Mastro Adamo

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Mastro Adamo (... – 1281) fu un falsario del fiorino di Firenze citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Inferno XXX, vv. 46-90).

Dante lo incontra nella bolgia dei falsari, affetto dall'idropisia che gli deforma il corpo gonfiandogli la pancia a dismisura. Quando il dannato si presenta egli ricorda come visse nel Casentino presso Romena, dove i Conti Guidi (Guido, Alessandro e Aghinolfo) lo spinsero a falsificare la moneta fiorentina, togliendo tre carati d'oro (da ventiquattro) su ciascuna moneta e sostituendoli con metalli vili.

Da questi elementi alcuni studiosi hanno rintracciato documenti di un certo Maestro Adamo inglese, forse già stabilitosi a Brescia (secondo i commenatori antichi della Commedia) e documentato a Bologna nel 1270, dove forse si trovava per studio (infatto l'appellativo Maestro presupponeva un titolo accademico). Nel 1277 veniva descritto come familiare comitum de Romena.

Una volta catturato dalla signoria fiorentina venne arso vivo per il suo reato nel 1281. Gli storici mettono in dubbio l'ipotesi, per altro suggestiva, che il fatto abbia dato il nome al paesino Omomorto, nel Casentino, che è un toponimo usato anche in altri luoghi dell'appennino Tosco-emiliano.

Il ritratto che ne fa Dante è tra i più eterogenei dell'Inferno, con emozioni che vanno dal grottesco al melanconico, dagli echi biblici al patetico, al più basso stile comico-realistico della zuffa con il greco Sinone, per la quale Dante viene rimproverato da Virgilio per l'aver trovato divertimento a fermarsi ad osservare uno spettacolo così basso e volgare.

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