka appartenuto a Kubera. Saliti tutti sul magnifico carro fanno ritorno ad Ayodhyā. Lungo il percorso raccolgono il fratello del dio, Bharata, che dopo aver collocato i sandali di Rāma sul trono, viveva in qualità di asceta in un eremo in attesa del ritorno del vero re.

Giunto nella capitale, Rāma viene solennemente insediato dal ṛṣi Vasiṣṭha sul trono di Ayodhyā, regnando per undicimila anni.

Il kāṇḍa termina con il phala ("frutto") della lettura/ascolto dell'opera: chiunque la compia è liberato dalla sofferenza, dal male, ottenendo quindi ciò che desidera, in quanto Dio, Rāma, di lui si compiace.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Cfr. ad es. Stefano Piano, in Giuliano Boccali, Stefano Piano, Saverio Sani, Le letterature dell'India UTET, Torino, 2000, p. 148.
  2. ^ Intende Rāma, discendente di Raghu, sovrano della dinastia solare e figlio di Dīlipa.
  3. ^ "Inno di lode" che viene cantato"
  4. ^ Intende Indra.
  5. ^ Intende Kubera.
  6. ^ Intende Varuna, in qualità di Signore delle acque.
  7. ^ Intende Agni.
  8. ^ Divinità vedica collegata alla fertilità.
  9. ^ Anche epiteto di Śiva.
  10. ^ Lett. "venuto fuori da un uovo [apparentemente] senza vita, cfr. Sani, p. 1237.
  11. ^ Sono i monti che segnano il confine meridionale dell'Āryāvarta.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Rāmāyaṇa Successore
Sundarakāṇḍa Rāmāyaṇa Uttarakāṇḍa