Progetto:Cattolicesimo/vivaio/10

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Carlo Borromeo[modifica wikitesto]

  • tradotto da [1]
  • da integrare in Carlo Borromeo
  • note della traduttrice: le prime quattro pagine sono una biografia di San Carlo. Circa a metà di pagina quattro si parla di un suo nipote, Federigo Borromeo diventatato Vescovo di Milano tra la fine del 1500 e l'inizio del 1600 che fondò la Biblioteca Ambrosiana. A questo punto si apre una parentesi, che non viene più richiusa, e ricomincia la biografia di San Carlo Borromeo a partire dalla nascita. La seconda biografia ovviamente è molto più dettagliata. Ciao anna

Alla morte di Pio IV (1566) l’abilità e lo zelo di Borromeo contribuirono materialmente a sopprimere le cabale del conclave. In seguito si dedicò interamente alla riforma della sua diocesi che era caduta in una condizione insoddisfacente a causa della prolungata assenza degli arcivescovi che lo avevano preceduto. Fece una serie di visite pastorali, e restituì decenza e dignità al servizio divino. In conformità ai decreti del Concilio di Trento, tolse dalla cattedrale le sue tombe eccessivamente decorate, i ricchi ornamenti, le insegne, le armi, senza risparmiare neppure i monumenti dei suoi stessi familiari. Divise la navata della chiesa in due parti per la separazione dei sessi. Estese le sue riforme alla chiese collegiate (anche alla confraternite dei penitenti e in particolare a quella di San Giovanni Battista) e ai monasteri. I grandi abusi che si erano diffusi nella chiesa a quel tempo erano nati principalmente dall’ignoranza del clero. Borromeo, perciò, istituì seminari, collegi e comunità per l’educazione dei candidati agli ordini sacri. La più notevole forse fra le sue fondazioni benefiche, fu la confraternita degli Oblati, una società i cui membri era obbligati a dare aiuto alla chiesa quando e dove poteva essere richiesto. Inoltre preparò il terreno per la Lega d’Oro (o Borromeiana) formata nel 1586 dai Cantoni Svizzeri Cattolici per espellere gli eretici se necessario anche con la forza delle armi.

Nel 1576, quando Milano fu colpita dalla peste, andò in giro a dare indicazioni per sistemare gli ammalati e seppellire i morti, senza evitare il pericolo e senza risparmiare i sacrifici. Visitò tutte le parrocchie vicine dove si era sviluppato il contagio, distribuendo denaro, provvedendo alle sistemazioni degli ammalati e punendo coloro, specialmente il clero, che erano negligenti nel compiere il proprio dovere. Egli incontrò molte opposizioni alle sue riforme. Il governatore della provincia e molti dei senatori, temendo che le ordinanze e le azioni del cardinale invadessero la giurisdizione civile, indirizzarono rimostranze e lamentele alle corti di Roma e Madrid. Ma Borromeo aveva difficoltà molto più ardue con cui combattere, nella solida opposizione di molti ordini religiosi, in particolare quello degli Humiliati (Fratelli di umiltà). Alcuni membri della società cospirarono contro la sua vita, e gli spararono nella cappella arcivescovile, in circostanze che portarono a credere che la sua salvezza fosse stata miracolosa. Il numero dei suoi nemici fu aumentato dal successo del suo attacco contro il suo confessore Gesuita, Ribeira, che con altri membri del collegio di Milano fu scoperto colpevole di peccati contro natura. Le molteplici attività di Borromeo e la sua austerità, probabilmente gli abbreviarono la vita. Si ammalò di febbre intermittente e morì a Milano il 4 novembre 1584. Fu canonizzato nel 1610 e la sua festa si celebre il 4 novembre.

Oltre alle Noctes Vaticanae cui sembra aver contribuito, i soli resti letterari dell’intrepido e zelante riformatore, sono alcune omelie, discorsi e sermoni, con una raccolta di lettere. I suoi sermoni sono stati tradotti in molte lingue. Contrariamente ai suoi ultimi desideri, fu eretto un monumento a lui nella Cattedrale di Milano, come pure una statua alta 20 metri sulla collina sopra Arona, da parte dei suoi ammiratori che lo consideravano il leader della Controriforma. La famosa chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane a Roma è intitolata a lui.

Suo nipote, Federico Borromeo (1564-1631), fu arcivescovo di Milano dal 1595 e nel 1609 fondò la Biblioteca Ambrosiana in quella città. San Carlo Borromeo – Arcivescovo di Milano, Cardinale del Titolo di San Prassede, Segretario di Stato Papale sotto papa Pio IV, e uno delle persone più importanti della Contro riforma Cattolica – nacque nel castello di Arona, una città sulla costa meridionale del Lago Maggiore, in Nord Italia, il 2 ottobre 1538; morì a Milano il 3 Novembre 1584. Il suo stemma è la parola latina humilitas (umiltà) coronata, che è una parte dello stemma dei Borromeo. Nell’arte di solito è rappresentato nelle sue vesti cardinalizie, scalzo e con la croce da arcivescovo; una fune intorno al collo, una mano alzata nel segno di benedizione, richiamando in tal modo la sua opera durante la pesta. La sua festa si tiene il 4 novembre.

qui inizia la seconda biografia più dettagliata[modifica wikitesto]

Suo padre era il Conte Gilberto Borromeo che, intorno al 1530, sposò Margherita de’ Medici. Il fratello minore di sua madre era Giovanni Angelo, Cardinal de’ Medici, che diventò papa nel 1559 con il nome di Pio IV. Carlo era il secondo figlio maschio , e il terzo dei sei figli di Gilberto e Margherita. La madre di Carlo morì intorno al 1547 e suo padre si risposò.

Trascorse i suoi primi anni in parte al Castello di Arona e in parte a Palazzo Borromeo a Milano. A dodici anni suo padre gli diede il permesso di ricevere la tonsura e, in seguito alla rinuncia di suo zio, Giulio Cesare Borromeo, divenne Abate titolare dell’Abbazia dei Santi Gratiniano e Feliciano ad Arona.

Quando ricevette la tonsura fu mandato da suo padre a Milano, dove studiò latino sotto J.J. Merla. Nell’ottobre 1552 lasciò Arona per l’università di Pavia dove ebbe come tutore Francesco Alciato, che in seguito divenne cardinale. La sua corrispondenza mostra che gli era stata concessa una piccola somma da suo padre, e che spesso era in precarie condizioni economiche, che gli causavano considerevoli inconvenienti. Non era solo perché lui stesso pativa ma perché anche il suo seguito non era vestito in modo adatto. Carlo evidentemente sentiva amaramente la sua umiliazione, ma non sembra aver mostrato impazienza. Lasciando Pavia per incontrare suo zio, il Cardinal de’ Medici, a Milano, nel giro di poche settimane fu richiamato per occuparsi del funerale di suo padre, che era morto all’inizio dell’ agosto 1558 e fu sepolto nella Chiesa di Santa Maria delle Grazia a Milano.

Nuove responsabilità toccarono subito a Carlo, perché, sebbene non fosse il figlio maggiore, comunque, su richiesta della famiglia, incluso suo fratello, si fece carico di tutti gli affari familiari. La questione riguardante il possesso del castello di Arona fu di grande difficoltà, dal momento che veniva richiesto sia dalla Francia che dalla Spagna. Carlo condusse i negoziati con grande energia e con abilità diplomatica, come conseguenza della Pace di Cambrai (3 Aprile 1559), il castello fu consegnato al Conte Francesco Borromeo, in nome del nipote, Federigo Borromeo, per essere governato da lui per conto del Re di Spagna. Egli fece anche molto per riportare alla loro antica disciplina monastica i religiosi dell’abbazia dei Santi Gratiniano e Felino. Sebbene i suoi studi fossero stati interrotti così spesso, tuttavia la serietà e l’attenzione gli permisero di completarli con successo, e nel 1559 discusse la sua tesi per il dottorato di diritto civile e canonico.

Nell’estate del 1559, Paolo IV morì, e il conclave per l’elezione del suo successore, che incominciò il 9 settembre, non si concluse fino al dicembre, quando il cardinale Giovanni Angelo de’ Medici, fu eletto e prese il nome di Pio IV. Il 3 gennaio 1560, Carlo ricevette un messaggio da un corriere del papa, che gli chiedeva di andare subito a Roma. Partì immediatamente per la città eterna, ma sebbene viaggiasse rapidamente non arrivò in tempo per l’incoronazione del papa (6 gennaio). Il 22 gennaio scrisse al conte Guido Borromeo che il papa gli aveva dato l’incarico di amministratore di tutti gli Stati papali. Il 31 gennaio divenne Cardinale-Diacono, insieme a Giovanni de’ Medici, figlio del Duca di Firenze, e a Gianantonio Serbellone, un cugino del papa. A Carlo fu affidato il Titolo della Chiesa dei Santi Vitio e Modesto, che nell’agosto seguente cambiò in quello di San Martino ai Monti. Egli non voleva far festa a Milano; tutte le celebrazioni furono ad Arona, dove furono celebrate dieci Messe de Spiritu Sancto.

A quel tempo il cardinale Ippolito d’Este di Ferrara, aveva rinunciato all’Arcivescovato di Milano e l’8 febbraio il papa aveva nominato Carlo amministratore della sede vacante. In seguito fu nominato Legato (cioè governatore per conto degli stati papali) di Bologna, della Romagna e della Marca di Ancona. Fu nominato Cardinale Protettore del Regno del Portogallo, della Bassa Germania e dei Cantoni Cattolici della Svizzera così come degli ordini dei Francescani, dei Carmelitani, degli Humiliati, dei Canonici Regolari della Santa Croce di Coimbra, dei Cavalieri di Gerusalemme (o Malta), e dei Cavalieri della Santa Croce di Cristo in Portogallo. Con un motu proprio (22 gennaio 1561) Pio IV gli assegnò un’entrata annuale di 1000 corone d’oro dalla mensa episcopale di Ferrara.

L’incarico di Carlo di segretario di stato papale e la sua cura per gli affari della famiglia non gli impedirono di trovare tempo per lo studio, e perfino per il divertimento, nelle forme del suono del liuto e del violoncello e del gioco della palla. Visse dapprima in Vaticano, ma nel luglio 1562 si trasferì a Palazzo Colonna, in Piazza Santi Apostoli. Poco dopo il suo arrivo a Roma fondò in Vaticano un’accademia che era un modo per fornire una distrazione dalle molte serie occupazioni, con un lavoro letterario. I membri, sia ecclesiastici che laici, si incontravano quasi ogni sera, e molti dei loro contributi si trovano tra i lavori di Carlo conosciuti come Noctes Vaticanae (Notti Vaticane). Molto presto Carlo fu impegnato come segretario di stato ad usare la sua influenza per ottenere la riunione del Concilio di Trento, che era stato sospeso dal 1552. La situazione dell’Europa era spaventosa da un punto di vista ecclesiastico. Molte erano le difficoltà che dovevano essere superate – con l’imperatore, con il re Filippo II di Spagna e, più grande di tutte, con la Francia dove era stato richiesto un concilio nazionale. Eppure, nonostante tutti gli ostacoli, il lavoro continuò con lo scopo di riunire il Concilio, e per la maggior parte furono la pazienza e la dedizione di Carlo che conseguirono l’obiettivo.

Fu non prima del 18 gennaio 1562 che il Concilio si riunì di nuovo a Trento con la presenza di due cardinali, 106 vescovi, 4 vescovi abati e 4 superiori generali di ordini. La corrispondenza intercorsa tra Carlo e i Cardinali Legati a Trento è enorme, e le questioni che sorsero molte volte rischiarono di causare lo scioglimento del concilio. Le difficoltà con l’ imperatore, e i principi nazionali anteposti per la Francia dal Cardinale Carlo di Lorena, Arcivescovo di Rheims, richiesero da parte di Carlo un’attenzione costante e la più grande delicatezza e abilità nei rapporti. La venticinquesima, e ultima, sessione del concilio fu tenuta il 3 e 4 dicembre 1563; ad essa erano presenti 255 Padri Conciliari. Al Concistoro del 26 gennaio 1564 Pio IV confermò i decreti del concilio e poi nominò una congregazione di dieci cardinali per occuparsi dell’esecuzione di questi decreti.

Durante le sedute del concilio nuovamente riunito, il fratello maggiore di Carlo, il Conte Federigo Borromeo, morì (28 novembre 1562). Questo evento ebbe un effetto molto determinante su Carlo, perché immediatamente decise di dedicarsi con ancor più ardore alla cose spirituali, e considerò la morte di suo fratello come un ammonimento a sé stesso a lasciare da parte tutte le cose del mondo. La sua risoluzione era ben necessaria, poiché, dal momento che lui ora era il capo della famiglia, gli fu fatta grande pressione perché abbandonasse la condizione ecclesiastica e si sposasse. Questo punto di vista gli fu suggerito anche dal papa su istanza degli altri parenti. Alcuni mesi passarono in questi tentativi di convincere Carlo, ma alla fine decise di ribadire la propria scelta sulla condizione ecclesiastica facendosi ordinare prete in segreto. L’ordinazione avvenne, nelle mani del Cardinale Federigo Cesa, in Santa Maria Maggiore il 4 settembre 1563. Egli scrive che celebrò la sua prima messa in giorno dell’Assunzione, in San Pietro, all’altare della Confessione. Disse la sua seconda messa in casa sua, devoto a Gesù, in una cappella dove San Ignazio era solito celebrare. A quel tempo Carlo aveva come confessore il Gesuita Padre Giovanni Battista Ribera. Il 7 dicembre 1563, festa di Sant’Ambrogio, fu consacrato Vescovo nella Cappella Sistina; il 23 marzo 1564 ricevette il pallio, e fu preconizzato il 12 maggio. Nel giugno seguente la sua chiesa titolare fu cambiata in quella di Santa Prassede.

Nel frattempo Carlo aveva provveduto per i bisogni spirituali della sua diocesi. Antonio Roberti nel maggio 1560 aveva preso possesso dell’Arcivescovato come suo vicario e Carlo inviò Monsignor Donato, Vescovo di Bobbio, come suo delegato per le funzioni episcopali. Monsignor Donato presto morì e al suo posto Carlo incaricò Monsignor Girolamo Ferragato, un Padre Agostiniano, uno dei suoi suffraganti, di visitare la diocesi e di riferirgli i suoi bisogni. Ferragato arrivò a Milano il 23 aprile 1562; il 24 giugno dello stesso anno Carlo inviò a Milano i Gesuiti Palmio e Carvagial, con l’obiettivo di preparare sia il clero che i laici della diocesi all’adempimento delle riforme prescritte dal Concilio di Trento. Egli si preoccupava per il bene spirituale del suo gregge, ma non era meno sollecito per il proprio. Allora gli venne da pensare quale fosse il volere di Dio riguardo a lui e se dovesse continuare come padre spirituale della sua diocesi o ritirarsi in un monastero. Nell’autunno del 1563, fra le sessioni del Concilio di Trento, il Cardinale di Lorena venne a Roma , accompagnato dal Venerabile Bartolomeo dei Martiri, dell’Ordine dei Domenicani, Arcivescovo di Braga, che aveva già mostrato di essere uno spirito simile a Carlo, e quando Pio IV li presentò e suggerì che dovesse cominciare la riforma dei cardinali dalla persona di Carlo, Bartolomeo rispose che se il Principe della Chiesa avesse avuto tutti Cardinali come il Cardinal Borromeo, li avrebbe proposti come modelli per la riforma del resto del clero. In un colloquio privato, Carlo aprì il suo cuore a Bartolomeo e gli disse del suo pensiero di ritirarsi in un monastero. Bartolomeo si rallegrò del suo desiderio, ma allo stesso tempo dichiarò la sua opinione che fosse desiderio di Dio che egli non abbandonasse la sua posizione. Carlo fu così rassicurato che doveva rimanere nel mondo; ma soprattutto sentiva che doveva visitare la sua diocesi, sebbene il papa si opponesse sempre alla sua partenza. Bartolomeo gli consigliò pazienza e gli spiegò l’assistenza che poteva dare al papa e alla Chiesa tutta rimanendo a Roma. Carlo fu persuaso e rimase, facendo il grande lavoro necessario grazie all’invio di zelanti sostituti. Dopo il Concilio di Trento fu molto occupato con la produzione del catechismo che riuniva gli insegnamenti del concilio, la revisione del Messale e del Breviario. Fu anche un membro della commissione per la riforma della musica religiosa, e scelse Giovanni Pierluigi da Palestrina per comporre tre Messe; una di queste è la "Missa Papae Marcelli".La sollecitudine pastorale, che è la caratteristica scelta per menzionarlo nell’orazione per la sua festa, lo rese sempre desideroso di avere a Milano i migliori rappresentanti. Aveva udito delle eccellenti qualità di Monsignor Nicolò Ormaneto, della diocesi di Verona, e riuscì ad ottenere il consenso del suo Vescovo al suo trasferimento a Milano. Ormaneto era stato nella famiglia del Cardinale Pole, ed era stato anche l’assistente principale del Vescovo di Verona. Il primo luglio 1564, Ormaneto arrivò a Milano, e subito mise in pratica le istruzioni di Carlo convocando insieme un Sinodo diocesano per la promulgazione dei decreti del Concilio di Trento. Al Sinodo parteciparono 2000 preti. Fu con il clero che Carlo iniziò le riforme, e i molti abusi necessitavano di un atteggiamento abile e pieno di tatto. Padre Palmio contribuì molto nel portare il clero a sentire la necessità della riforma. Il sinodo fu seguito da una visita della diocesi da parte di Ormaneto. A settembre Carlo mandò trenta Padri Gesuiti per assistere il suo vicario; tre di questi furono messi a capo del seminario che fu aperto l’ 11 novembre (festa di San Martino di Tours). Carlo continuava costantemente a dirigere l’opera di restaurazione della disciplina ecclesiastica , e l’educazione dei giovani, anche fino ai dettagli più minuti, era soprattutto nei suoi pensieri. Il modo di pregare, la repressione dei preti avari, le cerimonie ecclesiastiche e la musica religiosa, sono alcuni degli argomenti su cui Carlo scrisse molte lettere. Il ritorno della stretta osservanza della regola nei conventi di suore fu un altro argomento su cui Carlo raccomandò l’attenzione di Ormaneto; fu ordinato di mettere delle grate nei parlatori dei conventi e, per rimuovere le difficoltà materiali, Carlo ordinò al suo agente, Albonese, di pagare il costo di ciò quando i conventi, a causa della povertà, non erano in grado di sostenere le spese. Quest’ordine gli causò difficoltà con i suoi parenti. Due delle sue zie, sorelle di Pio IV, erano entrate nell’ordine di San Domenico; esse considerarono il collocamento delle grate come un’offesa alla reputazione del loro convento. Carlo, in una lettera (28 aprile 1565) mostrando molta riflessione e grande tatto, si sforzò di portare le sue zie a vedere il buon proposito di quell’ordine, ma senza successo, e il papa scrisse, il 26 maggio 1565, dicendo loro che aveva dato ordini generali per mettere le grate, e che gli avrebbe fatto piacere che le persone unite a lui da vincoli di sangue e di affetto dessero il buon esempio agli altri conventi.

Nonostante il supporto fornitogli da Carlo, Ormaneto fu scoraggiato dagli scacchi incontrati ed espresse il desiderio di ritornare nella sua diocesi. Carlo fece pressione sul papa perché gli permettesse di lasciare Roma, e contemporaneamente incoraggiò Ormaneto a restare. Alla fine il papa diede a Carlo il permesso di visitare il suo gregge e di riunire un concilio provinciale; ma, desiderando che il suo soggiorno fosse breve, nominò Carlo Legato a latere per tutta l’Italia. Carlo si preparò a partire, scelse dei canonici che lo aiutassero nel concilio, e scrisse alla corte di Spagna e a Filippo II. Lasciò Roma l’ 1 settembre e, passando attraverso Firenze, Bologna, Modena e Parma, fece il suo ingresso solenne a Milano sabato 23 settembre 1565. Il suo arrivo fu l’occasione di grandi festeggiamenti, e la gente fece del suo meglio per dare il benvenuto al primo arcivescovo residente da otto anni. La domenica seguente pregò nel Duomo con le parole: “Ho tanto desiderato fare questa cene pasquale con voi”(Luca 22,15).

Il 15 ottobre il primo concilio provinciale vide la partecipazione di dieci dei quindici vescovi della provincia, e quelli assenti erano rappresentati dai loro procuratori. Tre di questi prelati erano cardinali, e uno, Nicolò Sfondrato di Cremona, divenne poi papa con il nome di Gregorio XIV. Carlo annunciò che la riforma doveva cominciare con i prelati.: “dobbiamo camminare davanti, e i nostri seguaci spirituali ci seguiranno più facilmente”. Incominciò elencando fino in fondo tutte le cose che richiedeva a sé stesso e il suo meraviglioso operato ecclesiastico lasciò attoniti i prelati. Il concilio finì il 3 novembre e Carlo mandò un rapporto minuzioso al papa.

Il 6 novembre si recò a Trento come legato per incontrare le Arciduchesse Giovanna e Barbara, che erano promesse spose al principe di Firenze e al Duca di Ferrara. Carlo condusse Barbara a Ferrara e Giovanna in Toscana, dove, a Fiorenzuola, ricevette la notizia della seria malattia del papa. Raggiunse Roma per scoprire che le condizioni del papa erano senza speranza e subito disse al Santo Padre di volgere tutti i suoi pensieri alla sua dimora in paradiso. Il 10 dicembre Pio IV morì, assistito da due santi, Carlo e Filippo Neri. Il 7 gennaio 1566, si concluse il conclave per l’elezione del nuovo papa con l’elezione del Cardinal Michele Ghislieri, , dell’ordine dei domenicani, di Alessandria, Vescovo di Mondovì che, su richiesta di Carlo, prese il nome di Pio V. E’ stato affermato che Carlo dapprima favorì il Cardinal Morone, ma la sua lettera al re di Spagna (Sylvain, I,309) sembra provare che egli fece del suo meglio per assicurare l’elezione del Cardinal Ghislieri.

Pio V desiderava tenere Carlo a Roma come assistente; ma sebbene Carlo ritardasse per un certo periodo la sua partenza, alla fine le sue oneste istanze gli ottennero il permesso di ritornare a Milano, almeno per l’estate. Ritornò nella sua sede il 5 aprile 1566 dopo aver fatto una deviazione per visitare il santuario di Nostra Signora di Loreto. Carlo mostrò in modo ammirevole come la Chiesa avesse il potere di riformarsi dall’interno e, sebbene l’impresa che dovette compiere fosse gigantesca, si dedicò alla sua esecuzione con grande calma e fiducia. Incominciò dai suoi beni familiari, regalò molte delle sue proprietà ai poveri e insisteva che si usasse la massima economia in tutto ciò che lo riguardava personalmente; per la sua posizione di arcivescovo e cardinale richiedeva il dovuto rispetto. Mise in pratica grandi mortificazioni, e qualunque regola il Concilio di Trento o il suo concilio provinciale formulassero per la vita dei vescovi, lui la mise in pratica non solo nella lettera ma anche nello spirito.

Le regole per la conduzione della sua famiglia, sia negli affari spirituali che in quelli temporali, si possono trovare negli Acta Ecclesiae Mediolanensis (Atti della Chiesa milanese). Il risultato della cura che si prese della sua famiglia si vide nei molti membri di essa che diventarono insigni vescovi e prelati. Più di venti furono scelti mentre erano membri della famiglia del cardinale; uno di questi fu il Dottor Owen Lewis, membro del New College di Oxford, che insegnò a Oxford e a Douai e dopo essere stato vicario generale di San Carlo, fu fatto vescovo di Cassano in Calabria.

L’amministrazione della diocesi necessitava di essere perfezionata; perciò scelse un vicario generale dalla vita esemplare, esperto in legge e disciplina ecclesiastica. Nominò anche altri due vicari, uno per le cause civili e l’altro per quelle criminali. Associò ad essi altri ufficiali, tutti scelti per la loro integrità, e si preoccupò che fossero ben pagati, così da precludere ogni sospetto di venalità. La corruzione in tali materie gli era particolarmente sgradita. Mentre si preoccupava di avere ufficiali integri, non si dimenticava delle necessità dei prigionieri, e col tempo la sua corte fu conosciuta come il santo tribunale. Egli organizzò la sua amministrazione in modo tale che grazie a rapporti e colloqui con i visitatori e i vicari foranei, le sue visite pastorali erano feconde di grandi frutti. I canonici del capitolo della sua cattedrale furono a loro volta oggetto della suo zelo riformatore. Propose loro il suo progetto di affidare loro un compito ben determinato nella teologia in relazione al Sacramento della Penitenza. Essi accolsero con favore la sua riforma, come egli scrisse a Monsignor Bonome: “Il risultato della via che intrapreso è molto differente da quello in voga oggi” (27 aprile 1566). Pio V si congratulò con Carlo per i suoi successi e lo esortò a continuare l’opera.

Un altro grande lavoro che si incominciò a quel tempo fu quello della Confraternita della Dottrina Cristiana, in modo che i fanciulli potessero essere istruiti con cura e in modo sistematico. Quest’opera fu in realtà l’inizio di ciò che ora è conosciuto come Scuola Domenicale, e c’è un’importante testimonianza di ciò in un’iscrizione sotto una statua che si trova all’esterno della Chiesa Unitariana dell’Essex, a Kensington, Londra, dove il cardinal Borromeo è citato in collegamento con l’opera. La visita del suo gregge fu portata avanti regolarmente e furono fondate varie opere pie per soccorrere le necessità dei bisognosi. Nel 1567 si iniziò a fare opposizione alla sua giurisdizione. I funzionari del Re di Spagna annunciarono che avrebbero inflitto pene severe agli ufficiali dell’arcivescovo se avessero continuato ad imprigionare laici o a portare armi. Il fatto fu riportato al re e infine al papa che consigliò il Senato di Milano di supportare l’autorità ecclesiastica. Non si riportò la pace; e il bargello, o sceriffo, dell’arcivescovo fu imprigionato. L’arcivescovo annunciò una sentenza di scomunica sul capitano di giustizia a su parecchi altri ufficiali. Seguirono molti conflitti e di nuovo l’argomento fu portato davanti al papa, che decise in favore dell’arcivescovo.

Nell’ottobre 1567 Carlo iniziò a visitare tre vallate svizzere, Levantina, Bregno e la Riviera. In molti posti in verità c’erano da fare tante riforme. In particolare il clero era in molti casi così molle e noncurante, e viveva perfino in modo scandaloso, che la gente era diventata ugualmente negligente e corrotta. Le avversità del suo viaggio furono grandi; Carlo viaggiò a dorso di mulo, ma qualche volta a piedi, sul terreno più difficile e ed anche più pericoloso. Le sue fatiche portarono grandi frutti, un nuovo spirito si infuse sia nel clero che nei laici. Nell’agosto 1568 si tenne il secondo sinodo diocesano e fu seguito, nell’aprile 1569, dal secondo concilio provinciale. Nell’agosto 1569 vennero fuori delle difficoltà in collegamento con la chiesa collegiata di Santa Maria della Scala. Questa chiesa era stata dichiarata, da Clemente VII nel 1531, esente dalla giurisdizione dell’Arcivescovo di Milano, a patto che ottenesse il consenso dell’arcivescovo; ma questo consenso non era mai stato ottenuto, e di conseguenza l’esenzione non aveva avuto effetto. Ora il governatore, il Duca di Albuquerque, era stato convinto dagli oppositori dell’Arcivescovo a pubblicare un editto che dichiarava che tutti quelli che violavano la giurisdizione del re avrebbero ricevuto pene severe. I canonici de La Scala reclamarono l’esenzione dall’ arcivescovo e fecero affidamento sul potere secolare perché li supportasse. Carlo annunciò la sua intenzione di fare la sua visita secondo i desideri del papa, inviando ai canonici Monsignor Luigi Moneta . Fu accolto con opposizione e insultato apertamente. A inizio settembre lo stesso Carlo vi si recò, vestito per una visita pastorale. Gli fu di nuovo mostrato lo stesso comportamento violento. L’arcivescovo prese la croce nelle mani e proseguì pronunciando la sentenza di scomunica. Gli uomini armati sollevarono le loro armi; i canonici chiusero la porta della chiesa davanti a Carlo che con gli occhi fissi al crocifisso, raccomandò se stesso e questi uomini indegni alla protezione divina. Carlo fu davvero in pericolo per la sua vita, perché i sostenitori dei canonici aprirono il fuoco, e la croce nelle sue mani fu danneggiata. Quest’atto fu seguito da colpi e grida, rimozione delle notifiche e la dichiarazione l‘arcivescovo stesso era sospeso dal suo incarico. Pio V fu scioccato da questo incidente e soltanto con grande difficoltà permise a Carlo di trattare con questi canonici ribelli quando questi si pentirono.

Nell’ottobre 1569 Carlo fu di nuovo in grande pericolo. L’ordine degli Humiliati, del quale era protettore, grazie al suo zelo perseverante era stato indotto ad accettare alcune riforme nel 1567. Ma alcuni dei suoi membri si sforzavano per ottenere un ritorno alla loro condizione precedente. Dal momento che Carlo non acconsentiva, alcuni membri dell’ordine diedero vita ad una cospirazione contro la sua vita. Il 26 ottobre, mentre Carlo stava facendo la preghiera serale con la sua famiglia, un membro degli Humiliati, vestito da laico, entrato con le altre persone del pubblico che erano ammesse alla cappella, prese posto a quattro o cinque iarde dall’ arcivescovo. Si stava cantando il mottetto di Orlando Lasso “tempus est ut revertar ad eum qui misit” (è tempo che torni a colui che mi ha mandato); erano state appena cantate le parole “Non turbetur cor vestrum, neque formidet” ( non si turbi il vostro cuore né tema ) quando l’assassino fece fuoco con la sua arma, caricata con un proiettile, e colpì Carlo che era inginocchiato all’altare. Carlo, pensando di essere ferito mortalmente, si raccomandò a Dio. Si diffuse il panico, e ciò permise all’assassino di scappare, ma Carlo invitò la sua famiglia a finire le preghiere. Alla loro conclusione si scoprì che la pallottola non aveva nemmeno forato i suoi abiti, ma che qualcosa dello sparo era penetrato fino alla pelle e dove la pallottola aveva colpito si vedeva una leggera tumefazione, che rimase per tutta la sua vita.

Fu chiaro quanto lontano si erano spinte quelle menti sregolate e quale svolta seria avevano preso le situazioni. Subito il governatore intraprese dei rapidi passi per assicurare a Carlo la sua simpatia e il suo desiderio di trovare gli assassini. Carlo non avrebbe voluto permetterlo, e domandò al governatore di usare i suoi sforzi per impedire che fossero violati i diritti della chiesa. In qualche misura ciò portò i canonici de La Scala a chiedere perdono e il 5 febbraio 1570, Carlo li assolse pubblicamente davanti alle porte della sua cattedrale. Nonostante il suo desiderio di perdonare quelli che avevano attentato alla sua vita, e i suoi sforzi per evitare la loro persecuzione, quattro dei cospiratori (fra di loro Farina, che effettivamente aveva sparato) furono condannati a morte. Sebbene facessero tutti parte del clero, furono giudicati dal potere civile (29 luglio 1570); due furono decapitati, Farina e un altro furono impiccati.

A quel tempo Carlo fece una seconda visita in Svizzera, visitando prima le tre valli della sua diocesi, poi andò sulle montagne per incontrare la sua sorellastra Ortensia, Contessa d’Altemps. Infine visitò tutti i Cantoni Cattolici, usando ovunque la sua influenza per rimuovere gli abusi sia fra il clero che fra i laici, e per restaurare l’osservanza religiosa nei monasteri e nei conventi. Visitò Altorf, Unterwalden, Lucerne, Saint Gall, Schwyz, Einsiedeln, dove disse che in nessun altro luogo se non a Loreto aveva mai fatto esperienza di un così grande sentimento religioso (10 settembre 1570). L’eresia si era diffusa in molti di questi territori, e Carlo mandò loro missionari esperti per riconquistare coloro i quali l’avevano abbracciata.

A quel tempo Pio V, venendo alla conclusione che nessun provvedimento inferiore alla soppressione dell’ordine degli Humiliati era adeguato, promulgò la Bolla Papale (7 febbraio 1571), sopprimendo l’ordine e dando disposizioni per le sue proprietà. Quello stesso anno, a causa di uno scarso raccolto l’intera provincia soffrì per una terribile carestia, durante la quale Carlo si diede da fare con un lavoro incessante per aiutare le persone che morivano di fame, soccorrendo a sue proprie spese tremila persone al giorno per tre mesi. Il suo esempio indusse altri ad aiutare, il governatore in particolare, dando grandi una gran quantità di elemosine. Nell’estate 1571 Carlo fu seriamente malato per un certo periodo, in agosto; essendosi in parte rimesso, stava facendo la sua visita pastorale quando venne a sapere della grave malattia del governatore, il Duca di Albuquerque. Carlo ritornò a Milano soltanto in tempo per consolare la Duchessa. Fece uso delle preghiere ordinate da Pio V per il successo dei Cristiani contro i Turchi, per incitare il suo gregge ad allontanare l’ira di Dio con la penitenza. Grandi furono i festeggiamenti dopo la vittoria navale di Lepanto (7 ottobre 1571). Carlo era particolarmente interessato a questa spedizione per il fatto che le navi papali erano comandate da Marco Antonio Colonna, il cui figlio Fabricio aveva sposato sua sorella, Anna Borromeo.

L’arcivescovo rimase in cattiva salute, soffrendo di una leggera febbre e di catarro. Si temette che gli venisse la tisi; nonostante la sua malattia si preparò per il terzo sinodo diocesano, che si tenne in sua assenza nell’aprile 1572. Subito dopo venne a sapere della morte di Pio V (1 maggio 1572) e, sebbene debole, partì per il conclave, che durò un giorno e portò all’elezione del Cardinale Ugo Buoncompagni con il nome di Gregorio XIII, il 13 maggio 1572. Dal momento che le cure mediche non lo avevano fatto tornare in salute, allora le abbandonò e ritornò al suo normale stile di vita, con il risultato che in breve tempo si sentì abbastanza bene. Durante il suo viaggio di ritorno a casa visitò di nuovo Loreto a Novembre, e raggiunse Milano il 12 Novembre. A quel tempo rinunziò agli uffici di Gran Penitenziere, Arciprete di Santa Maria Maggiore, e ad altre alte dignità. Nell’aprile 1573, tenne il suo terzo concilio provinciale.

Il nuovo governatore di Milano, Don Luigi di Requesens, aveva conosciuto Carlo a Roma, ma non appena prese il suo incarico, essendo pressato dagli oppositori di Carlo, pubblicò alcune lettere che falsamente incriminavano Carlo su questioni riguardanti l’autorità reale e contenevano molte affermazioni che erano contrarie ai diritti della Chiesa. Carlo protestò contro la loro pubblicazione; con grande riluttanza, e dopo una molto ansiosa decisione meditata, pronunciò pubblicamente in agosto una sentenza di scomunica, esplicitamente contro il gran Cancelliere, ed implicitamente contro il Governatore. Come conseguenza di ciò in città furono pubblicati dei libelli contro Carlo. Il Governatore mostrò il suo malcontento mettendo delle restrizioni agli incontri delle confraternite, e privando anche Carlo del castello di Arona. Erano in circolazione varie voci a proposito di molti piani scellerati contro Carlo, ma lui mantenne la sua calma e continuò il suo lavoro con il suo solito zelo, nonostante il fatto che il governatore avesse posto una guardia armata a controllare il suo palazzo. Dal momento che nessuna delle azioni del governatore ebbe successo , il governatore fu indotto a chiedere l’assoluzione, che ottenne con l’inganno. Quando Gregorio XIII lo venne a sapere, costrinse il governatore a dare soddisfazione a Carlo. Ciò fu fatto, il 26 novembre Carlo annunciò che il governatore era stato assolto da ogni punizione e censura. In questi anni Carlo fondò un collegio per la nobiltà a Milano.

Nell’agosto 1574 Enrico III di Francia stava passando attraverso la diocesi di Milano nel suo viaggio dalla Polonia per prendere possesso del trono di Francia. Carlo lo incontrò a Monza. Il quarto sinodo diocesano fu a novembre 1574. Gregorio XIII proclamò un anno giubilare per il 1575 e l’8 dicembre 1574 Carlo partì per Roma. Visitò molti santuari e, una volta giunto a Roma, completò le devozioni richieste e partì per Milano in febbraio. Assisté sul letto di morte suo cognato Cesare Gonzaga e continuò la visita pastorale delle sue province. Nel 1576 si tenne il giubileo nella diocesi di Milano a partire dal 2 febbraio.

Mentre si celebrava il giubileo, arrivarono notizie dello scoppio della peste a Venezia e a Mantova. A maggio si tenne il quarto concilio provinciale. In agosto, Don Giovanni d’Austria visitò Milano. Erano stati fatti gli esercizi religiosi e il suo arrivo divenne l’occasione di festeggiamenti e di effetti spettacolari. Tutto a un tratto ogni cosa cambiò, per la peste apparsa a Milano. Carlo era a Lodi, al funerale del vescovo. Ritornò subito e ispirò fiducia tutti. Era convinto che la peste era stata mandata come un castigo per il peccato, e cercava soprattutto di dedicarsi alla preghiera. Nello stesso tempo pensava alla gente. Si preparò alla morte, fece testamento (9 settembre 1576) e poi si dedicò interamente al suo popolo. Faceva visite personali nelle case colpite dalla peste. Andava nell’ospedale di San Gregorio dove erano i casi peggiori; si recava da loro e la sua presenza era di conforto per i sofferenti. Sebbene lavorasse lui stesso con così tanto ardore, fu solo dopo molti tentativi che il clero secolare della città fu indotto ad assisterlo, ma le sue parole persuasive alla fine ebbero la meglio, tanto che poi essi lo aiutarono in ogni modo. Fu a quel tempo che, desiderando fare penitenza per la sua gente, camminò in processione a piedi nudi, con un laccio intorno al collo e portando allo stesso tempo in mano la reliquia del Santo Chiodo.

All’inizio del 1577 la peste iniziò a diminuire, e sebbene ci fosse un temporaneo aumento del numero di casi, alla fine calò. I Milanesi avevano fatto voto di costruire una chiesa dedicata a San Sebastiano, se li avesse salvati. Questa promessa fu mantenuta. Carlo scrisse a quel tempo il “Memoriale”, un piccolo lavoro, indirizzato ai suoi suffraganti, che aveva lo scopo di ricordare le lezioni fatte per la cessazione della peste. Egli compilò anche libri di devozione per le persone di ogni stato sociale. Intorno all’inizio del 1578 la peste era quasi scomparsa da ogni parte.

Alla fine del 1578 si tenne il quinto sinodo diocesano. Durò tre giorni. Carlo a quel tempo si sforzava di indurre i canonici della cattedrale a unirsi tra loro in vita di comunità. In quell’anno, il 16 agosto, iniziò la fondazione della congregazione dei preti secolari sotto la protezione di Nostra Signora di Sant’Ambrogio, dandole il nome di Oblati di Sant’Ambrogio. Sebbene fosse stato aiutato da vari ordini religiosi, specialmente dai Gesuiti e dai Barnabiti, uno dei quali (il Beato Alessandro Sauli) era stato per molti anni il suo fedele consigliere, tuttavia sentì il bisogno di un gruppo di uomini che potessero agire come suoi assistenti e, vivendo in comunità, fossero più facilmente influenzati dal suo spirito e dai suoi desideri. Egli era la mente-guida di questa nuova congregazione, e aveva sempre insistito sulla necessità di una completa unione fra lui stesso e i suoi membri. Era suo piacere stare con loro e, occupandosi di loro come un padre, essi erano pronti ad andare dove lui voleva, ad intraprendere imprese di ogni tipo. Li inviò nei seminari, nelle scuole e nelle confraternite. I sinodi rimanenti si tennero nel 1579 e negli anni successivi, l’ultimo (l’undicesimo) nel 1584.

Il suo primo pellegrinaggio a Torino, per visitare la Sacra Sindone, fu nel 1578. In quel periodo visitò per la prima volta la montagna sacra di Varallo per meditare sui misteri della Passione nella cappella che si trovava là. Nel 1578-9 il Marchese di Ayamonte, il governatore che era succeduto a Requesens, si oppose alla giurisdizione dell’arcivescovo, e nel settembre del 1579 Carlo si recò a Roma per ottenere una decisione sulla questione della giurisdizione. La disputa si inasprì in conseguenza del fatto che il governatore ordinò che si celebrasse il carnevale in aggiunta alle festività della prima domenica di quaresima, contro gli ordini dell’arcivescovo. Il papa confermò i decreti dell’arcivescovo e chiese ai Milanesi di sottomettersi. Gli inviati mandati da questi provavano così tanta vergogna che non presentarono nemmeno la risposta del papa. Gregorio XIII aveva accolto Carlo e fatto festa in sua presenza. Carlo fece molto lavoro durante il suo soggiorno nella sua provincia, specialmente per la Svizzera. A proposito della regola che Carlo aveva redatto per gli Oblati di Sant’Ambrogio, c’è da notare che quando a Roma la sottomise a San Filippo Neri, che gli consigliò di escludere il voto di povertà, Carlo difese la sua inclusione, così Filippo disse :”Lo faremo decidere a Frate Felice”. Questo frate era un semplice fratello laico del convento dei Cappuccini, vicino a piazza Barberini. San Filippo e San Carlo andarono da lui ed egli mise il suo dito sull’articolo che trattava del voto di povertà e disse, “Questo è ciò che si dovrebbe cancellare”. Felice ora è conosciuto come San Felice di Cantalicio.

Carlo ritornò a Milano passando per Firenze, Bologna e Venezia, rianimando ovunque il vero spirito ecclesiastico. Quando arrivò a Milano la gioia del suo popolo fu grande, perché si era detto che non sarebbe ritornato. Dopo l’inizio della Quaresima (1580), Carlo iniziò la sua visita a Brescia; poco dopo, in Aprile, fu richiamato a Milano per assistere sul letto di morte il governatore Ayamonte. In questo anno Carlo visitò la vallata della Valtellina, nel cantone svizzero dei Grigioni. A luglio gli capitò di conoscere un giovane che in seguito raggiunse una grande santità. Fu invitato dal Marchese Gonzaga a stare presso di lui e rifiutò, ma mentre abitava presso la casa dell’arciprete, incontrò il figlio maggiore del Marchese, Luigi Gonzaga, che allora aveva dodici anni, e che ora è salito agli onori degli altari con il nome di San Luigi Gonzaga, della Società dei Gesuiti. Carlo gli diede la sua prima comunione. L’anno seguente (1581) Carlo mandò al Re di Spagna un inviato speciale nella persona di Padre Charles Bascape dei Barnabiti, incaricandolo di arrivare ad un accordo sulla questione della giurisdizione. Il risultato fu che fu inviato un governatore, il Duca di Terra Nova, il quale aveva istruzioni di agire in accordo con Carlo. Dopodiché non ci furono ulteriori controversie

Nel 1582 Carlo partì per il suo ultimo viaggio a Roma, sia in obbedienza ai decreti del Concilio di Trento, sia per far confermare i decreti del sesto concilio provinciale. Questa fu la sua ultima visita, e durante tale visita risedette presso il monastero annesso alla sua chiesa titolare di Santa Prassede, dove si possono vedere ancora alcuni pezzi del mobilio da lui usato. Lasciò Roma nel gennaio 1583 e viaggiò attraverso Siena e Mantova dove era stato incaricato dal papa di pronunciare un giudizio. Una grande parte di questo anno fu occupata dalle visite pastorali. A novembre incominciò una visita come visitatore Apostolico di tutti i cantoni della Svizzera e dei Grigioni, lasciando gli affari della sua diocesi nelle mani di Monsignor Owen Lewis, il suo vicario generale. Iniziò nella valle di Mesoleina; qui non solo si doveva combattere l’eresia ma anche la magia e la stregoneria, e a Roveredo si scoprì che il prevosto, o rettore, era il primo in stregoneria. Carlo passò un tempo considerevole per rimettere a posto questo terribile stato di cose. Fu sua speciale cura lasciare santi preti e buoni religiosi a guidare la popolazione. Poi visitò Bellinzona e Ascona, lavorando strenuamente per estirpare l’eresia, e incontrando molta opposizione da parte del Vescovo di Coire. Le negoziazioni continuarono fino all’anno seguente, l’ultimo di Carlo sulla terra. Tutto il suo lavoro portò frutti e i suoi sforzi in questi luoghi assicurarono la conservazione della Fede. Gli eretici diffondevano falsi rapporti secondo cui Carlo in realtà stava lavorando per la Spagna contro gli abitanti dei Grigioni. Nonostante le loro falsità Carlo continuò ad attaccarli e a difendere i Cattolici, che dovevano soffrire molto.

Alla fine del 1584 ebbe un attacco di erisipela in una gamba, che lo obbligò a rimanere a letto. Nonostante ciò tenne una riunione dei sessanta diaconi rurali, con cui discusse in maniera completa delle necessità della diocesi. Fece anche grandi tentativi per sopprimere le licenziosità del carnevale. Conoscendo le necessità degli invalidi che lasciavano il grande ospedale, decise di fondare un ospedale per convalescenti. Non visse per vederlo completato, ma il suo immediato successore si preoccupò che il lavoro fosse portato a termine. Nel mese di settembre e all’inizio di ottobre fu a Novara, Vercelli e Torino. L’8 ottobre lasciò Torino e di lì si recò a Monte Varallo. Si stava preparando alla morte. Fu chiesto al suo confessore, frate Adorno, di raggiungerlo. Il 15 ottobre iniziò gli esercizi spirituali facendo una confessione generale. Il 18 il Cardinale di Vercelli lo convocò ad Arona per discutere affari importanti ed urgenti. La notte prima Carlo passò otto ore in preghiera in ginocchio. Il 20 ritornò a Varallo; il 24 arrivò un attacco di febbre; dapprima lo tenne segreto, ma risentendo della debolezza fu obbligato ad ammettere le sue condizioni. Questo stato durò cinque giorni ma lui continuò ogni giorno a dire Messa e a dare la Comunione, e portò avanti la sua corrispondenza. Sembrava sapere che la morte era vicina ed era determinato a lavorare finché ne aveva la forza.

L’istituzione del collegio di Ascona non era stat acompletata ed era urgente che fosse finito in breve tempo, così Carlo fece pressioni e, nonostante le sofferenze, il 29 ottobre , partì dopo aver fatto una visita di addio alle cappelle. Fu trovato prostrato nella cappella in cui era rappresentata la deposizione di Cristo. Andò a cavallo fino ad Arona, di lì in battello a Canobbio, dove si fermò una notte, disse Messa il 30 e continuò verso Ascona. Visitò il collegio e poi partì di notte per Canobbio, fermandosi per breve tempo a Locarno, dove voleva benedire un cimitero, ma, trovandosi senza i suoi vestimenti pontificali, abbandonò l’idea. Quando raggiunse Canobbio la febbre stava scendendo ed era molto debole. Il giorno seguente prese il battello per Arona e si fermò là con i Gesuiti, al noviziato che aveva fondato, e il giorno di Ognissanti disse Messa per l’ultima volta, dando la comunione ai novizi e a molti dei fedeli. Il giorno dopo assistette alla Messa e ricevette la Santa Comunione. Suo cugino, Rene Borromeo, lo accompagnò sulla barca e quella sera raggiunse Milano. Non si sapeva che lui fosse malato. Visitò subito i dottori, ai cui ordini obbedì. Non permise che si dicesse Messa nella sua camera. Un dipinto di Nostro Signore nella tomba stava dinnanzi a lui, insieme ad altri due, uno di Gesù a Getzemani ed uno del corpo del Cristo morto. I dottori ritenevano che fosse in pericolo estremo, e sebbene ci fosse stato un leggero miglioramento, non fu mantenuto, e la febbre ritornò con estrema gravità. L’arciprete della cattedrale gli diede il Viatico, che egli ricevette vestito con il rocchetto e la stola. Fu suggerita l’amministrazione dell’estrema unzione. “Subito”, rispose Carlo. Gli fu data subito, e dopo mostrò un esile segno di vita. Il governatore, il Duca di Terra Nova, arrivò con grande difficoltà nel passare attraverso la folla che circondava il palazzo ed era entrata dentro. Le preghiere per il passaggio dell’anima erano state dette, la Passione era stata letta, con padre Adorno e Padre Bascapè al capezzale, le parole Ecce venio (ecco vengo) furono le ultime parole che fu udito pronunciare (3 Novembre 1584). Il 7 novembre il suo requiem fu cantato dal Cardinal Nicolò Sfondrato, allora Vescovo di Cremona, in seguito papa con il nome di Gregorio XIV. Fu sepolto di notte nel luogo che aveva scelto.

Lascito e venerazione[modifica wikitesto]

La devozione a lui come santo si mostrò subito e crebbe gradualmente, e i milanesi celebrarono il suo anniversario come se fosse stato canonizzato. Questa venerazione, dapprima privata, divenne universale, e dopo il 1601 il Cardinal Baronius scrisse che non era più necessario celebrare questo anniversario con una Messa di requiem, e che bisognava cantare la Messa solenne del Te Deum. Allora si raccolse materiale per la sua canonizzazione, e furono iniziati processi a Milano, Pavia, Bologna e in altri posti. Nel 1604 la causa fu mandata alla Congregazione dei Riti. Il primo novembre 1610, Paolo V canonizzò solennemente Carlo Borromeo e fissò la sua festa il 4 novembre.

La posizione che Carlo occupò in Europa fu veramente notevole. La grande quantità di corrispondenza da e per, testimonia il modo in cui le sue opinioni erano tenute in conto. I papi sotto i quali visse – come è stato mostrato sopra – seguirono il suo consiglio. I regnanti cattolici d’Europa, Enrico III di Francia, Filippo II di Spagna, Maria regina di Scozia ed altri mostrarono quanto tenevano in conto la sua influenza. I suoi fratelli cardinali hanno scritto in elogio delle sue virtù. Il Cardinal Valerio di Verona disse di lui che era un esempio di virtù per le persone di buona famiglia e un esempio di vera nobiltà per i suoi fratelli cardinali. Il Cardinal Baronius lo definì “un secondo Ambrogio, la cui morte precoce, pianta da tutti gli uomini buoni, ha inflitto una grande perdita alla Chiesa”.

E’ interessante sapere che i Cattolici in Inghilterra alla fine del sedicesimo o all’inizio del diciassettesimo secolo hanno messo in circolazione alcune vite di San Carlo. Senza dubbio alcune notizie su di lui sono state portate in Inghilterra dal Beato Edmund Campion, un Gesuita che gli fece visita a Milano nel 1580 durante il suo viaggio verso l’Inghilterra, si fermò con lui circa otto giorni, e conversò con lui ogni giorno dopo cena. Carlo aveva molto a che fare con l’Inghilterra nel periodo in cui era assistente di Pio IV, e aveva una grande venerazione per il ritratto del Vescovo Fisher. Carlo aveva anche molto a che fare con Francis Borgia, generale dei Gesuiti, e con Andrea di Avellino dei Teatini, che gli diede un grande aiuto nel suo lavoro a Milano.

Sources, references and external links[modifica wikitesto]

  • GP Giussano, Vita di S. Carlo Borromeo (1610, Eng. ed. by HE Manning, London, 1884)
  • A Sala, Documenti circa la vita e la gesta di Borromeo (4 vols., Milan, 1857-1859)
  • Chanoine Silvain, Histoire de St Charles Borromeo (Milan, 1884)
  • A Cantono, Un grande riformatore del secolo XVI (Florence, 1904); article Borromus in Herzog-Hauck, Realencyklopädie (Leipzig, 1897).
  • Short biography from Catholic Online
  • Biography by Pietro Canetta