Fossato galileiano

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Il fossato galileiano è lo iato che esiste tra le qualità che caratterizzano soggettivamente le nostre “esperienze percettive”[1] e le quantità del mondo fisico che la Scienza è oggettivamente in grado di misurare.

Le qualità a cui fa riferimento Galileo corrispondono alle percezioni che il nostro cervello elabora a partire dai cinque sensi: riguardano dunque il modo in cui ciascuno di noi, soggettivamente, percepisce i colori che vede, i suoni che ode, gli oggetti che tocca, gli odori che annusa, i sapori che gusta; ma anche la sensazione del solletico e, in generale, ogni sensazione “grata” o “ingrata” (cioè “gradita” o “sgradita”).

Le quantità corrispondono invece a delle grandezze fisiche, oggettive, che la Scienza può misurare: ad esempio una velocità, una lunghezza, una massa, una frequenza sonora, una carica elettrica.

In letteratura scientifica, le qualità soggettive di cui si fa esperienza sono definite anche "qualità fenomeniche" o "contenuti fenomenici".

Galileo: Il Saggiatore

L’espressione "fossato galileiano" nasce nel Seicento a seguito di Galileo, il quale, in un famoso passo del Saggiatore, suggerisce che la realtà sia divisa in questi due domini, apparentemente incommensurabili e non riducibili l'uno all'altro. Le parole di Galileo erano:

«Ma che ne' corpi esterni, per eccitare in noi i sapori, gli odori e i suoni, si richiegga altro che grandezze, figure, moltitudini e movimenti tardi o veloci, io non lo credo; e stimo che, tolti via gli orecchi le lingue e i nasi, restino bene le figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor dell'animal vivente non credo che sieno altro che nomi, come a punto altro che nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l'ascelle e la pelle intorno al naso. E come a i quattro sensi considerati ànno relazione i quattro elementi, così credo che per la vista, senso sopra tutti gli altri eminentissimo, abbia relazione la luce, ma con quella proporzione d'eccellenza qual è tra il finito e l'infinito, tra il temporaneo e l'instantaneo, tra il quanto e l'indivisibile, tra la luce e le tenebre. Di questa sensazione e delle cose attenenti a lei io non pretendo d'intenderne se non pochissimo, e quel pochissimo per ispiegarlo, o per dir meglio per adombrarlo in carte, non mi basterebbe molto tempo, e però lo pongo in silenzio.»

La stessa divisione è stata poi ulteriormente articolata da John Locke sotto forma di proprietà primarie e secondarie, modificando però l'intuizione originaria di Galileo, che forse non era metafisicamente così radicale.[senza fonte]

Il silenzio di una soluzione è durato per quattro secoli: infatti perdura tutt’oggi l’incapacità degli scienziati di spiegare in termini scientifici, con misurazioni oggettive e replicabili, le esperienze percettive («non credo che sieno altro che nomi», affermava Galileo).

Recentemente, l’espressione “fossato galileiano” è stata utilizzata nell’ambito degli studi psicologici anche da Walter Gerbino, per discutere del rapporto tra coscienza, esperienza fenomenica e percezione[2], e da Riccardo Manzotti, che l’ha ripresa da Gerbino, ma con esiti distinti[3].


Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Cfr. Gerbino, Walter: Coscienza, fenomenologia e percezione, in Sistemi intelligenti, N.3, 2008 (dicembre), pp. 455-470.
  2. ^ Ad es. ibidem.
  3. ^ Manzotti, Riccardo: "La mente allargata. Perché la coscienza e il mondo sono la stessa cosa," Milano, Il Saggiatore, 2019.