Incidente di Sayama

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L'incidente di Sayama (狭山事件?, Sayama Jiken) è stato un caso di omicidio avvenuto il 1º maggio 1963, che prende il nome dalla città di Sayama nella Prefettura di Saitama in Giappone. Un uomo di 24 anni venne giudicato colpevole del crimine e venne condannato a 31 anni di carcere, evidenziando la discriminazione da parte dei giapponesi della minoranza burakumin.

L'omicidio[modifica | modifica wikitesto]

Il corpo della vittima

Il giorno del suo sedicesimo compleanno Yoshie Nakata (中田善枝?, Nakata Yoshie) scomparve mentre tornava a casa da scuola[1]. Alla sera venne recapitata a casa sua una richiesta di riscatto: per la liberazione della ragazza venivano chiesti 200.000 ¥ (circa 4.000 € del 2021) che avrebbero dovuto essere portati alla mezzanotte del 2 maggio in un luogo vicino. Sua sorella maggiore portò la somma in banconote false presso il luogo designato, che era stato circondato dalla polizia. Arrivò un uomo che scambiò con la ragazza alcune parole, ma essendosi insospettito si allontanò subito, sfuggendo alla polizia.

La mattina del 4 maggio venne ritrovato il cadavere della vittima nei pressi di una fattoria. La polizia stabilì che la ragazza era stata violentata prima di essere uccisa. Il 6 maggio, il giorno prima del suo matrimonio, un uomo che abitava nello stesso quartiere dove si erano svolti gli avvenimenti si suicidò. Aveva lo stesso tipo di sangue che risultava dalle analisi dei residui biologici ritrovati sulla vittima, ma, dal momento che soffriva di disfunzione erettile, al tempo la polizia giunse alla conclusione che non poteva essere lo stupratore. La polizia, messa sotto pressione dalla stampa anche per un caso analogo avvenuto alcuni mesi prima, concentrò le indagini sugli appartenenti all'etnia burakumin, basandosi sul fatto che alcune tracce lasciate dall'assassino riconducevano ad allevamenti di suini, nei quali generalmente lavoravano i burakumin[2].

L'arresto ed il processo[modifica | modifica wikitesto]

Il 23 maggio la polizia arrestò il ventunenne Kazuo Ishikawa (石川一雄?, Ishikawa Kazuo) per l'omicidio. Inizialmente l'uomo negò ogni addebito ma, il 20 giugno, confessò di avere rapito, violentato ed ucciso la ragazza, nonché un'altra serie di rapimenti.

In seguito Ishikawa ed i suoi sostenitori affermarono che la polizia aveva costretto l'imputato a rendere una falsa confessione con minacce e con l'isolamento di un mese. Inoltre, dal momento che Ishikawa era analfabeta, non venne informato del suo diritto di avere un avvocato e addirittura la "confessione" che poi fu costretto a firmare venne scritta per lui.

Come risultato, Kazuo Ishikawa venne riconosciuto colpevole del delitto e condannato a morte, pena in seguito commutata in ergastolo. Nel 1994 i difensori di Ishikawa ottennero la libertà vigilata e da quel momento l'uomo intraprese una serie di iniziative per cancellare l'etichetta di assassino dalla sua fedina penale[3]. In sua difesa scesero anche numerosi gruppi per la tutela dei diritti umani, che sostenevano che il giudice avesse decretato la colpevolezza di Ishikawa solo per il fatto che egli era un burakumin[4][5].

La sorella maggiore di Yoshie Nakata non si riprese più dai terribili avvenimenti e si suicidò poco dopo.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ No. 122, su blhrri.org, Buraku Liberation and Human Rights Research Institute, 29 gennaio 2002. URL consultato il 30 aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 17 maggio 2008).
  2. ^ UPDATE (Japan): Call for On-line petition for a justice of a man sentenced to death row by false accusation
  3. ^ Appeal over ‘Sayama case’ dismissed, Japan Times, 25 gennaio 2002. URL consultato il 7 settembre 2013.
  4. ^ Man found guilty in ’63 murder case seeks retrial, The Japan Times News, 24 maggio 2006. URL consultato il 5 settembre 2013.
  5. ^ The Sayama Case, su imadr.org. URL consultato il 7 settembre 2013.

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